XXVII. Mi adiro per la prima volta

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XXVII. Mi adiro per la prima volta
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XXVII.


MI ADIRO PER LA PRIMA VOLTA.


Soltanto quando mi trovai nel mio chalet, e lo specchio mi rimandò la mia figura deformata e sudicia, ebbi la completa sensazione del mio dolore. Io ruggivo: “Infame! Santarellina! Mamz’elle Nitouche! Tira via, non c’è papà! Ah, è timida, dice papà„.

L’edificio da me costruito con tanta cura, dispendio di tempo e — diciamo pure — di denaro, era crollato. E volendo essere esatti, [p. 193 modifica]bisogna dire: “seguitava a crollare„. Una ragazzina minorenne, davanti alla quale io, con suprema delicatezza, mi sono trattenuto sempre dal proferire le parole sacramentali: “Signorina, io vi amo„ dare dei baci così! baci di donna provetta. Ah, falsa minorenne! Forse non esistono più minorenni. Probabilmente mentre io mi spazzolavo il vestito, essi seguitavano ancora a baciarsi; e allora dovetti constatare che io soffrivo. Infatti avevo gli occhi fuori della testa. E più forse del bacio, mi faceva fremere la visione degli atti preparatori del medesimo, quando lei pettinava lui così dolcemente con la mano; quando lei gli insinuava nella bocca i miei cioccolatini. Così! Faceva così! E feci a me stesso l’atto di insinuarmi in bocca i cioccolatini col rosolio. “Tu soffri realmente, Ginetto Sconer, tu soffri!„ Il sapore di quella fanciulla, che dovevo gustare io, se lo è invece gustato Melai. Guai se io fossi un uomo sanguinario come usa adesso! A quest’ora sotto quella pergola esisterebbero due cadaveri.

*

La mattina seguente stavo un po’ meglio, ma non così che, quando venne Lisetta per rassettare le camere, io non dicessi:

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— Ah, belle cose, belle cose che succedono in questa casa! Congratulazioni, molte congratulazioni con la vostra padroncina.

— Perchè, signore? — mi domandò Lisetta.

— Voi non sapete forse quello che ieri è successo verso quest’ora, là, sotto la pergola?

E raccontai quello che avevo veduto: — Uno spettacolo indecente. Non saprei dire per quanto tempo ha seguitato a pettinarlo.

— Capirà, signore, che finchè lo pettina lei, non lo pettina la morte. Faceva così tutte le mattine nei giorni che lei è stato via.

— Voi dite?

Ella diceva così.

— Ma quella sera che io sono partito, è partito anche lui! Allora era una falsa partenza.

— Non so, signore — disse Lisetta — , ma io credo che abbia ottenuto una proroga per affari di famiglia.

— Ah, li chiamate affari di famiglia? Ah, un bell’ordine nell’esercito!

— La mattina dopo che lei è partito, signore, lo abbiamo visto comparire ancora qui, e la padrona gli ha fatto tanta festa.

— Allora sua madre sapeva tutto.

— Io credo di sì.

— E anche lui, il padre?

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— Oh, lui sa sempre le cose per ultimo.

— Ma questo amore come è nato?

— Chi lo sa, signore? L’amore nasce così!

— Ma come “così„? Così sotto la pergola?

— Tutto può darsi, anche sotto la pergola.

— Ma voi Lisetta, che sapevate le mie intenzioni, voi che vedevate che io ero assente, perchè non siete corsa ai ripari?

— Ah, signore — esclamò Lisetta mortificata — io ho fatto quello che potevo fare; e appena ho potuto, ho parlato alla signorina.

— Ebbene?

— Io non glielo volevo dire, signore, per non darle dispiacere.

— Vi autorizzo a parlare.

— Ebbene, già che lo vuol sapere, la signorina ha detto: “Taci, taci Lisetta! Io sposare un uomo così grosso e rosso che potrebbe essere mio padre?„.

— Così ha detto? Inaudito!

