XXXII. Il disastro

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XXXI XXXIII

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XXXII.


IL DISASTRO.


Al diavolo! Io lo aveva dimenticato, ed ecco, anche in mezzo alla gioia del simposio, l’ombra di Cioccolani.

— Ammalato?

— Peggio. Una cosa indegna! Voi ricordate certamente, Sconer, l’Attileide di Cioccolani....

Io ero atterrito.

Anche allora, Cioccolani e l’Attileide, Attileide e Cioccolani.

— Ebbene, signora, che cosa è accaduto all’Attileide, cioè a Cioccolani?

— Questo grande dramma — disse la contessina — era destinato all’aperto; ricordate, è vero?

— Perfettamente: le turbe, gli Unni, l’organo.

— Si pensava al teatro d’Albano sui colli laziali: ma il teatro d’Albano sventuratamente non esiste ancora. Allora abbiamo pensato ad un grande teatro di Roma, e ci siamo messi in corrispondenza con Roma. Ma Roma non ha risposto.

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— Anche al telefono è lo stesso: Roma di solito non risponde.

— Vi prego di non scherzare. Hanno risposto — dice lei — ma fanno una difficoltà: il nome di Cioccolani.

— Non è un bel nome. Sconer è più bello.

— Forse avete ragione? È terribile! Un padre ha il diritto di lasciare a un figlio genio la eredità di un nome volgare! Ma l’obbiezione che fanno quei signori di Roma è un’altra. Essi dicono: “Cioccolani non è un nome conosciuto„. Non è piazzato. Capite? Quello che importa non è creare i Canti ermetici, creare l’Attileide. No! Piazzarsi! Ah, mostruoso!

— Fino a un certo punto. In commercio, contessina — mi permisi io di obbiettare — si verifica lo stesso fenomeno. Si fabbrica un prodotto; ma la cosa più difficile è lanciarlo, imporre il nome! “Ficcatevi bene in testa questo nome!„. E si fa un uomo con un chiodo che penetra dentro la testa. Molte volte è la fortuna di un nome. Pillole Plak! Qualunque farmacista le può fabbricare. Ma Pillole Plak si sono imposte. Sente che nome? Plak! Pare un comando. Naturalmente è un suono tedesco, così lo capiscono di più.

Ma la contessina, invece di ridere, rimase seria.

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— Ah sì, — disse — per voi, gente mercantile, l’Attileide e i vostri empiastri sono la stessa cosa. Intanto quel povero giovine ne morirà di dolore.

— Per così poco? Speriamo di no, contessina. Se l’Attileide non potrà essere rappresentata a Roma, si potrà rappresentare a Milano: se non quest’anno, l’anno venturo. È questione di aspettare.

— Aspettare? Non si può aspettare.

— Scusi — dissi io — Cioccolani non sarà mica una donna, pardon! in istato interessante, che non può aspettare un giorno di più.

— Questo appunto è il caso — disse la contessina — perchè se venisse la pace, l’Attileide è rovinata.

— Per questo non si preoccupi, contessina. Il governo italiano ha calcolato la guerra a tre mesi: ma il governo inglese, che è più pratico, l’ha calcolata a tre anni.

— Voi mi consolate, Sconer.

(Vedete le donne! Questa qui, presso il pozzo, vuole la guerra: quella là, sotto la pergola, vuole la pace).

— Contessina, — dissi io — mi conceda di non capire perchè Cioccolani non può aspettare.

Si passò sconsolatamente la mano su la fronte [p. 236 modifica]come per dire: “Quest’uomo che non capisce niente!„, e mi domandò:

— Lei conosce la storia?

— Quale storia?

— Quella che si legge sui libri.

(Caro angiolo, le volevo rispondere, se studiavo la storia sui libri, non diventavo gerente della società X*** e compagni).

Risposi:

— Certamente, contessina.

— Ebbene, Sconer, per quale ragione gli Ebrei conquistarono la Terra Promessa?

