XXVI. Uno spettacolo indecente

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XXV XXVII

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XXVI.


UNO SPETTACOLO INDECENTE.


L’affare di Genova si presentava eccellente ma alquanto complicato. Si trattava di riscattare subito una polizza di pegno di oggetti preziosi. La mia lungimirante pupilla prevedeva, che l’impiego di capitali in brillanti ed in perle, in questo precipitare dei valori cartacei, sarebbe stato un ottimo investimento; e nel tempo stesso mi procuravo doni nuziali, degni di me.

A Milano (perchè ho dovuto andare anche a Milano a consultare il mio legale), sgradevole sorpresa: Biagino, il mio chauffeur, chiamato sotto le armi. Peccato, un bravo ragazzo! Rubava su la benzina e su le gomme in modo del tutto soddisfacente. Altra sorpresa sgradevole: tornando un giorno a casa mia, quattro soldatini feriti, allineati contro il muro al passaggio della mia automobile, levarono le stampelle contro di me, dicendo: Managgia li cani! Si capiva che erano romani, ma anche che i tempi si fanno climaterici.

Smettiamo l’automobile!

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Sinceramente, fui molto felice quando potei commutare nei gioielli gli assegni bancari che avevo preso con me quando mi recai la prima volta a P*** per comperare la contessina dalla chioma d’oro.

“Ebbene, compreremo invece Oretta dalla chioma bruna„.

Quei gioielli erano bellissimi.

V’era tra essi una collana di perle di un oriente perfetto che rappresentava da sola un valore non troppo inferiore al totale della somma da me impiegata.

“Gran Dio — dicevo tra me — quando io faccio vedere questo spettacolo a madama Caramella, essa è capace di commettere delle sciocchezze personali. Ebbene no, signora. Si tratta di un semplice regalo di nozze„. E voglio vedere se gli occhi di Oretta si fisseranno con indifferenza su queste gioie degne di una principessa di casa regnante. “Via, signorina, che il tempo delle violette mammole è trascorso, e alle rose convengono sì fatti ornamenti„.

Ebbene, quello che è successo appartiene al numero dei fatti inauditi, fantastici: direi cinematografici.

Io ne ho segnata la data memorabile: venerdì, sette giugno, ore undici e mezzo del mattino.

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*

Ma procediamo con ordine. Ero tornato da Genova a P*** col treno, dopo un viaggio disastroso; accaldato, assonnato, perchè quando si porta con sè una borsetta di simile valore non è il caso di addormentarsi.

Pensavo con piacere a Lisetta: “appena arrivato, faccio levare due secchi d’acqua, di quell’acqua gelida dal fondo del pozzo„. Ne sentivo in fantasia la sferzata dolce e ristoratrice. “Presto, Lisetta! II mio pijama e questi due marenghi per voi: uno per secchio„. Godevo a questo fresco pensiero.

Appena sceso a P***, ho preso una carrozzella e, con la mia borsetta in mano, mi sono fatto condurre al mio chalet. Il cavallo andava assai piano, ma non importa. Appena fuori della porta, l’aria della campagna cominciò a ventilare. V’era l’odore fresco del trifoglio rosso nei campi, v’era l’odore caldo delle spighe, mature ormai; v’erano i grappoli bianchi delle acacie. “La natura — pensavo — è sostanzialmente profumiera come me„.

Ma il cavallo andava assai piano, tanto che apersi la busta di un biglietto che mi giaceva in tasca. Era del mio meccanico e diceva: “Se [p. 189 modifica]torno, riprenderò servizio presso di lei, se non torno, dirò: Viva l’Italia„. “Ma che bravo ragazzo! Siamo tutti patriotti, adesso. Speriamo che ogni cosa vada a finir bene, e allora faremo belle gite per queste colline idilliche, con la signora Oretta, e forse con l’erede, a cui presenteremo il mondo sotto il suo aspetto più simpatico„.

Ma quando fummo al piede della salita, il cavallo si rifiutò di salire.

— Queste povere bestie — disse il vetturale — non mangiano più biada e non hanno più forza.

— Ebbene — risposi, — faremo quest’ultimo tratto a piedi.

Sono sceso e, con la mia borsetta in mano, mi sono avviato verso lo chalet.

Ma che cosa videro sotto la pergola le mie esterrefatte pupille?

È lui o non è lui?

Era Melai.

Ma non era partito? Se era lui, evidentemente non era partito.

Ho avuto una specie di turbamento premonitore.

Melai si intravedeva, sotto la pergola, pacificamente seduto su la poltrona di vimini. Fumava beato una sigaretta e spingeva le spire del fumo verso il cielo.

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Ma non era solo. Oretta era in piedi davanti a lui.

E papà? e mamà? Nessuno! Nessuno, fuor che cane Leone, addormentato.

Fin qui nulla di eccezionalmente grave; ma io avevo la percezione che stava per succedere qualche cosa di grave; perciò, quasi senza volerlo, mi trovai giù nel fosso e guardavo attraverso la siepe quello che stava succedendo sotto la pergola.

La scena era muta ma si capiva lo stesso. Gli occhi di Melai erano imbambolati nella contemplazione di Oretta; ed io sentivo che i miei occhi diventavano feroci.

Ad un tratto la manina di Oretta si mosse, prese dalla scatola, che era sul tavolino di vimini, un cioccolatino: lo spogliò dolcemente, allungò la manina. La bocca di Melai era anche essa imbambolata. Buttò via la sigaretta, e la signorina gli insinuò il cioccolatino nella bocca. E seguitò.

“Ma che confidenze son queste? Ma questo è un male ereditario! Ma quella scatola è la mia scatola, quei cioccolatini sono i miei cioccolatini!„.

Melai teneva ora chiusi gli occhi come alla prima comunione.

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“Ah, è questa la rinuncia, o impostore?„ esclamai. “Ma qui succede qualche cosa di molto più grave„.

Ad un tratto, cosa vedo? Vedo la signorina Oretta che si accosta anche più verso di lui; allunga la mano, e immerge la mano dentro i capelli di lui.

La mano passava e ripassava come se pettinasse: “la dama pettinava il damigello„. Lui andava indietro con la fronte e si lasciava pettinare. Era uno spettacolo grandioso: muto. Ma io sentivo fischiarmi le orecchie. Mi parve ad un tratto che nella campagna ci fossero come nascosti dei piccoli genietti che accompagnassero quella scena con i violini. Forse erano le cicale.

Poi, non so, o era il sole che si moveva sotto la pergola, o erano i miei occhi esterrefatti, ma le due figure si spostavano stranamente.

Oretta si piegava sempre di più, o si lasciava piegare; le pupille loro si avvicinarono; i due volti si confusero, e allora non si mossero più. Ma questo evidentemente è un bacio! La musica dei genietti si fermò, e anche il sole si fermò.

Non so per quanto tempo Melai e Oretta rimasero così, perchè io ero oramai paralizzato in [p. 192 modifica]fondo al fosso. Mi riscossi un po’ per volta, e dicevo: “Ma si baciano sempre! Brava, signorina Oretta, e congratulazioni anche a lei, signor Melai, congratulazioni! Ah, un bel santo!„

Volevo apparire dicendo così, ma non potei, perchè, d’improvviso, cane Leone si destò; latrò con rabbia, latrò con ferocia: lo vidi, con la gola spalancata e tutta la pelliccia furibonda, balzare verso di me.

Mi sono trovato nel mio chalet, sporco come un mostro. Per fortuna avevo ancora con me la mia borsetta.