Il tesoro del presidente del Paraguay/20. I giaguari delle pampas

20. I giaguari delle pampas

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XX.

I giaguari delle Pampas.


D
ormivano da parecchie ore, russando sonoramente, quando vennero improvvisamente svegliati da clamori assordanti: erano grida di uomini, strilli acutissimi di donne e di ragazzi, nitriti e scalpitii dei cavalli. Pareva che tutto il campo fosse in rivoluzione.

Diego e Cardozo, sospettando che fosse accaduta una qualche grave sciagura, si precipitarono fuori della tenda, stropicciandosi energicamente gli occhi, pronti ad approfittare della confusione per svignarsela sui primi cavalli che avessero potuto aver sottomano.

Le tenebre, che erano calate da parecchie ore, non permisero a loro di ben distinguere cosa accadesse nel campo, mancando la luna e anche le stelle, che erano scomparse sotto un denso strato di vapori. Videro però confusamente accorrere in diverse direzioni uomini e donne, chi a piedi e chi a cavallo, mandando grida che parevano di furore o di disperazione.

Alcuni, che passarono di corsa a pochi passi dalla tenda, portavano delle armi, lance, lazi e bolas, mentre altri cercavano di rompere le fitte tenebre con dei tizzoni accesi, che si vedevano correre attraverso le file delle tende, con grande pericolo di incendiarle.

— Che il campo sia stato assalito? — chiese Cardozo. [p. 170 modifica]

— Non ne so più di te, rispose il mastro; — ma io penso che dovremmo approfittare di questa confusione per prendere il largo.

— E vuoi tu lasciare qui il signor Calderon?

— Hai ragione, figliuol mio. Ah! Se si potesse sapere dove si trova quel benedetto uomo! L’ho sempre detto io che quel gambero ci sarà più d’impiccio che di utilità.

— Cerchiamolo, e, se lo troviamo, faremo giuocare le gambe.

— Dei cavalli però, poichè noi non potremo andare molto lungi colle nostre.

Non vedendo nessuno nei pressi della loro tenda, si gettarono in mezzo all’accampamento, procurando di non farsi scorgere; ma non avevano ancora fatto venti passi, che videro i Patagoni ritornare verso le loro tende. Parevano ancora in preda ad una viva eccitazione e mandavano grida di rabbia.

— Troppo tardi, — disse Cardozo, fermandosi.

— Tuoni e lampi! — esclamò il mastro, digrignando i denti e applicandosi un furioso pugno sul capo. — Che abbiano ributtato i nemici?

— Ma quali nemici? Dev’essere un falso allarme, poichè vedo che tornano tutti.

— Ma mi sembrano furiosi.

— Che scoppino!

— Ehi! Marinaio, tu diventi idrofobo, — disse il ragazzo ridendo.

— Bisogna diventarlo. Ecco una bella occasione perduta, e tutto per colpa di quel dannato agente del Governo. Senza di lui a quest’ora noi saremmo lontani.

— Dove vanno i figli della luna? — chiese in quell’istante una voce, dietro di loro.

Si volsero e si trovarono dinanzi al capo e al signor Calderon.

Il mastro stava per rispondere, ma il capo non gli lasciò tempo, poichè riprese subito con accento irritato:

— Poco fa un giaguaro del Rio Negro è entrato nel mio [p. 171 modifica]campo e ha divorato un ragazzo, un figlio dei Tehuels! Perchè i figli della luna, che sono così potenti, non l’hanno ucciso prima che entrasse?

— Oh diavolo! — esclamò il mastro. — Guarda, ragazzo, che questo pescecane di prateria se la prende con noi.

— Se domani i figli della luna non vendicheranno il figlio dei Tehuels, morranno!

— Olà, capo, avete bevuto troppa aguardiente?

— Ho detto!

Poi, senz’attendere altra risposta, il capo volse bruscamente le spalle e si allontanò. Cardozo e il mastro, sorpresi da quell’inattesa minaccia e come trasognati, si guardarono in viso.

— Che il capo sia impazzito? — chiese Cardozo. — Cosa c’entriamo noi in questa storia del giaguaro e del bambino mangiato?

— Siete i figli della luna, — disse l’agente del Governo, che non si era allontanato.

— E perchè voi, signor stregone, non avete mandato nel fiume quel signor giaguaro? — chiese il mastro con violenza. — Che il diavolo si porti la luna e quei dannati pagani, che ci prendono per uomini caduti dal cielo.

