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pertugio da essi aperto, affinchè il nemico non si svegli o si allarmi; c’è qualche cosa di furtivo nel passare di un treno attraverso le Alpi, qualche cosa che sembra la frode di un uomo astuto compiuta ai danni di un gigante bonario. E le Alpi hanno veramente, quando non soggiaciono all’émpito della bufera o si offuscano nell’imperversar della tormenta, questa bonarietà semplice e grande: sembra che esse non riconoscano per nemici degni della loro potenza che i nembi scatenati e furiosi; ed altrettanto sono terribili nei loro combattimenti con le furie del cielo, quanto sono placide se il sole le avvolge nella sua gloria tepida, facendole riscintillare di tinte rosee e cilestrine entro i crepacci immensi dei ghiacciai. Come dunque si possono dir vinte se esse neppure si sono accorte che gli uomini scendevano in guerra contro di loro? se esse continuano a palpitare di vita nel sole ed a corruscarsi terribili di ira nelle tempeste? È una gloria vana la nostra ed è un’illusione superba quella chi ci fa credere di aver potuto vincere l’invincibile: la Natura.”
... L’amico mio tacque, tergendosi la fronte bagnata di sudore.
Io gli camminai a fianco, compreso delle verità espresse e gli misi una mano sulla spalla per ringraziarlo, poichè egli, con la sua fine analisi scrutatrice, aveva rivelato a me stesso pensieri informi che mi si agitavano dentro e che, senza la sua parola, sarebbero forse inutilmente vaniti.
G. Nolli. In Valmalenco - 17 |