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campo e ha divorato un ragazzo, un figlio dei Tehuels! Perchè i figli della luna, che sono così potenti, non l’hanno ucciso prima che entrasse?

— Oh diavolo! — esclamò il mastro. — Guarda, ragazzo, che questo pescecane di prateria se la prende con noi.

— Se domani i figli della luna non vendicheranno il figlio dei Tehuels, morranno!

— Olà, capo, avete bevuto troppa aguardiente?

— Ho detto!

Poi, senz’attendere altra risposta, il capo volse bruscamente le spalle e si allontanò. Cardozo e il mastro, sorpresi da quell’inattesa minaccia e come trasognati, si guardarono in viso.

— Che il capo sia impazzito? — chiese Cardozo. — Cosa c’entriamo noi in questa storia del giaguaro e del bambino mangiato?

— Siete i figli della luna, — disse l’agente del Governo, che non si era allontanato.

— E perchè voi, signor stregone, non avete mandato nel fiume quel signor giaguaro? — chiese il mastro con violenza. — Che il diavolo si porti la luna e quei dannati pagani, che ci prendono per uomini caduti dal cielo.

— State in guardia, — disse l’agente. — Hauka non è uomo da scherzare.

— Sicchè noi dovremo andar a scovare il giaguaro?

— Lo ha detto Hauka.

— E con quali armi?

— Avrete i vostri fucili.

Ciò detto, se n’andò senza aggiungere altro. Cardozo e il mastro rimasero lì, ancora stupiti di quella strana avventura, che poteva costare a loro la pelle.

— Cosa ne dici, figliuol mio? — chiese alfine il mastro.

— Io dico che quel volpone di Calderon cerca di metterci in brutti imbarazzi.

— Lo sospetto anch’io, Cardozo. Io non so il perchè: ma diffido sempre più di quell’uomo, e non vorrei... Basta così; lo terrò d’occhio quell’agente dalla faccia scialba.