XXXI. Champagne, pesche e prosciutto

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XXXI. Champagne, pesche e prosciutto
XXX XXXII

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XXXI.


CHAMPAGNE, PESCHE E PROSCIUTTO.


— Cosa state facendo, signor Sconer? Sempre l’uomo georgico?

— L’ho fatto, ohimè, contessina; ma ora sto facendo le valigie. Ero venuto qui a P*** per un certo affare, ma non si potè concludere. Lo metteremo alla partita del passivo.

La contessina era venuta da me, questa volta, sola: senza il seguito del poeta al guinzaglio.

— Con quest’orribile caldo!

— Vi disturbo, Sconer?

— Lei mi perturba, non mi disturba. Certo io non la posso ricevere con tutte le regole del protocollo. È tutto sottosopra qui.

— Avete un bicchier d’acqua, Sconer?

— Ma lei ha sete, lei è sudata, lei è venuta a piedi per quella strada bruciata da questo terribile sole. (Era quasi mezzogiorno). — Quando penso che la pelle del suo adorabile volto, delle sue adorabili mani può oscurarsi, c’è da fremere per il rimorso.

— Avevo i guanti e il velo.

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— Ah, meno male.

— E poi io mi diverto nella gioia del sole.

— Io no: d’estate preferisco l’ombra.

— Io invece il gran sole; e d’inverno andare per la neve, quando tutto è neve, sentir la gioia di affondare nella neve sino alla caviglia: respirare la neve.

— Allora preferisco il termosifone.

Ma perline di sudore le si venivano formando su la fronte. Ella estrasse un moccichino di merletto del tutto insufficiente perchè non era più grande della palma della mia mano. Allora io spiegai i miei bellissimi fazzoletti. — Pardon! — e ne posai uno delicatamente sul suo volto, un altro su la nuca.

— Voi, Sconer, mi velate come Iside.

— Veramente io vorrei fare il contrario.

— Siete ben temerario....

— Conserverò, contessina, questi fazzoletti imbevuti della di lei persona. Ma dicevamo? Ah, l’acqua. L’acqua qui è in fondo al pozzo, e il pozzo è cupo. Ma ora che ben mi ricordo, devono rimanere nella credenza due avanzi di una stirpe infelice. Se lei può sostituire l’acqua con lo champagne....

(Sono proprio gli avanzi di quelle bottiglie di champagne extra dry che mandai a prendere [p. 221 modifica]quel giorno per onorare Melai al pranzo; una delle quali probabilmente ha servito ad alimentare quell’incendio che io dovevo contemplare la mattina del sette giugno. Ah, povero mio champagne extra dry!)

— Probabilmente saranno calde, ma le facciamo subito frappées; le mettiamo giù nel pozzo.

La contessina accetta con piacere.

Realmente nella credenza erano onestamente rimaste obliate le due bottiglie dal collo d’argento.

La contessina si diverte. Vuole metter lei le bottiglie nel secchio, e calar lei la fune.

— Un momento, contessina.

— Che cosa?

— Eh, ma se caliamo le bottiglie così, dopo, quando il secchio è nell’acqua, galleggiano e vanno via. E chi le ripesca più? Bisogna legarle al secchio.

È meravigliata.

— Sempre così previdente, Sconer?

— Sempre, contessina. Sistema della Casa.

Leghiamo, caliamo le bottiglie.

Ora i bicchieri. Nella credenza vi sono molti bicchieri, ma non le coppe per lo spumante. V’è un cavatappi di stile antiquato, ma non serve. [p. 222 modifica]

È la prima volta che mi avviene di adoperare gli oggetti consegnati oggi sei maggio al cavaliere Ginetto Sconer dalla signorina Oretta. Quante speranze, allora! Ma quel tempo è fuggito. Fiorì la speranza al tempo delle violette, e la speranza morì al tempo delle rose. Non pensiamoci più.

Tovagliolini non ve ne sono: ma tovaglioli molti. Ghiselda ne spiega uno di lino grosso spigato.

— Pare una tovaglia.

— No, un tovagliolo. Ne abbiamo anche noi di così fatti alla nostra villa delle Cipressine. Nostra? Credo che sia svanita la villa delle Cipressine.

