Il treno volante/IV
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IV
La costa africana
Cinque minuti dopo El-Kabir giungeva sulla piattaforma aiutato da Heggia e da un altro negro di forme pure atletiche. L’arabo, che aveva sempre diffidato delle invenzioni diaboliche degli Europei, sebbene avesse sempre finito con l’ammirarle, nel trovarsi sospeso fra cielo e terra, con la massa gigantesca dell’aerostato sospesa sul capo, aveva provato una tale commozione da sentirsi mancare le gambe.
Tutto il coraggio — e del coraggio ne aveva molto — lo aveva abbandonato ed era diventato grigiastro, che è quanto dire pallidissimo.
— Mi pare che la mia testa giri — disse appoggiandosi ai due negri, i quali dal canto loro non parevano più tranquilli del padrone.
— Coraggio, amico — disse Matteo, prendendolo per una mano e costringendolo a sedersi su una cassa, sulla quale aveva gettato un cuscino. — La tua commozione è naturale, passerà subito.
— Non abbiate alcun timore, El-Kabir — disse il tedesco. — Vedrete come manovrerò la mia nave aerea.
— Sì, vi credo... — balbettò l’arabo. — Gli è che... cosa volete... mi pare di dover precipitare dall’alto da un momento all’altro.
— Paure che passeranno — disse Matteo, il quale aveva ritirata la scala di corda.
— Siamo pronti? — chiese Ottone.
— Sì — rispose il greco.
Le due eliche si misero in movimento e l’aerotreno riprese la corsa e questa volta con velocità tripla, perchè seguiva il filo del vento che soffiava da levante a ponente.
La città di Zanzibar fu sorpassata in meno di tre minuti e il Germania filò sopra il mare dirigendosi verso la costa africana.
L’arabo, passato il primo momento di emozione, cominciava a riprendere il suo sangue freddo. Era un uomo che aveva dato grandi prove di coraggio nel centro dell’Africa, durante la sua vita avventurosa; quindi la paura non doveva durare molto in lui.
Anzi, quasi fosse vergognoso di quel momentaneo sgomento, del resto giustificato, si era subito alzato dopo di aver guardato con ammirazione il superbo treno che fendeva lo spazio come un immenso uccello, e dopo aver percorso la piattaforma da un capo all’altro, aveva raggiunto il tedesco, il quale stava orizzontando il timone.
— Lasciate che vi faccia i miei complimenti — gli disse. — Sono ben lieto di avervi associato alla mia impresa.
— Ed io sono contento di vedervi ora così tranquillo — rispose il tedesco.
— Il vostro pallone è un prodigio!
— Che farà dei miracoli anche in Africa.
— Ne sono convinto, signore.
— V’è passato il timore?
— Sì — rispose l’arabo sorridendo. — Da principio non mi credevo sicuro; ora invece sono così tranquillo, come mi trovassi in casa mia. Che bella sorpresa per le spie d’Altarik!
— Vegliavano attorno alla vostra casa?
— Ve n’erano otto.
— Hanno veduto il pallone?
— Sì, signore, e so dirvi anzi che hanno avuto tale paura, vedendo comparire sopra la mia casa un simile mostro, che sono fuggiti, urlando come se fossero impazziti.
— Sicchè domani si racconterà a Zanzibar che un mostro enorme ha minacciato la città.
— E si metteranno in moto tutte le guardie del Sultano per dargli la caccia — disse l’arabo.
— E s’interrogheranno tutti i muezzin delle moschee — aggiunse il greco. — Si parlerà a lungo del mostro misterioso che ha rapito El-Kabir.
— Forse faranno di me un santone — disse l’arabo. — Chi non crederà sarà Altarik.
— Che quell’arabo possa sospettare qualche cosa?
— Altarik è stato più d’una volta in Europa e s’immaginerà di che cosa si tratta. Le sue spie non mancheranno di avvertirlo.
— Ma se è già sul continente...
— I corrieri lo raggiungeranno, Matteo — disse l’arabo. — Non deve essere molto lontano da Bagamoyo.
— Passeremo su quella città — disse il tedesco. — Il vento ci porta in quella direzione.
— Sarebbe meglio evitarla.
— E perchè, El-Kabir? — disse il greco.
— Vi sono dei cannoni in quella città e gli arabi possono spararli contro di noi, credendo d’aver a che fare veramente con un mostro.
— I tedeschi, che sono numerosi in città, non lo permetteranno — disse Ottone. — D’altronde, non avendo alcun interesse di passare sopra tale città, procureremo di tenerci lontani. Passeremo invece sopra Dunda.
— Vediamo se si scorge ancora la dau — disse il greco.
I tre uomini si portarono a prora, spingendo lontano gli sguardi.
Il Germania, che aveva scaricato tre quintali di zavorra per ristabilire l’equilibrio compromesso dai due negri e dall’arabo, filava sopra il mare, tenendosi ad un’altezza di duecento metri.
Lo stretto di Zanzibar era in quel momento deserto. Sulla bruna superficie del mare, appena rischiarata dalla tremula luce delle stelle le quali si rispecchiavano vagamente nel cavo delle onde, non si scorgeva alcuna nave nè alcun punto luminoso.
