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48 emilio salgari


— I tedeschi, che sono numerosi in città, non lo permetteranno — disse Ottone. — D’altronde, non avendo alcun interesse di passare sopra tale città, procureremo di tenerci lontani. Passeremo invece sopra Dunda.

— Vediamo se si scorge ancora la dau — disse il greco.

I tre uomini si portarono a prora, spingendo lontano gli sguardi.

Il Germania, che aveva scaricato tre quintali di zavorra per ristabilire l’equilibrio compromesso dai due negri e dall’arabo, filava sopra il mare, tenendosi ad un’altezza di duecento metri.

Lo stretto di Zanzibar era in quel momento deserto. Sulla bruna superficie del mare, appena rischiarata dalla tremula luce delle stelle le quali si rispecchiavano vagamente nel cavo delle onde, non si scorgeva alcuna nave nè alcun punto luminoso.

Verso l’isola però, la quale compariva in quasi tutta la sua ampiezza, i due europei e l'arabo scorsero, ad una grande distanza, due fanali che s’avanzavano in direzione della villa del greco. Di quando in quando un solco fiammeggiante s’alzava per poi descrivere una lunga parabola.

Pareva che qualche nave facesse dei segnali.

— Deve essere la dau — disse Maitteo.

— Sì, — rispose il tedesco. — Si è messa alla caccia con la magra convinzione di poterci seguire ed intanto ci segnala alle spie d’Altarik. Perderà il suo tempo inutilmente.

— Quale costanza! — esclamò Matteo.

— Si sono accorti che noi stiamo per andare a raccogliere il tesoro a dispetto di tutte le precauzioni prese dal loro padrone — disse l’arabo. — La sorveglianza attorno alla mia casa ha giovato ben poco a loro.

«Signor Ottone, sapete cosa provo?

— Parlate, El-Kabir.

— Una punta d’appetito. Quest’aria frizzante mi stuzzica.

— Giacchè il tempo è tranquillo ed il vento ci porta senza bisogno di dover stare al timone, approfittiamone — disse il te-