Il tesoro del presidente del Paraguay/19. Lo stregone
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XIX.
Lo stregone.
Tutti gli altri si erano ritirati ad una notevole distanza, formando però una specie di semicerchio, che impediva qualsiasi evasione, essendo il fiume diventato un vero pericolo con tutti quei feroci caraibi che l’infestavano e che continuavano a divorarsi nei pressi della roccia.
Cardozo e il mastro, sentendosi liberi e ancora vivi, si misero ad osservare attentamente quello strano personaggio, che era giunto in così buon punto per salvarli dai denti dei mondongueros e che pareva non si occupasse gran fatto di loro.
Era alto, allampanato, e se non aveva la statura dei Patagoni, poteva passare per tale, poichè non mancava nè del manto nazionale, che era assai bello anzi, dipinto in rosso all’interno e all’esterno, nè della wati, la grande cintura, nè del chiripà. Ai piedi portava pure degli smisurati botas de podro di pelle di guanaco col pelo raschiato, distintivo degli uomini, e in testa il kotchi, che è una larga fascia bianca, e che era sormontata da un magnifico pennacchio di penne di rhea, trattenuto da grandi spilli d’argento e da spine di carruba.
Il suo corpo era quasi interamente imbrattato di terra ocracea rossastra, punteggiato di nero, e sulle braccia aveva parecchie linee azzurre parallele che parevano prodotte da un tatuaggio fatto di recente. Anche il suo viso era coperto di pitture disposte a macchie bianche e nere.
Parecchie collane, formate da certe ossa che parevano vertebre di serpenti, completavano quel bizzarro abbigliamento.
— Cardozo, — disse il mastro, che sbarrava tanto d’occhi, — chi è mai quell’uomo lì?
— Quello che ci ha salvati, suppongo, — rispose il ragazzo, che si stropicciava i fianchi scorticati dai denti dei mondongueros.
— Che sia lo stregone bianco?
— Il signor Calderon?
— Lui o un altro: poco monta.
— Se non avesse tutte quelle pitture, giurerei che è il nostro agente del Governo, marinajo.
— Ohe! Signor Calderon! — esclamò il mastro. — Se siete proprio voi, degnatevi di dare uno sguardo ai vostri disgraziati compagni.
L’uomo alzò lentamente il capo e disse con voce tranquilla:
— Siete voi? Me ne rallegro.
I due marinai balzarono in piedi, gettando un grido di gioia, e si precipitarono verso quell’impassibile individuo colle braccia aperte; ma egli li arrestò con un gesto.
— Non fate sciocchezze, — disse.
— Ma, signor Calderon... — disse il mastro. — Non riconoscete più i vostri compagni? Eh! Per mille boccaporti! Non m’inganno, no: siete proprio voi, quantunque vestito come un pagano e con uno strato di unto e di minio.
— Sì, sono io, — rispose l’agente del Governo con un risolino secco secco, — e dovreste ringraziare queste pitture e questo barocco abbigliamento, ai quali dovete la vostra vita.
— L’accoglienza è un po’ brusca, signor Calderon. A quanto pare, non siete di buon umore, — disse Cardozo. — Eppure, credetelo, noi ci siamo fatti prendere nel cercare voi e il pallone.
L’agente del Governo alzò le spalle e non rispose.
— Buona o cattiva accoglienza, noi dobbiamo ringraziarvi del vostro intervento, signor agente, — aggiunse il mastro. — Senza di voi il mio corpo a quest’ora potrebbe figurare in qualche sala d’anatomia, con poco piacere del proprietario, ve lo assicuro. Ma chi vi ha fatto indossare quel diabolico costume?
— I Tehulls.
— Vi hanno adottato forse? — chiese Cardozo.
— No.
— Siete adunque?...
— Uno stregone, — disse l’agente coi denti stretti.
I due marinai scoppiarono in una allegra risata.
— Ah! Vi divertite, a quanto pare, — disse lo stregone, lanciando su di loro un’occhiata obliqua.
— Non si può far a meno di ridere, signor Calderon, nel ritrovarvi sotto quel costume, — disse il mastro. — Ma dite: quando siete caduto col pallone?
— Jeri.
— Ma dove siete stato che non vi abbiamo veduto al campo, quando quei pagani del malanno ci condussero colà legati come se fossimo salami?
— Nel bosco sacro.
— Per l’investitura dell’alta carica che occupate?
L’agente fece un cenno affermativo, poi alzandosi bruscamente, disse:
— Seguitemi.
— Dove?
— Al campo.
— Io preferirei alzare i talloni, — disse Cardozo.
— Seguitemi, — ripeté l’agente con stizza, — e non dimenticate che siete i figli della luna.
— Buono! — esclamò il mastro, messo in allegria. — Almeno quei pagani non oseranno tormentare degli uomini che hanno l’invidiabile fortuna di capitombolare dal cielo. In marcia!
Invece però di partire, il signor Calderon si fermò, come se fosse stato colpito da un grave pensiero. Si volse bruscamente verso i due marinai e chiese a bruciapelo:
— E i diamanti?
— Li abbiamo con noi, — risposero i marinai.
— Che nessuno li veda.
— Oh! Potete esser certo che nessuno ce li prenderà — disse Diego. — Bisogna che mi facciano in centomila pezzetti per levarmeli di dosso.
— Basta così: seguitemi.
Si misero in cammino, dirigendosi verso i Patagoni, che si tenevano sui loro cavalli, spiando attentamente le mosse dei tre figli della luna, che veneravano sì, ma che non desideravano vederseli fuggire di mano.