Fece un gesto con la mano, e vi soffiò sopra come su una bolla di sapone. — Peccato! Ero nata là.

Ora tiriamo su le bottiglie.

La vista dell’acqua gelida nel secchio la attrae, vi immerge la mano, raccoglie l’acqua nella conca della mano e si diverte a farla cascare.

— Sa come Pindaro chiama l’acqua?

— Mi dispiace....

— E sa come la chiama S. Francesco? “Umile e casta!„

— Oh, infelice! Ma noi berremo champagne.

Stappo: il tappo salta. Pum! Lo champagne ci spruzza, ma la contessina beve. [p. 223 modifica]

— Delizioso bere — esclama — quando si ha sete.

Questo lo so anch’io.

— Un biscotto, Sconer?

— Ce n’erano tanti, e cioccolatini anche. Ora più niente! Ma lei ha fame, contessina!

— Mio Dio, sì.

Guardo con stupore quella meravigliosa creatura, sottoposta anche lei alla legge della fame: ma sono cose che avvengono a mezzodì. Mi balena una idea luminosa.

— Contessina, se noi facessimo colazione?

— Qui?

— Sì, contessina.

— Qui all’aperto? Vicino al pozzo? Sotto quest’ombra? Ah, delizioso!

— Tanto più, contessina, che il pozzo agisce da termosifone refrigerante. Già, ma non c’è niente da mangiare. Un momento, però.

Esco, trovo Lisetta, le racconto il caso, e la prego di portare qualche cosa: ma sùbito.

Ritorno.

— Occorrerà un piatto, delle posate — dico alla contessina.

(Ecco lì la credenza con gli oggetti consegnati al fu cavalier Ginetto Sconer).

— Faccio io — dice lei.

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Vuole lei preparare la tavola e mi impone la ubbidienza.

— Contessina — dico tuttavia — se vogliamo (ma come si può dire questa volgare parola, mangiare?) fare un piccolo lunch, io credo che sia meglio metter prima fuori la tavola e preparare poi.

Trasportiamo un piccolo tavolino vicino al pozzo, presso la siepe, all’ombria. Dopo di che, ella mi ordina di stare seduto. Rabbrividisco di piacere al suo ordine. Mentre ella va e viene e porta le stoviglie, io la ammiro.

— Contessina — dico — mi permetta di farle un complimento. Lei mi ricorda quelle meravigliose cameriste che si trovano nei romanzi del mio amico Lionello.

Ride.

Si vedevano, mentre lei va e viene, quelle due cosine gelatinose che danzavano. Ah, l’estate, col velo che a pena portano le signorine, è una stagione terribile!

— Contessina, mi permette un altro complimento?

Ella portava due modeste scarpette di color grigio, che delineavano la forma del piede così dolcemente come una sementina di popone, e due roselline di perle erano il solo ornamento.

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— Contessina — dissi — sinora ho creduto che i tacchi alla Louis Kenz rappresentassero la più alta espressione della moda, ma lei mi fa ricredere. Le sue scarpette sono i guanti grisperle delle sue incomparabili estremità.

Si ferma, mi guarda con quei suoi occhi, e dice:

— Sa che lei, Sconer, dice delle sciocchezze?

— Tutto può darsi, contessina.

Ho la sensazione del vuoto.

Mi tornano a mente le parole di Maioli: che Ghiselda è la più bella nave che sia stata varata nell’oceano femminile. Che io sia già trasportato nell’oceano? Ho paura e nel tempo stesso sento una gioia, una gioia che mi raddoppia la vita. Dio mio, che sia il bacillo dell’amore di cui parla il dottor Pertusius? Salvami, dottor Pertusius! No, lasciami morire. È così dolce morire così. L’universo mi guarda attraverso gli occhi di lei; la sua capellatura d’oro mi soffoca. Calmiamoci, Ginetto Sconer. Dissi allora:

— Io non dimenticherò mai, contessina, questo giorno inaugurale.

— Perchè, signor Sconer?

— E me lo domanda? Essere servito a tavola da lei! Mi permetta che noti questa data memorabile: quindici giugno! Essa farà da contrappeso ad altra data infelice.