— Perchè videro — risposi io — un campionario di uva bellissima, e gli Ebrei avevano sete.

— Bravo! Ma ci volle Mosè, l’uomo di genio che disse loro: “Va, rapisci quell’uva, perchè tu sei il popolo eletto e se i Cananei diranno di no, e tu fanne scempio„. E perchè Alessandro conquistò l’Asia? Perchè disse ai Greci: Io sono Dio e gli altri son barbari. E perchè Napoleone conquistò il mondo? Perchè disse, liberté, égalité, fraternité, una menzogna colossale, ma non importa! Allons, enfants de la patrie; quaranta secoli vi guardano dall’alto di queste piramidi. E perchè i tedeschi vogliono oggi conquistare il mondo? Perchè il Kaiser ha detto, come Mosè, voi siete il sale della terra! Deutschland über [p. 237 modifica]alles! Ebbene, Sconer, credete a me: è una formula che governa il mondo: ogni formula, ben inteso, è una menzogna, e l’una val l’altra. Ma non importa! L’essenziale sta nel colpire la imaginativa delle turbe. Basta un bimbo a guidare una mandria di buoi: basta una grande menzogna a guidare gli uomini. Non sapete che gli uomini son pazzi? non sanno, non possono, non devono ragionare? Ma occorre appunto per questo l’epifania del gran pazzo sublime; l’uomo di genio che li sappia attraversare con la corrente elettrica della sua parola.

Mi sentivo un certo giramento di testa. Una donna istruita è grande, ma è seccante.

— Ebbene, Cioccolani....

(Mio Dio, torna ancora in scena Cioccolani. Cioccolani for ever!)

— Ebbene, Cioccolani è l’uomo di genio che ha trovato la formula risolutiva: “Volete la pace? Spaccate la testa ad Attila„. Ah, voi ridete Sconer!

— Io ridevo, perchè pensavo “Volete la salute? Bevete il ferro-china„.

— Ma sapete voi, Sconer, che se Cioccolani fosse nato in Germania, invece di star qui a mendicare che gli si rappresenti il suo dramma, sarebbe al seguito del Kaiser, nella gran coorte dei poeti che cantano le sue glorie? Capite ora [p. 238 modifica]perchè l’Attileide non può aspettare un minuto di più? Il dramma ha un valore immanente; ma ha anche un valore contingente: supponete che la guerra termini per una combinazione qualsiasi; supponete, ciò che Dio non voglia! che il Kaiser rimanga sconfitto....

— In questo caso — dissi io — la formula dì Cioccolani passa di attualità perchè la testa è già spaccata.

— Ed è ben questo il terribile. Il dramma è andato. Oh, finalmente avete capito!

— Ebbene, contessina, il signor Cioccolanì ne prepari un altro sempre sul medesimo tema: “Volete la pace? Rifate la testa ad Attila„.

*

Mi pareva di essere sopra un’altalena.

Lei aveva certi occhi assenti, e mi faceva quasi compassione.

Il sole aveva girato, e pendeva sopra di noi; per la campagna era un gran silenzio e mi sembrò che nel mondo fossimo rimasti soli io e lei.

La scossi un pochino, le presi la manina, e le dissi queste cose di cui anche adesso mi meraviglio: — Contessina, dia retta a me.

— Che cosa?

— Perchè, contessina — dissi con la mia voce [p. 239 modifica]più insinuante — invece di pensare a tante cose tremende, a tanti uomini in grande stile, come Mosè, Attila, Napoleone, Cioccolani, lei non ha mai pensato ad un uomo di stile più modesto, ma più accessibile, più pratico....

Mi guardò.

— Mi guardi, mi guardi: guardi pur me, contessina: ad un uomo — voglio dire — perfettamente gentleman, ordinato, equilibrato, fedele compagno....

— Un marito come si dice nella comune terminologia?

— Press’a poco.

— Col solito ménage?