— Precise parole.

— Ma voi dovevate insistere: “un uomo che sa quel che dice, che sa quel che vuole, che conta qualche cosa nel mondo„.

— L’ho detto, signore.

— E lei?

— Lei? Lei ha detto: “con tutte quelle [p. 196 modifica]sciocchezze che dice, che fa venire il latte ai ginocchi„.

— Idiota fanciulla! Dovevate dirle che io ero d’accordo con suo padre.

— Anche questo ho detto.

— E vi ha risposto?

— Che piuttosto che sposare un parrucchiere, fosse anche coperto d’oro, si butterebbe giù dal campanile di San Fulgenzio, che è il più alto della città.

— Ma è pazza quella fanciulla!

— È innamorata, signore!

Lisetta tacque, e anch’io.

Ma quelle parole atroci riferite da Lisetta mi fischiavano alle orecchie. Io parrucchiere? Io sono un costruttore della bellezza, e anche di civiltà, perchè chi usa i miei prodotti è educato e civile. Sentivo in me un’auto-intossicazione di furore.

— Io tirerò le orecchie a quel signore — dissi.

— Non lo faccia, per carità — disse Lisetta, — Tutti quelli che sono stati in guerra hanno preso lo spirito sanguinario.

— Credete forse che io abbia paura?

— Oh, no, signore: ma dico che è un momento succedere una disgrazia.

— Io, del resto, non voglio fare tragedie, ma [p. 197 modifica]gli parlerò ad ogni modo e gli dirò il fatto mio: “Ah, lei, bel giovane, che contemplava le stelle. Lei preferisce però contemplare qualche altra cosa sotto la pergola. Congratulazioni!„ Oh, gli dirò questo ed altro.

— È impossibile perchè è partito.

— Non ci credo, perchè doveva già essere partito tante volte. Sarà partito provvisoriamente.

— No, definitivamente.

— Allora gli scriverò: “Ah, falso sentimentale! Le piacciono invece le cose di questo basso mondo, compresi i miei cioccolatini„. E, quella infelice, preferisce uno sbarbatello, che oggi c’è e domani non c’è, a me che nel mondo conto per qualche cosa. “Dico sciocchezze„, io! “Un uomo grosso e rosso„, io!

— Lei è un uomo che può dare soddisfazione a qualunque donna.

— Voi avete proferito una grande verità. Ma voi non sapete tutto. Sapete perchè io sono andato a Genova? Questo, vedete, è il terribile! Io sono andato a posta a Genova per comperare lì regalo di nozze. E proprio mentre io comperavo i gioielli più rari, ero tradito.

— Oh, povero signore! Ma davvero proprio?

— Dubitereste forse di quello che io dico? Venite qui, venite qui, Lisetta. Guardate. Guardate, [p. 198 modifica]tanto per avere un’idea di chi sono io. Questo era il regalo di nozze.

La ho condotta nella mia stanza e ho aperto la borsetta.

— Maria santissima! Spavento!

— Guardate soltanto questa collana. Per darvene un’idea, neppure la regina ne ha una così.

Allungò il dito per toccarla.

— Voi dovete sentire il peso.

— E sono perle vere?

— Vere? Vero oriente. Mica scaramazze.

— E costano tanto?

— Come voi, come lei, come lui, come tutta questa catapecchia, con l’avvocato e sua moglie compresa. Sì, sì, pigliate pure. Già tanto io me ne andrò di qui. Quelle forbicette, quella cipria. Anche quella pompetta dell’acqua d’odore, se vi fa voglia.

E le permisi di saccheggiare la mia toletta.

*

Scesi in giardino perchè sentivo che avevo gli occhi feroci, e la mia fisonomia era in disordine. Non vedevo più niente. Ma quando ho visto i gattini di Oretta che immergevano la linguetta rossa nel latte bianco, attorno alla ciòtola, ho dato un calcio formidabile: due gattini sono saltati in volata sopra la siepe.