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— C’è tutto in tavola, vero? — mi domandò sorridendo.

— Sì, manca una cosa e poi c’è tutto.

— Ah, i fiori, mancano i fiori.

C’erano ancora dei gigli nel giardino: li coglie, cioè li vuol cogliere, ma il fusto resiste.

Allora io levo dall’astuccio il mio temperino d’argento, faccio scattare la lama, offro.

— Ma lei ha tutto, Sconer!

— Tutto, contessina.

Così ella taglia i gigli. Li aspira, e sospira: — Ah, deliziosi i gigli! Sentite, Sconer!

— Sì, deliziosi: ma hanno dentro l’inconveniente di quella cosina gialla. Vede?

E pulisco la cosina gialla che si è attaccata su la punta del mio naso, e — pardon! — anche sul suo.

— Piuttosto — dico — cogliamo delle rose.

Colgo una rosa, la odoro, ma vedo venir fuori due bestie. Orrore! La contessina ride, ma io scuoto la rosa e schiaccio le due bestie.

— Cosa avete fatto, Sconer! Voi avete ucciso due bellissime cetonie.

— Ma perchè erano entrate dentro le mie rose?

— Per amarsi — disse la contessina — e le rose sono il loro talamo profumato.

— Fortunate le cetonie — sospirai io.

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Ella prende la rosa, e coi gigli la mette entro una caraffa, e questa dispone su la tavola. Dice: — Ora c’è tutto!

— Mi dispiace — dico io — , ma manca sempre una cosa.

— Dio mio! Che cosa? — Cerca, non trova.

— Il sale, contessina.

*

La Lisetta viene, intanto, con una fiamminga di fette di prosciutto, così roseo, così spirituale che penso anch’io ai misteri della natura, che ha creato una bestiaccia tanto immonda, per fornire a noi un cibo tanto distinto. La contessina si siede, mangia. Come è interessante vederla mangiare! Una rosea fetta scompare nella rosea bocca. Sembra che mandi giù dei fondants.

— Ma sapete, Sconer, che questo jambon è delizioso?

— Lo credo. (Deve essere il fratello maggiore del porcelletto della signora Caramella).

— Ma mi permetta: non teme lei che a mangiare così le possa far male al corpo?

— Male al corpo, Sconer? In che modo? Io non mi sono mai accorta di avere un corpo.

— Io, sì.

Sospirai profondamente.

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— Dunque, contessina, deliziosa l’acqua, delizioso il vino, deliziose le cetonie, delizioso il prosciutto: tutto delizioso....

— Ah, sì, Sconer; forse anche la morte, deliziosa; ma non ne ho la sensazione: mi pare di non dover morir mai.

— Anch’io, contessina. Cioè, deliziosa la morte no; ma voglio dire che anch’io ho la sensazione di non dovere morire mai. Così che se noi due fossimo marito e moglie, non moriremmo mai.

— Ah, ah, ah! — Dà in uno scoppio di risa sconcertante che le si vede sino alla gola.

— Come Filemone e Bauci.

Non conosco questi signori, ma mi pare che lei prenda la cosa in giuoco.

Ma si fa seria d’un tratto e dice:

— Mio Dio, cosa stiamo facendo, Sconer?

— Stiamo facendo colazione, contessina.

— Ma è compromettente!

— Magari fosse, contessina.

— Ma lei è davvero audace!

Io sospiro.

Lei torna a dare in un altro scoppio di risa.

Io sono disorientato. Qui sta per succedere qualche cosa di straordinario. È il sole che l’ha indorata? lo champagne che l’ha eccitata? Non [p. 229 modifica]so: ma questa donna è titanica, folgorante. È la gioia trionfante.

Vivere con lei, viaggiare il mondo con lei sempre in un delizioso tête-à-tête! Sleeping car, Excelsior hôtel, Palace hôtel. D’estate al Capo Nord, d’inverno, orient-express, in Egitto, su quei battelli che solcano il Nilo, come in quel quadro che c’è Cleopatra.

— Ma che cosa ha lei, Sconer?

— Sogno, contessina.

Questa donna è famelica. Ridendo, mentre io sogno, ha mangiato tutto il porcelletto. Che cosa devo darle ancora?