— Sì, press’a poco. Anzi con un buon ménage.

— È infatti — mormorò — l’idea del buon Maioli e di mamà.

— Bisogna dar retta a mamà.

Tacemmo e quindi lei domandò:

— E poi?

— E poi? E poi può nascere un allegro bamboccio.

— Io?

I suoi occhi espressero un grande stupore.

— Io certo no, — risposi. — .....Un bamboccio ottenuto con onesta collaborazione — aggiunsi.

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Le sue labbra sorrisero di un piccolo pallido sorriso, che mi incoraggiò.

— E poi?

— Lei poi dà il latte al suo bamboccino.... — continuai persuasivamente.

— Io dare il latte?

— Lei o la balia, come preferisce.

— E poi?

— E poi il bamboccino diventa grande..., un bel bamboccione.

— E poi?

— E poi darà il braccio a mamà: diventerà la consolazione di papà e mamà, cioè crescerà sano, buono, ordinato....

Io parlavo, e lei mi seguiva docilmente, come trascinata da me.

— E poi? — domandò ancora.

— E poi, e poi! E poi passa la vita.

— Allora perpetuare la specie?

Mi guardò con due occhi così attoniti che io vidi passare per essi l’imagine bianca della follia, onde dissi a me stesso: “Ginetto, sta attento a quello che fai„: ma quel giorno ero deliberato a tutto.

Rimasi anch’io sorpreso a quella domanda, allora perpetuare la specie. Io stavo per affrontare una grande battaglia. Colmai i bicchieri: io bevvi, ella bevve.

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— Contessina — dissi — anch’io ho inteso dire che il matrimonio è in crisi, che è una formula oramai superata: ma con tutto questo, che vuol che le dica? Mi pare che una mogliettina graziosa, intelligente, buona, capace di ricevere e dare consigli, congiunta ad un uomo solido, equilibrato, intelligente, corpo d’un cane!, sia sempre una bella instituzione.

— Io dovrei — disse — allora diventare proprietà di un uomo.

— E un uomo, viceversa, sarebbe sua proprietà.

— Ed io dovrei essere oggetto di piacere per un sol uomo?

— Questa certo sarebbe la formula desiderabile. Quanto poi al piacere — osservai pudicamente — , mi pare che sarebbe una cosa reciproca.

Ella non sorrise nemmeno.

— E se io mi stancassi? — domandò.

Ella aveva fatto questa domanda impura con tanta purità che io palpitavo, ma non osai di toccarla.

— Ah, contessina — dissi — ma chi sarà mai l’uomo che possedendo lei non farà di tutto perchè lei non si stanchi?

Sorrise come ascoltasse una fola lontana, e [p. 242 modifica]disse: — Io allora dovrei fare come le altre fanciulle che cercano marito.

Allora io mi buttai nella voragine.

— Contessina, premetto; — dissi — ma nella fattispecie lei non ha bisogno di cercare, perchè vi sono io.

— Lei?

Con che tenerezza, con che languore proferi quel lei! Le sue pupille mi guardarono. Io vi ero caduto dentro come nel mare.

Ella sorrideva. Non so perchè, rimasi attonito anch’io quando quel lei mi fece capire che lei ero io. Ripetei.

— Perchè no? Io!

Mi guarda.

— Non capisco che cosa ci trovi di strano, che mi guarda così. Lei trova tutto bello, tutto delizioso: l’acqua, i fiori, le bestioline. A me pare che potrebbe trovare passabile anche Ginetto Sconer. Io sono uomo di parola, io la faccio basilissa sul serio. Lei ha la sua villa delle Cipressine. Lei le vuol bene perchè ci è nata. Noi supponiamo che vi siano i vetri rotti, i soffitti che cascano, e, sopra, tante ipoteche. E allora noi porteremo via le ipoteche, metteremo i vetri nuovi, rifaremo i soffitti. Se poi invece di un bamboccio, ne vogliamo far due, ne [p. 243 modifica]faremo due, ne faremo tanti. Quanti lei vuole. Tanti contessini e contessine, vestiti di bianco, per il giardino delle Cipressine, rimesso a nuovo, con tanti bei fiori; e dietro una nurse inglese col manto di viola. D’inverno staremo a Milano, nella mia palazzina, o andremo anche in riviera, se fa bel tempo. Faremo anche qualche bel viaggio, se le piace. Non le pare un bel programma? Ma la pianti con Cioccolani e l’Attileide!

