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Questo è quanto non possono comprendere coloro che accusano l’alpinismo d’essere un’inutile temerità: perchè la loro struttura psicologica è essenzialmente diversa da quella dell’alpinista: è più semplice, è più povera, almeno a questo riguardo. Con maggior facilità essi si appagano: e là dove l’appassionato percorritore di monti sente ingigantire la propria curiosità, sente dilatarsi la propria anima come per sete di nuove conquiste, essi rimangono impassibili, o ripiegano sopra se stessi, scettici ed irridenti per quell’entusiasmo da cui non son tocchi.

L’alpinista invece è un entusiasta per natura: la sua anima è prodigiosamente ricca: sondala in certi momenti e non ti riuscirà di attingerne il fondo: sembra che le altezze dei monti inaccessibili si riflettano in lui creandovi imperscrutabili abissi, sembra che l’infinito azzurro dei cieli ne saturi talvolta lo spirito. Eppure difficilmente esso si rivela: la severa disciplina dell’Alpe l’ha addestrato ad una assoluta padronanza di sè: non ha parole eccessive, non ha gesti inutili: la comunanza di vita con le montagne gli ha conferito qualche cosa della loro saldezza e del loro carattere.

Strana e complicata psicologia è la sua! Coesistono in lui due opposte tendenze: una tendenza scientifica, che si traduce in quella inesauribile sete di sapere, per cui egli non crede di conoscere veramente una montagna se non quando, come disse il Theobald, questa non si rivela chiara come un cristallo agli occhi della sua