Ma il piatto vuoto del porcelletto di madama Caramella mi fa sovvenire che esistono anche le pesche della medesima. Lei le ha contate: lo so. Ma non importa.

— Un momento, contessina — dico.

Mi allontano, ed eseguisco la requisizione delle pesche: un atto audace, non dirò come furto; che, dopo tutto, vada per i miei cioccolatini che la signorina Oretta infilava nella bocca di quel signore; ma perchè correvo il rischio di essere sbranato da cane Leone.

Ritorno con le pesche.

Alla vista delle pesche, la contessina è presa da gioia saltellante. — Lei è ben gentile, Sconer. [p. 230 modifica]Lei lo sa che io adoro le pesche? Tu la persica che si spicca e ne cola il succo giulìo, dammi.

Io do le pesche.

Lei, voi, tu! ecco, siamo passati al tu! Oimè, no!

— Sapete, Sconer, chi dice così? È un grande poeta che dice così. Sentite che profumo — dice, e me le mette sotto il naso, le pesche!

Povero Ginetto!

— Permettete, Sconer?

Ne prende una e la morde; immerge quei denti nella carne della pesca.

— Contessina — supplico — non faccia così.

— Le vengono i brividi, Sconer?

— Direi di sì.

— Anche mamma non può vedere.

— Veramente io.... non è per le ragioni di mamà!

Mi fissa un momento sorpresa; con quelle labbra sanguinanti dalla pesca.

— Voi siete molto sensibile, Sconer!

— Tanto, contessina.

Qui sta per succedere qualche cosa che deciderà della mia vita. Anch’io, come madama Caramella, come tutti, entro in guerra.

E se lei non distingue l’attivo dal passivo, che importa? Maioli, Maioli, tu stai per [p. 231 modifica]guadagnare l’automobile. Che fare? Gettarmi ai suoi piedi? Peccato! Adesso non usa più.

Mentre pensavo così, mi sorprendono queste parole di lei.

— Sapete, Sconer, che sono venuta qui anche giovedì scorso? Ma mi hanno detto che voi eravate assente.

— Infatti son dovuto andare a Genova per un certo affare di oggetti preziosi.

— Commerciate anche in oggetti preziosi!

— Ohimè, sì.

Vado a prendere la borsetta, la apro. Ella vi immerge la mano. Esamina: scruta, pesa. Dice:

— Molto bello. Avevamo anche noi tanta di questa roba.

— Questi orecchini di brillanti — dico — mi sembrano quasi degni di lei. Mi piacerebbe provare.

— È inutile: non ho il lobo forato. Non credete? Ella piegò la testa da un lato e, gorgogliando un caro riso, concedette alla mia mano di sollevare la impareggiabile seta dei suoi capelli, affinchè io constatassi che il lobo non era forato. Ma nel toccare quel cosino dell’orecchio, elastico e dolce, io rabbrividii.

Allora quest’anello, contessina.

— Oh sì, questo smeraldo incastonato all’antica mi piace. [p. 232 modifica]

— Permette — domandai allora — che lo mettiamo in opera?

Mi porse la mano. Io provai le dita e infilai l’anello nell’indice: rabbrividii per la seconda volta. Appressandomi, sentii il calore profumato di carne del suo alito.

Si contemplò la mano un po’ meditabonda.

— Ne aveva uno così anche mamà, con uno smeraldo anche più cupo. Ma io non ci tengo più ai gioielli.

— Nemmeno io, contessina, benchè oggi l’investimento del capitale in preziosi sia molto indicato. Sarebbe come una lirica del capitale! Ma le confesso che tengo di più assai alla mia modesta palazzina in Milano, al mio modesto appartamento.

E io le parlai allora della mia palazzina in Milano, mia proprietà; del mio appartamento in istile Louis Kenz, ma con tutto il comfort moderno. — Tutto, tutto, c’è tutto, ma manca solamente una cosa....

Ella mi ascoltava pensosa.

Mi attendevo questa deliziosa domanda: “Che cosa le manca, caro Sconer?„.

E invece venne fuori quest’altra domanda:

— Sapete quello che accade a Cioccolani?