Io ero liquefatto, come si vede, da essere raccolto col cucchiaio, come dicono a Milano. Mi aspettavo di essere raccolto, e invece lei disse:

— Ah, no!

Ed ella proferì questo no! con tanta passione che l’incanto fu rotto, e mi sentii come da una forza centrifuga trasportato ancora dalla voragine del mare su la riva. Il sangue però mi girava nella testa, e intanto sentivo la sua voce quasi piagnucolosa che diceva:

— Anche lei, Sconer, come tutti, contro Cioccolani.

— Ma vuol mettere me con Cioccolani? Capisco quell’altro, ma Cioccolani, evvia! Io non potevo farle il torto di credere che lei fosse innamorata di quel Mardocheo....

— Ah! — esclamò come la avessi punta. — Non lui, ma il suo genio.

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— Ma che genio! Genio, caso mai, sono io che ho realizzato dal nulla.

Io ero furente: io avevo affrontato la pazzia, la povertà, la letteratura, il matrimonio, per suo amore. Invece niente. Come avessi raccontata una fola. Nemmeno l’onore del rifiuto.

Io non fumo che in circostanze solenni, ma in quel momento accesi una sigaretta senza nemmeno domandar compermesso.

Sentivo ancora la sua voce, monotona come la pallina della roulette, che cadeva ancora dentro Cioccolani: sentivo queste parole, Attileide, ascesi, genio, superamento, fanciullino, tutti contro il genio che appare.

— Oh, non l’abbandonerò io.... — disse in fine.

— Se lo tenga.

— E nemmeno abbandoneremo la partita. Voi ci aiuterete, Sconer, è vero?

Incredibile! L’incoscienza di quella donna arrivava sino al punto di ignorare che lei aveva offeso mortalmente un uomo come me.

— In che modo aiutare? Sono un letterato di Roma o di Milano forse io?

— Ma voi siete amico di Lionello.

— Ebbene? Che c’entra Lionello?

— Lionello è un puro.

— Con qualche riserva. Puro ero io, signora.

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— Intendo dire nel senso che Lionello è un uomo arrivato, superiore all’invidia, accolto in tutte le grandi riviste, in tutti i grandi quotidiani. Egli potrebbe far l’atto generoso di aiutare un suo confratello annunciando con articoli entusiastici, come sa far lui, la prossima epifania dell’Attileide. Che ve ne pare?

— Uhm! Non ne so nulla.

— Avevamo pensato ad un giro per l’Italia, dando lettura dell’Attileide.

— Eccellente idea.

— È questione della voce....

— Già, manca le phisique du rôle.

— Però la stampa dell’Attileide è decisa. Prima si pensò ad una grande rivista, poi abbiamo deciso per il volume.

— Ah, benissimo.

— La casa editrice di Milano ha però mandato un preventivo di spesa un po’ forte: diecimila lire.

— Gente mercantile a Milano. E poi col rincaro della carta....

— I suoi genitori che non sanno che figlio hanno....

— Io credo che lo sappiano....

— ....si sono rifiutati di dare dieci mila lire....

Intervallo di silenzio.

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— Per questo motivo anche giovedì scorso sono venuta da voi.

Secondo intervallo di silenzio.

— Avreste voi, Sconer, da prestare dieci miserabili mila lire?

— Dieci mila lire, contessina, non sono mai dieci miserabili mila lire.

— Per me sì.

