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XXXI.


CHAMPAGNE, PESCHE E PROSCIUTTO.


— Cosa state facendo, signor Sconer? Sempre l’uomo georgico?

— L’ho fatto, ohimè, contessina; ma ora sto facendo le valigie. Ero venuto qui a P*** per un certo affare, ma non si potè concludere. Lo metteremo alla partita del passivo.

La contessina era venuta da me, questa volta, sola: senza il seguito del poeta al guinzaglio.

— Con quest’orribile caldo!

— Vi disturbo, Sconer?

— Lei mi perturba, non mi disturba. Certo io non la posso ricevere con tutte le regole del protocollo. È tutto sottosopra qui.

— Avete un bicchier d’acqua, Sconer?

— Ma lei ha sete, lei è sudata, lei è venuta a piedi per quella strada bruciata da questo terribile sole. (Era quasi mezzogiorno). — Quando penso che la pelle del suo adorabile volto, delle sue adorabili mani può oscurarsi, c’è da fremere per il rimorso.

— Avevo i guanti e il velo.