— State in guardia, — disse l’agente. — Hauka non è uomo da scherzare.

— Sicchè noi dovremo andar a scovare il giaguaro?

— Lo ha detto Hauka.

— E con quali armi?

— Avrete i vostri fucili.

Ciò detto, se n’andò senza aggiungere altro. Cardozo e il mastro rimasero lì, ancora stupiti di quella strana avventura, che poteva costare a loro la pelle.

— Cosa ne dici, figliuol mio? — chiese alfine il mastro.

— Io dico che quel volpone di Calderon cerca di metterci in brutti imbarazzi.

— Lo sospetto anch’io, Cardozo. Io non so il perchè: ma diffido sempre più di quell’uomo, e non vorrei... Basta così; lo terrò d’occhio quell’agente dalla faccia scialba. [p. 172 modifica]

Poi, guardando bene in viso Cardozo:

— Hai paura dei giaguari?

— Nemmeno di un elefante, quando sono con te, — rispose senza esitare il bravo ragazzo.

— Allora ce la caveremo a dispetto dell’agente. Figliuol mio, andiamo a dormire.

Ritornarono nella loro tenda, si avvolsero nuovamente nelle coperte e si riaddormentarono tranquillamente, come se nulla fosse loro toccato.

Il loro sonno fu però di breve durata, poiché furono vegliati da una brusca scossa. Un patagone era entrato sotto la tenda portando con sé i due fucili promessi dall’agente del Governo.

Diego e Cardozo ricevettero con vera gioia le loro fedeli carabine, che ormai credevano per sempre perdute, nonché alcuni pacchi di cartucce, che i Patagoni avevano conservati con grande cura, a quanto pareva.

— Seguitemi, — disse il patagone. — L’alba sta per sorgere.

— Andiamo, — disse Cardozo. — Sono impaziente di cacciare questo signor giaguaro, che tiene fra le sue zanne la nostra pelle.

— Lo uccideremo, figliuol mio, — disse il mastro, che caricava attentamente la carabina: — te lo assicuro. Me ne intendo io di queste cacce.

Uscirono dalla tenda e seguirono la loro guida, che li condusse all’altra estremità del campo, che si prolungava verso il fiume. Quantunque il sole non fosse ancora alzato, alcune donne erano già in piedi, occupate a pettinarsi con certe grosse spazzole, operazione che curano assai, avendo la precauzione di gettare prontamente nel fuoco i capelli caduti, per tema che un nemico li prenda e se ne serva per gettare contro le proprietarie dei malefizi, essendo tale la credenza; anche alcuni uomini vegliavano qua e là, agli angoli del campo, passando il tempo a giuocare con certe carte di cuoio che chiamano bersen, o ai dadi, giuoco questo importato dagli spagnoli. [p. 173 modifica]

Giunto fuori dell’accampamento, il patagone additò ai marinai una fitta macchia, che poteva chiamarsi un bosco, il quale si estendeva per un lunghissimo tratto, seguendo la riva del Rio Negro.

— Il giaguaro è là — disse. — Che Vitamentru vi guidi e Gualisciù si tenga lontano.

— E che il diavolo ti porti, — concluse il mastro.

Stava per rimettersi in marcia, quando la sua attenzione fu attirata da un cavaliere che si teneva ad una certa distanza. Aguzzò gli occhi, ma, essendo la notte troppo oscura, non riescì a distinguerlo.

— Sarà il capo, che viene ad assistere alla nostra partenza, — disse. — Orsù, in cammino, Cardozo, e non aver paura, ché i giaguari non sono tali animali da affrontare due uomini armati di carabine.

— Non temere, marinajo. Ho il polso fermo e l’occhio giusto.

Volsero le spalle all’accampamento, si misero le carabine sotto il braccio e si diressero verso il bosco colla stessa tranquillità come se andassero a fare una semplice passeggiata, anziché alla caccia del più pericoloso felino dell’America meridionale.

Un silenzio quasi assoluto regnava sulla pampa. Non si udivano che lo squittire di qualche mattiniera tanagra azzurra solcante lo spazio, e il sordo rumore del tuco-tuco, animaletto che abbonda nelle praterie Patagoni e che occupa il suo tempo a scavare gallerie sotterranee, sovente assai lunghe.

Qua e là, in mezzo ai cardi, brillavano vagamente, come se fossero scintille cadute dal cielo, i lurioles, grossi vermi che tramandano di notte una luce vivissima, e si sentivano fuggire i chaunas, grossi uccelli gallipedi, colle ali armate di forti speroni, le dita dei piedi lunghissime e una voce forte e aspra come quella dei pavoni.