— Non discuto: sul danaro esistono opinioni disparate, che spiegano il loro frequente trasloco da una tasca ad un’altra.

Lei si era venuta a sedere vicino a me su di uno sgabelletto, e cominciò a piegarsi per accarezzare con la manina la stoffa dei miei calzoni. Faceva la boccuccia, e girava gli occhi smorti.

— Faccia il piacere, contessina, stia ferma con quelle mani.

— Caro, caro Sconer, fate un piacere a me. Naturalmente il denaro vi sarà restituito, perchè il libro avrà un enorme successo.

— Quale libro?

— L’Attileide.

— Ah, sì, l’Attileide! Non ne dubito, la fiducia nel successo è la prima condizione del medesimo. Ma io non ne tratto.

— E perchè non volete trattare?

— Perchè è un affare che non conosco, ed è [p. 247 modifica]sistema della nostra Casa di non trattare gli affari che non si conoscono.

— Ma se ve ne ho parlato tanto....

— Non dico di no: ma non è la mia partita.

— Ebbene, Sconer, trattiamone esclusivamente come affare. Volete una cambiale firmata da me e da Cioccolani?

— Me ne guarderei bene.

— Allora, come volete, Sconer, trattarne come affare?

— Ne vuole trattare proprio come affare, contessina?

— Oh, caro, caro Sconer.

— Contessina — ripetei — lei è disposta proprio a trattare come affare?

— Certamente.

Cominciai: — Il fatto è questo: lei vuol varare l’Attileide del suo Cioccolani.

— Precisamente.

— Lei faccia come la signorina Ester.

I suoi occhi si aprirono e mi guardarono.

— La signorina Ester, lei lo deve sapere perchè è tanto istruita, quando volle salvare il suo Mardocheo, si fece anche più bella e poi si presentò al terribile re Assuero, e lui quando la vide così bella, disse: “Se anche mi domandi la metà del mio regno, io te la darò„. Lei [p. 248 modifica]contessina non ha bisogno di farsi più bella, io non ho regni da offrirle....

Mi pare che capisca; ma non nel senso voluto da me.

Ad ogni modo io era avviato e continuai:

— Lei che dice sempre: superato, superato! Mi pare che si possa superare anche questo punto.

Ma non potei finire che sentii per risposta un’impressione dolorosa.

La mano della contessina si era posata con violenza su la mia guancia destra. Un rumore, come plaf ciac, risuonò nel giardino.

Quando mi riebbi, il giardino era vuoto. Mi affacciai fuori.

Vidi, giù per la discesa, la gonna dell’abito princesse che ondeggiava sdegnosamente sopra le scarpette.

Deve aver detto anche: Cochon!

Il mio orgoglio sanguinava. Avevo offerto la morale tradizionale, ed ero stato respinto; avevo superato anch’io e offerto la morale in libertà, ed ero stato respinto, anzi schiaffeggiato!

Io non so, io non capisco più niente. Io avevo fatto alla contessina una offerta brutale, sia pure; ma è anche vero che io mi ero attenuto alle più scrupolose lezioni della psicologia [p. 249 modifica]femminile, cioè che una donna ha pudore davanti all’uomo che ama; ma davanti all’uomo che non ama, non ha pudore.

E invece un ceffone! Sì, perchè è stato un ceffone. Delizioso sì, ma ceffone.

*

La mia guancia sanguinava.

Venne Lisetta e disse: — Cosa è stato? È stato Leone?

— No: è stata una leonessa.

Lisetta mi applicò il taffetà.

Evidentemente è stato il mio anello a produrre lo sfregio su la mia guancia.

Forse mi sono ferito da me stesso.

Rivedo il volto fantastico del dottor Pertusius; pare che mi dica: “Acqua profonda di lucida follia; ma sincera. Se ci fosse stata l’insidia di uno scoglio, lei, cavaliere, finiva infilzato nel matrimonio. Non si lamenti, anzi lasci a quella nobile giovane l’anello a documento di riconoscenza„.