In Valmalenco/Capitolo XXIV

Capitolo XIV. Psicologia alpina.

../Capitolo XXIII ../Capitolo XXV IncludiIntestazione 16 settembre 2019 100% Da definire

Capitolo XIV. Psicologia alpina.
Capitolo XXIII Capitolo XXV
[p. 249 modifica]

Psicologia alpina.


[p. 251 modifica]

XXIV.


.... e, chiaccherando sempre, saliamo a Caspoggio per la strada grande, lasciando alla nostra sinistra e sotto di noi il bel viale ombreggiato che prosegue fino a toccare il fiume, proprio alla confluenza del Mallero col Lanterna, lo attraversa, e si riunisce alla via che conduce a Lanzada.

Poi che il riposo e un pusigno ci hanno ristorate completamente le forze, vogliamo salir a Pantanaccio, frazione sopra Caspoggio, per bere l’acqua solforosa che i valligiani non toccano mai, perchè stuzzica troppo l’appetito.

Camminando, ci volgiamo ogni tratto a guardare il paesaggio che s’allarga, ed a seguire, curiosamente, l’opera di un centinaio di sterratori che lavorano ad allargar la strada per Chiesa.

Piero, che dopo la lettura del suo articolo s’è accalorato difendendolo da certe mie meticolose osservazioni, si ferma e mi dice: [p. 252 modifica]

“Vuoi ascoltarmi? ho bisogno di parlar un po’ di psicologia montanina: senti; ma non interrompermi;” e, senza aspettare risposta, mi investe con la sua parola facile e concettosa.

“Oramai anche l’alta montagna è divenuta accessibile a chiunque abbia danari da spendere; senza la minima fatica, comodamente seduti in un compartimento di ferrovia, si arriva a 2000 metri d’altezza; la funicolare trasporta poi a più di 3000; e quando sarà compiuta la linea della Jungfrau attualmente in costruzione, il più grasso e pacifico Tartarin che fantasia di poeta possa immaginare e capriccio di natura foggiare, potrà prendersi il gusto di dominar il mondo dall’alto di 4166 metri sul livello del mare.

L’alpinismo dunque è destinato a scomparire? Questo sport — che non è soltanto uno sport, perchè oltre che un utile esercizio fisico è anche una provvida disciplina dello spirito — dovrà, dopo che nella seconda metà del secolo scorso ha preso un così grande slancio, arrestarsi dinnanzi al trionfo del vapore e dei più complicati sistemi di trazione meccanica od elettrica? Chi non lo comprende, chi non vede l’alpinismo che dal suo lato esteriore, dal lato della tecnica e della ginnastica, della fatica e del pericolo, e non sospetta le profonde radici che ha nello spirito di chi lo pratica, crede sinceramente che la funicolare possa rendere inutile la picozza, che una qualsiasi linea ferrata, perchè si spinge ad altezze inaudite, abbia a rendere superfluo e ridicolo il lento andare per sentieri e per frane, per [p. 253 modifica]canaloni e per creste, in cerca di uno sbocco od alla conquista di una cima.

L’alpinista invece poco si giova delle funicolari. E non per un disdegno capriccioso o per un atteggiamento snobisbico, come avviene talvolta di udire; ma perchè egli sa che la montagna non rivela nessuno de’ suoi più dolci segreti, non concede nessuna delle più affascinanti sue grazie a chi pretende di dominarla brutalmente: perchè è convinto che in nessun modo la meccanica potrà dare all’uomo una vittoria vera sull’alpe. Il dominio al quale egli aspira è diverso, è più grande, è più pieno di quello che non consenta una comoda ascensione in ferrovia; a lui non basta lo spettacolo che si offre dall’alto di un picco anche vertiginosamente eretto nel vuoto, o la visione di ghiacciai imminenti o sottostanti, se il suo sguardo, protendendosi sulla vasta mole che gli si stende ai piedi, non può riconoscere od indovinare in ogni anfrattuosità del monte una valle percorsa, in ogni emergenza una vetta raggiunta, in ogni luccichio d’acque una fonte od un rivolo a cui si è dissetato. Poichè lo spirito dell’alpinista ha bisogno di questa pienezza e conoscenza per saturarsi, ha bisogno di avviluppare, di compenetrare quasi la montagna, di sentirla cosa sua, aderente a sè; l’amore per l’alpe non può esaurirsi nella contemplazione, ma ha bisogno del possesso: non basta vederla la montagna, ma occorre farla prigioniera, rinchiuderla, per una serie di esperienze ripetute, nel proprio animo per sempre. [p. 254 modifica]

Questo è quanto non possono comprendere coloro che accusano l’alpinismo d’essere un’inutile temerità: perchè la loro struttura psicologica è essenzialmente diversa da quella dell’alpinista: è più semplice, è più povera, almeno a questo riguardo. Con maggior facilità essi si appagano: e là dove l’appassionato percorritore di monti sente ingigantire la propria curiosità, sente dilatarsi la propria anima come per sete di nuove conquiste, essi rimangono impassibili, o ripiegano sopra se stessi, scettici ed irridenti per quell’entusiasmo da cui non son tocchi.