Verso l’isola però, la quale compariva in quasi tutta la sua ampiezza, i due europei e l'arabo scorsero, ad una grande distanza, due fanali che s’avanzavano in direzione della villa del greco. Di quando in quando un solco fiammeggiante s’alzava per poi descrivere una lunga parabola.
Pareva che qualche nave facesse dei segnali.
— Deve essere la dau — disse Maitteo.
— Sì, — rispose il tedesco. — Si è messa alla caccia con la magra convinzione di poterci seguire ed intanto ci segnala alle spie d’Altarik. Perderà il suo tempo inutilmente.
— Quale costanza! — esclamò Matteo.
— Si sono accorti che noi stiamo per andare a raccogliere il tesoro a dispetto di tutte le precauzioni prese dal loro padrone — disse l’arabo. — La sorveglianza attorno alla mia casa ha giovato ben poco a loro.
«Signor Ottone, sapete cosa provo?
— Parlate, El-Kabir.
— Una punta d’appetito. Quest’aria frizzante mi stuzzica.
— Giacchè il tempo è tranquillo ed il vento ci porta senza bisogno di dover stare al timone, approfittiamone — disse il tedesco. — Matteo, apri alcune scatole di carne conservata, dammi dei biscotti, stura una bottiglia di ginepro. Un bicchierino non farà male.
— Il Profeta proibisce le bevande fermentate — disse l’arabo.
— Ti perdonerà in vista delle circostanze speciali — disse il greco. — Lo ha proibito agli uomini che vivono in terra e non già a quelli che volano.
— Ed infatti il Corano non ha mai accennato agli uomini che volano.
— Come vedi, tu puoi gustare il nostro liquore.
— Tu sei il più forte; mi sottometto al tuo giudizio — rispose l’arabo.
I due negri, che si erano un po’ rimessi, avevano trascinata una cassa in mezzo alla piattaforma, gettandovi sopra una tovaglia, mentre Matteo apriva le scatole e sturava le bottiglie.
L’arabo ed i due europei si misero a mangiare col miglior appetito, non dimenticando i negri. Anzi l’arabo gustò molto il ginepro a dispetto dei precetti del Corano.
Mentre mangiavano, l’alba sorgeva. Le stelle scomparivano e le tenebre si dileguavano, mentre il sole saliva sull’orizzonte e il mare scintillava di miriadi di punti d’oro.
L’isola di Zanzibar era scomparsa nella nebbia mattutina, mentre verso occidente cominciava a delinearsi la costa africana, di già molto vicina.
Alcuni uccelli marini erano accorsi a volteggiare attorno al treno aereo, salutandolo con strida gioconde e cercando di seguirlo nella sua rapida corsa.
L’arabo e i due europei, messi di buon umore dalla colazione, stavano per accendere le pipe quando fra la nebbia che copriva il mare videro uscire una nave a vapore, la quale pareva che si dirigesse verso Zanzibar.
Era una nave a due alberi, di vecchia apparenza, armata di alcuni cannoni e che sull’albero maestro portava la bandiera del Sultano.
— Ecco tutta la flotta del nostro Re — disse l’arabo.
La nave, vedendo l’aerotreno, il quale passava quasi sopra di essa, ad un’altezza di trecentocinquanta metri, essendosi il gas già dilatato sotto il calore solare, si era arrestata. Sulla coperta si vedeva l’equipaggio arabo immobile, con le teste alzate, guardando con stupore e con paura quel misterioso mostro che gareggiava con gli uccelli marini.
— Allah! Allah! — si udiva gridare.
Quegli uomini superstiziosi ed ignoranti, non sapendo di che cosa si trattasse, invocavano Dio perchè li salvasse da qualche tremendo pericolo. Probabilmente scambiavano il treno aereo per un vero mostro, pronto a gettarsi sulla loro nave e a mandarla a fondo.
Il Germania però, spinto dalla brezza mattutina, passò rapido, continuando la sua corsa verso la costa africana.
— Che paura! — esclamò il greco, il quale rideva a crepapelle.
— Chissà cosa racconteranno al Sultano quando saranno giunti a Zanzibar.
— Diranno che avranno combattuto contro un mostro marino — disse El-Kabir. — Non udite che fanno tuonare i cannoni?
— Credono di spaventarci!
— Sì, Matteo.
— Ed è quella tutta la flotta del vostro Sultano? — chiese Ottone.
— Non ne ha altra, eppure il Sultano è orgoglioso di quel vapore al pari e forse più di Said-Megid, che fu il primo a dotare Zanzibar di una nave a vapore.
«È una nave che è costata molto cara, quasi quanto uno dei vostri incrociatori.
— E per quale motivo?
— Voi non sapete la storia di quella nave?
— No, El-Kabir — rispose il tedesco.
— Ve la voglio raccontare perchè è buffa ed anche interessante.
Accese la pipa, si sedette sulla cassa che aveva servito da tavola, bevette avidamente un altro bicchierino di ginepro, poi disse:
— Said-Megid, dopo aver ben rassodata la sua autorità, era stato preso da una vera manìa di possedere una nave a vapore.
