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loni e per creste, in cerca di uno sbocco od alla conquista di una cima.

L’alpinista invece poco si giova delle funicolari. E non per un disdegno capriccioso o per un atteggiamento snobisbico, come avviene talvolta di udire; ma perchè egli sa che la montagna non rivela nessuno de’ suoi più dolci segreti, non concede nessuna delle più affascinanti sue grazie a chi pretende di dominarla brutalmente: perchè è convinto che in nessun modo la meccanica potrà dare all’uomo una vittoria vera sull’alpe. Il dominio al quale egli aspira è diverso, è più grande, è più pieno di quello che non consenta una comoda ascensione in ferrovia; a lui non basta lo spettacolo che si offre dall’alto di un picco anche vertiginosamente eretto nel vuoto, o la visione di ghiacciai imminenti o sottostanti, se il suo sguardo, protendendosi sulla vasta mole che gli si stende ai piedi, non può riconoscere od indovinare in ogni anfrattuosità del monte una valle percorsa, in ogni emergenza una vetta raggiunta, in ogni luccichio d’acque una fonte od un rivolo a cui si è dissetato. Poichè lo spirito dell’alpinista ha bisogno di questa pienezza e conoscenza per saturarsi, ha bisogno di avviluppare, di compenetrare quasi la montagna, di sentirla cosa sua, aderente a sè; l’amore per l’alpe non può esaurirsi nella contemplazione, ma ha bisogno del possesso: non basta vederla la montagna, ma occorre farla prigioniera, rinchiuderla, per una serie di esperienze ripetute, nel proprio animo per sempre.