L’alpinista invece è un entusiasta per natura: la sua anima è prodigiosamente ricca: sondala in certi momenti e non ti riuscirà di attingerne il fondo: sembra che le altezze dei monti inaccessibili si riflettano in lui creandovi imperscrutabili abissi, sembra che l’infinito azzurro dei cieli ne saturi talvolta lo spirito. Eppure difficilmente esso si rivela: la severa disciplina dell’Alpe l’ha addestrato ad una assoluta padronanza di sè: non ha parole eccessive, non ha gesti inutili: la comunanza di vita con le montagne gli ha conferito qualche cosa della loro saldezza e del loro carattere.

Strana e complicata psicologia è la sua! Coesistono in lui due opposte tendenze: una tendenza scientifica, che si traduce in quella inesauribile sete di sapere, per cui egli non crede di conoscere veramente una montagna se non quando, come disse il Theobald, questa non si rivela chiara come un cristallo agli occhi della sua [p. 255 modifica]mente: è quasi sempre quindi uno studioso, sia pure per diletto, di geologia e di storia naturale; e c’è in lui anche una tendenza estetica che si manifesta nel bisogno di contemplare panorami nuovi e diversi, di godere degli spettacoli della natura in quello che hanno di più grande e di più vario: è quasi sempre quindi, potenzialmente se non di fatto, un poeta od un artista.

Ma è sopratutto uno spirito solitario: c’è qualche cosa di primitivo e di selvaggio in lui: il rischio, l’ardimento, l’avventura lo seducono e lo attraggono. L’alpinismo sembra una protesta contro lo spirito utilitario e borghese del secolo in cui specialmente si manifestò: è il disinteresse che prende la sua rivincita su l’utilitarismo. Chi lo pratica è un uomo che antepone le soddisfazioni dello spirito, apparentemente inutili, al benessere del corpo; è un ingenuo od un caparbio che, per un’idea o per un’ambizione, mette a repentaglio la vita. Frutto estremo di una civiltà matura e materiata di artificio, l’alpinismo rappresenta un ritorno alla semplicità, alla forza, alla schiettezza: non bisogna osteggiarlo, ma salutare in esso uno strumento di rinnovazione e di rinvigorimento spirituale.

“E d’altra parte, ascolta” continuò Piero, felice del mio assentimento, “tocco un altro lato della psicologia alpina:” e tornò a fermarsi, indicandomi con la mano la Val del Mallero che ci si apriva dinnanzi.

“Tu stesso m’hai detto che là, in fondo, il monte Fora verrà probabilmente preso d’assalto [p. 256 modifica]da perforatrici e da uomini, per aprire una via nuova fra Valmalenco e l’Alta Engadina; a Milano, proprio in questi mesi, si celebrano con entusiasmo le feste per l’inaugurazione della terza galleria alpina: ebbene, chi oserà negare la grandezza dell’opera compiuta dagli uomini? L’alpinista non deve e non può essere misoneista o retrivo: di ogni progresso deve anzi giovarsi e delle più estese reti di scambio e di passaggio non ha che a trarre incremento e possibilità di sviluppo. Nessuno dunque dirà che queste ferrovie transalpine non sieno testimoni maravigliosi dell’industre tenacia degli uomini. Io mi ricordo anzi dell’impressione riportata da una mia prima visita al traforo del Sempione e dell’inno alla vittoria umana che sciolsi allora. Eppure, parlare di vittoria, parlare di “Alpi vinte” come nell’iscrizione che si legge al sommo dell’entrata principale dell’Esposizione di Milano, è per lo meno un’improprietà di linguaggio. Le Alpi vinte? Ma no! Mentre gli uomini entrano nelle loro viscere bucate esse se ne stanno placide e salde nella loro grandezza, senza neppure accorgersi dei piccoli intrusi. Il loro regno è troppo vasto perchè gli uomini possano neppur mai pensare di conquistarlo. Che importa se un treno fischiando le attraversa per quindici o venti chilometri di lunghezza? Nei loro fianchi possenti, il fischio più acuto si perde senza eco, la macchina più fragorosa si avvolge nel buio e nel silenzio perdutamente. Sembra che gli uomini trattengano il respiro passando per lo stretto [p. 257 modifica]pertugio da essi aperto, affinchè il nemico non si svegli o si allarmi; c’è qualche cosa di furtivo nel passare di un treno attraverso le Alpi, qualche cosa che sembra la frode di un uomo astuto compiuta ai danni di un gigante bonario. E le Alpi hanno veramente, quando non soggiaciono all’émpito della bufera o si offuscano nell’imperversar della tormenta, questa bonarietà semplice e grande: sembra che esse non riconoscano per nemici degni della loro potenza che i nembi scatenati e furiosi; ed altrettanto sono terribili nei loro combattimenti con le furie del cielo, quanto sono placide se il sole le avvolge nella sua gloria tepida, facendole riscintillare di tinte rosee e cilestrine entro i crepacci immensi dei ghiacciai. Come dunque si possono dir vinte se esse neppure si sono accorte che gli uomini scendevano in guerra contro di loro? se esse continuano a palpitare di vita nel sole ed a corruscarsi terribili di ira nelle tempeste? È una gloria vana la nostra ed è un’illusione superba quella chi ci fa credere di aver potuto vincere l’invincibile: la Natura.”

... L’amico mio tacque, tergendosi la fronte bagnata di sudore.

Io gli camminai a fianco, compreso delle verità espresse e gli misi una mano sulla spalla per ringraziarlo, poichè egli, con la sua fine analisi scrutatrice, aveva rivelato a me stesso pensieri informi che mi si agitavano dentro e che, senza la sua parola, sarebbero forse inutilmente vaniti.