«Il Sultano, che era oltremodo orgoglioso, provava un dispetto da non dirsi, vedendo le navi a vapore europee approdare nel suo Stato, mentre lui non possedeva che delle meschine navi a vela, incapaci di sostenere un combattimento, anche contro una minuscola cannoniera.
«Si narra che egli passasse delle intiere giornate sulla sua vasta terrazza, guardando con rabbia i piroscafi che entravano e uscivano dal porto; e che allora sogni incessanti turbassero la sua mente eccitata da idee di grandezza e di dominio e che piangesse d’ira e di impotenza.
«Un giorno, deciso a procurarsi una di quelle rapide navi, prese da parte uno de’ suoi fedeli ministri, Assim Abdellah, che si era distinto per il suo coraggio nella repressione di varie rivolte e gli disse:
«— Ho fatto istruire tuo figlio in Francia perchè vedesse e studiasse tutte le stregonerie dei bianchi e le meraviglie degli infedeli. Io voglio solcare i mari al pari di loro e desidero avere una nave a vapore anch’io.
«— Costerà cara, Altezza — osservò il ministro.
«— Metto i miei tesori a tua disposizione, perchè esigo ne sia conservato il segreto.
«Il figlio del ministro, Mohamed, aveva studiato da ingegnere a Parigi per incarico del Sultano. Annuì dunque subito al desiderio del suo signore e partì portando seco somme ingenti.
«Disgraziatamente Mohamed era non solo giovane, ma amava lo sfarzo ed i piaceri; quindi, invece di correre subito in qualche porto europeo, tornò a Parigi gettandosi a corpo perduto nel turbine del cervello del mondo.
«Il vapore fu mangiato coscienziosamente in meno di tre mesi!
«Il povero Sultano, frattanto, confinato nella sua isola, sospirava l’arrivo della sua nave. Ogni volta che ne vedeva una solcare il mare, correva sulla terrazza sperando che fosse la sua ed erano invece amare disillusioni.
«Un brutto giorno gli arrivò la notizia che la nave tanto impazientemente attesa si era sprofondata nelle orge parigine e che Mohamed tornava a Zanzibar a bordo di una nave inglese implorando anticipatamente il perdono!
— L’avrà fatto subito impalare — disse Matteo.
— Mai più. Dapprima ne aveva avuta l’intenzione, poi, pensando ai grandi servizi resigli da suo padre, voleva esiliarlo per sempre; quindi... finì per riaprirgli le proprie casse e rimandarlo in Europa a comprargli un nuovo vapore.
— Troppo buono quel Sultano — disse il tedesco. — Io lo avrei fatto decapitare.
— Mohamed adunque ripartì, sotto la condizione di non ritornare che col famoso vapore.
«La lezione non era bastata al giovane Mohamed. Il ricordo delle follie commesse a Parigi, con i denari del Sultano, doveva torturarlo ancora.
«Aveva divisato già anticipatamente di calare a fondo anche il secondo vapore nella capitale francese. Per una singolare coincidenza, sbarcando ad Aden incontra una sua conoscenza, e la coppia parte allegramente per il Cairo divorando a quattro palmenti la nave del povero Sultano.
«Quando si vide nuovamente a secco di fondi, Mohamed non ebbe il coraggio di tornare a Zanzibar, dove questa volta lo avrebbe infallibilmente atteso la morte.
«Un lampo di genio lo salvò. Vestito dei suoi abiti più splendidi si reca da un ricco armatore di Alessandria e colà facendosi conoscere per inviato del Sultano, contratta una superba nave che doveva pagarsi poi sulla piazza di Zanzibar.
«Intanto il Sultano era stupito di non veder ritornare il suo inviato. Alcune voci vaghe avevano raddoppiate le sue inquietudini. Finalmente apprese che anche la seconda nave era calata a fondo in vista delle Piramidi. ... gli arabi si erano arrestati brandendo i lunghi fucili...
(Cap. V).
«Giurò di far tagliare la testa al miserabile che lo aveva ingannato per ben due volte, e comandò che lo si arrestasse appena sbarcato.
«Indovinate invece quale fu la sua meraviglia quando un giorno, dall’alto della sua terrazza, vide entrare nel porto una superba nave a vapore, che portava i colori della sua casa.
«Fu un colpo di fulmine. Credette dapprima di essersi ingannato; ma no, la nave portava veramente i colori di Zanzibar: bandiera rossa con mezza luna d’argento e sul ponte di comando si distingueva Mohamed in gran tenuta d’ammiraglio.
«Il Sultano fu ad un pelo d’impazzire. Scese precipitosamente sulla riva ebbro di gioia, abbracciò il figlio del fedele ministro e non solo gli perdonò la seconda scappata, ma lo nominò anche ammiraglio della flotta zanzibarese, pagando poi per la terza volta la nave.
«Mohamed ha conservato il suo grado e sinchè oggidì è il comandante supremo delle forze marittime dello Stato, le quali consistono nel vapore che avete visto e in una decina di barche a vela incapaci di reggersi!