I due cacciatori, attraversata la prateria, si inoltrarono sotto il bosco, formato da un agglomeramento inestricabile di boyghe, di carrubi, di guegued e di luma, fra i quali [p. 174 modifica]di quando in quando si alzava giganteggiando sopra tutti qualche superbo ombù. Il mastro si fermò un momento per ascoltare, poi, passando la carabina dalla mano sinistra alla destra, disse:

— Dirigiamoci verso il fiume, Cardozo. I giaguari amano la vicinanza dei corsi d’acqua.

— E ne troveremo noi? — chiese il ragazzo.

— Questi carnivori abbondano nella pampa patagone. Occhi bene aperti e le mani sul grilletto, poichè ti avverto che la selvaggina che cerchiamo è talvolta molto feroce.

— Non ho paura, marinajo; avanti.

Aprendo con precauzione i rami dei cespugli che impedivano il passo, cogli orecchi ben tesi onde raccogliere il menomo rumore, i due marinai si cacciarono intrepidamente sotto la boscaglia, guardando attentamente a destra e a sinistra per non venire sorpresi dal felino che cercavano e che poteva da un istante all’altro apparire e piombare su di loro.

Procedendo lentamente a causa dei molteplici ostacoli, allo spuntar del sole giungevano sulla riva del Rio Negro senza aver trovato le tracce del feroce carnivoro. Cardozo, che si sentiva assetato, discese la riva per bere un sorso d’acqua, ma si arrestò dinanzi ad uno spettacolo che lo fece fremere.

La corrente, che in quel luogo era tranquilla a causa della curva che il fiume descriveva, fin dove giungeva l’occhio, era coperta di ammassi di pesci dalla pelle azzurrognola, punteggiata di rosso, e che parevano tutti morti. Li conobbe subito e, quantunque ormai non corresse più alcun pericolo, impallidì.

— I mondongueros! — esclamò.

— Ventre di foca! — esclamò a sua volta il mastro, che era pure disceso. — Guarda che strage!

— Sono morti?

— Lo vedi, — rispose il mastro.

— E chi può averli uccisi?

— So che spesso fra quei mostri si sviluppano certe malattie che fanno vere stragi. Specialmente nella stagione dei [p. 175 modifica]grandi calori si vedono di frequente i fiumi travolgere immense quantità di caraibi.

— Adunque è scoppiata anche qui l’epidemia.

— Sì, e ci ha ben vendicati, Cardozo. Che disgrazia non aver una rete!

— Per che farne?

— I caraibi, se tu non lo sai, sono squisiti, migliori anzi delle trote, che sono pure tanto delicate.

— E chi mangerà tutto questo pesce?

— Le bestie feroci, che sono ghiotte della carne dei mondongueros. La corrente li porterà sulle rive, dove quelle canaglie faranno ancora tribolare gli uomini, poiché le loro mascelle, armate di quegli acuti denti che tu già per prova conosci, renderanno il camminare estremamente pericoloso.

— E tu vuoi?...

— Pst!...

— Cosa succede?

— Taci e guarda!

Cardozo guardò nella direzione che gli indicava il mastro e involontariamente rabbrividì. A sessanta passi di distanza, un animale che aveva l’aspetto di un leopardo, dal mantello giallastro picchiettato di nero, stava sdraiato su un ramo di albero che si protendeva sulla corrente.

Pareva che fosse occupato a cacciare qualche cosa, poiché guardava fissamente l’acqua che scorreva sotto il ramo, tenendo le zampe anteriori distese, pronto ad immergerle, mentre la sua coda sfiorava delicatamente la corrente.

— Il giaguaro? — chiese sottovoce Cardozo, abbassandosi dietro un cespuglio.

— Lui, o un altro, — rispose il mastro.

— Cosa fa?

— Pesca.

— Ah!... Un giaguaro che pesca?

— È cosa che accade spesso di vedere sui fiumi brasiliani e delle repubbliche centrali. Quei carnivori, quando hanno fame, si sdraiano su qualche riva deserta, immergono la loro coda, che serve di esca, e quando qualche grosso [p. 176 modifica]pesce arriva e l’abbocca, con una sveltezza straordinaria allungano le zampe e lo prendono.

