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mente: è quasi sempre quindi uno studioso, sia pure per diletto, di geologia e di storia naturale; e c’è in lui anche una tendenza estetica che si manifesta nel bisogno di contemplare panorami nuovi e diversi, di godere degli spettacoli della natura in quello che hanno di più grande e di più vario: è quasi sempre quindi, potenzialmente se non di fatto, un poeta od un artista.
Ma è sopratutto uno spirito solitario: c’è qualche cosa di primitivo e di selvaggio in lui: il rischio, l’ardimento, l’avventura lo seducono e lo attraggono. L’alpinismo sembra una protesta contro lo spirito utilitario e borghese del secolo in cui specialmente si manifestò: è il disinteresse che prende la sua rivincita su l’utilitarismo. Chi lo pratica è un uomo che antepone le soddisfazioni dello spirito, apparentemente inutili, al benessere del corpo; è un ingenuo od un caparbio che, per un’idea o per un’ambizione, mette a repentaglio la vita. Frutto estremo di una civiltà matura e materiata di artificio, l’alpinismo rappresenta un ritorno alla semplicità, alla forza, alla schiettezza: non bisogna osteggiarlo, ma salutare in esso uno strumento di rinnovazione e di rinvigorimento spirituale.
“E d’altra parte, ascolta” continuò Piero, felice del mio assentimento, “tocco un altro lato della psicologia alpina:” e tornò a fermarsi, indicandomi con la mano la Val del Mallero che ci si apriva dinnanzi.
“Tu stesso m’hai detto che là, in fondo, il monte Fora verrà probabilmente preso d’assalto