Volsero le spalle al fiume per sorprendere il giaguaro per di dietro e si addentrarono nuovamente nel bosco, procedendo con infinite cautele e nel più profondo silenzio. Diego, che conosceva l’audacia di tali carnivori e che non ignorava le loro furberie e la loro agilità veramente straordinaria, di quando in quando si arrestava per tendere meglio gli orecchi e per esaminare attentamente i cespugli e gli alberi circostanti.

In capo ad un quarto d’ora i due cacciatori giunsero a pochi passi dal luogo dove trovavasi il felino. Scostarono pian piano i rami che impedivano a loro di vedere e guardarono verso il fiume: ma, con loro grande sorpresa e anche non poco terrore, non lo videro più.

Si era accorto del loro avvicinarsi, o, dopo di aver divorato qualche pesce, si era allontanato? Si trovava ancora nei dintorni, o era fuggito?

— Ragazzo mio, stiamo in guardia, — mormorò il mastro, gettando un rapido sguardo fra i cespugli e sui rami degli alberi. — Forse ci ha uditi e s’è posto in agguato per balzarci addosso.

— Ma io nulla odo.

— Sono agili e leggeri, e... Zitto!

Alla sua destra aveva udito un leggero fruscìo ed aveva veduto muoversi un cespuglio. Armò rapidamente la carabina e attese, mentre Cardozo faceva altrettanto, ma tenendo gli occhi fissi sui cespugli di sinistra.

Alcuni rami si mossero lentamente e si udì un brontolìo, che però diventava sempre più soffocato.

— È là? — disse Diego. — Ci ha sentiti, e forse ci spia.

— Che ci attacchi?

— Se è affamato, non esiterà a farlo.

— Cosa facciamo?

— Credi di essere sicuro del tuo colpo?

— Ho un certo tremito nelle braccia, ma non ho paura, — rispose il coraggioso ragazzo. [p. 177 modifica]

— Allora seguimi.

Il mastro si cacciò risolutamente fra i cespugli, seguìto dal giovane marinajo, che si volgeva di frequente indietro per paura di venire improvvisamente assalito alle spalle. Percorsi quindici passi, si trovarono dinanzi ad una piccola radura circondata da fitte macchie di huignal. Non si udiva più alcun rumore, nè si vedevano agitare i rami. Tuttavia il giaguaro non doveva essere lontano, poichè l’aria era appestata di un acuto odore di selvatico.

— Fermati qui, figliuol mio, — disse il mastro. — Io vado a battere le macchie; ma non ti perderò di vista.

— Va bene, marinajo, — rispose Cardozo, che cercava di mostrarsi tranquillo.

Aprì ben bene le gambe, alzò la carabina onde essere pronto a portarla alla spalla, e attese con bastante sangue freddo l’uscita del giaguaro.

Diego si cacciò fra le macchie senza allontanarsi dalla radura, risoluto a scovare il carnivoro, che doveva essersi appiattato nei dintorni.

Passarono due minuti, lunghi come due secoli pel ragazzo, che per la prima volta in vita sua si sentiva invaso da un vivo terrore.

Ad un tratto i rami di un cespuglio si aprirono lentamente, e un bellissimo animale dal mantello giallastro picchiettato di nero apparve, gettando un potente miagolìo, che poteva chiamarsi un sordo ruggito.

Gli occhi della belva, contratti in forma d’un i, si fissarono sul ragazzo, che era divenuto pallidissimo sì ma che non aveva fatto un passo indietro. Pareva che la belva fosse sorpresa di trovarsi dinanzi ad un cacciatore così piccolo, e, contrariamente alle sue abitudini, invece di slanciarsi, si arrestò, cacciando i potenti artigli dentro la terra.

— Calma e occhio sicuro, — mormorò il ragazzo.

Puntò la carabina, mentre un freddo sudore gli inondava la fronte, mirò attentamente e fece partire il colpo.

Il giaguaro emise un ruggito di dolore, ma non cadde: la palla gli aveva solamente fracassato una spalla. Indie[p. 178 modifica]treggiò di due passi, come se volesse prendere maggior spazio, si accorciò poi bruscamente e si allungò, slanciandosi d’un salto attraverso la radura.

Cardozo, pallido, terrorizzato, inerme, mandò un grido di spavento a metà strozzato:

— Aiuto, Diego!...

Un colpo di carabina rispose a quell’appello disperato. Il giaguaro, colpito al volo, cadde colla testa innanzi, dimenò furiosamente le gambe, poi rimase immobile.

Quasi contemporaneamente si udì una voce tranquilla esclamare:

— Bel colpo!

E il vecchio lupo di mare si slanciò nella radura col fucile ancora fumante.