Il capo Hauka, che si trovava in mezzo ai suoi guerrieri colla lancia in resta, mosse incontro allo stregone, seguìto da una dozzina dei suoi più prodi guerrieri, distinti da un maggior numero di tatuaggi, e giunto a pochi passi di distanza, balzò agilmente a terra.
— Sono i tuoi fratelli? — chiese all’agente.
— Sì — rispose l’interrogato.
— Siano adunque i benvenuti nel mio campo; nulla hanno da temere da Hauka e dai suoi guerrieri.
— Ehi, marinajo! — esclamò Cardozo. — Pare che le cose camminino a meraviglia.
— Sì, mercè quel brutto costume da orco che ha indossato l’agente del Governo.
— Non ci mancherebbe che ci rendessero i nostri fucili, per farci pienamente contenti.
— Hum! Da questo lato non ci sentono, figliuol mio.
— Cosa dicono? — chiese Hauka allo stregone, additando i due marinai.
— Che vorrebbero le loro armi.
Il capo fece una smorfia.
— I gilwum mandano palle e fiamme, — disse. — I figli della luna non ne hanno bisogno nel mio campo.
— Che il diavolo t’impicchi! — brontolò il mastro che lo aveva capito. — Ma se posso rubarti i nostri gilwum, come tu li chiami nella tua lingua barbara, ti farò vedere io come se ne serviranno i figli della luna.
— Partiamo, — disse il capo.
La cavalcata si mise tosto in moto, seguìta da tutte le donne e da tutti i fanciulli, ch’erano accorsi per veder mangiare vivi i due marinai, verso i quali ora professavano un profondo rispetto, che non era però esente da un sentimento di misterioso terrore. I figli della luna camminavano liberi in uno spazio sufficiente per non venire urtati dai cavalli, ma completamente circondati, onde impedire a loro qualunque tentativo di fuga: precauzione, del resto, affatto superflua, poiché pel momento una fuga sarebbe stata affatto impossibile.
Giunti all’accampamento, i Patagoni formarono attorno ai prigionieri un vasto cerchio e il capo si avanzò solo fino ai figli della luna, i quali, non sapendo di che trattavasi, cominciavano a ridiventare inquieti.
— Che i potenti figli del cielo si corichino, — disse, indirizzandosi a Cardozo e al mastro.
— E perché, o capo? — chiese il lupo di mare.
— Perché non dovranno più mai lasciare il capo Hauka e le sue genti.
— Cosa vuole quel volpone? — chiese Cardozo.
— Ne so meno di te, ragazzo, — rispose Diego.
— Pretenderebbe forse che noi vivessimo sempre coricati? Vecchio mio, bisognerà adoperare la forza.
— Mi hanno capito i figli della luna? — chiese il capo con una certa impazienza.
— Obbediamo e stiamo a vedere, — disse Diego. — Vedo che il signor Calderon è tranquillo: segno che non corriamo pericolo alcuno.
I due marinai si coricarono. Subito sei vigorosi guerrieri si fecero innanzi e li afferrarono per le braccia e per le gambe, impedendo a loro di fare qualsiasi movimento.
— Signor Calderon, — disse il mastro, — cosa vogliono fare questi pagani?
L’agente del Governo, che si era tranquillamente seduto a breve distanza, si accontentò di alzare le spalle e di fare un gesto di dispetto.
— Sempre di cattivo umore quel diabolico uomo, — brontolò Cardozo. — Si direbbe che le parole gli guastano i denti.
— Che un pescecane mi mangi in un sol boccone se io capisco qualche cosa, — disse il mastro. — Che si tratti di qualche cerimonia?
— Pare che sia così — rispose Cardozo. — To’! Un altro stregone?
Un patagone, che portava al collo dei monili di denti di belve feroci e di vertebre di serpenti e sul capo un grande ciuffo di penne variopinte, si avvicinava a loro, portando in mano un bizzarro arnese che pareva un coltello smussato, ma più largo all’estremità che verso la impugnatura.
Ad un suo cenno i guerrieri strapparono ai due marinai gli stivali e le calze, mettendo a nudo i piedi. Il mastro mandò un grido di furore e con una potente, ma inutile spinta tentò liberarsi dalle mani che l’inchiodavano al suolo.
— Briganti! — esclamò.
— Cosa sta per succedere, Diego? — chiese Cardozo, che era diventato pallido. — Ci tagliano forse i piedi?
— No, ma c’impediranno di fuggire, come se non li avessimo più. Ah! Doveva aspettarmi un simile tiro da questi pagani!
— Signor Calderon, — disse Cardozo con voce supplichevole, — accorrete in nostro ajuto.
L’agente del Governo, invece di rispondere, accennò i propri piedi, poi crollò le spalle, come per dire che nulla poteva fare.
Intanto il nuovo stregone arrotava il suo strano coltello su di un pezzo di pietra arenaria, provando di quando in quando il filo, come se volesse prima accertarsi se era tagliente al punto che lo desiderava.
— Va bene, — disse ad un certo momento. — Datemi il piede.
— Che ti colga un accidente! — gridò il mastro, e, non potendo muoversi, sputò contro lo stregone.
Due guerrieri afferrarono la gamba destra di Cardozo e l’alzarono. Il disgraziato, non sapendo ancora di che trattavasi, malgrado il suo straordinario coraggio, impallidì orribilmente e gettò un grido.
— Chetati, figliuol mio, — disse il mastro, che nondimeno era vivamente commosso. — Si tratta di una semplice incisione.
Lo stregone afferrò bruscamente il piede del ragazzo e praticò sotto la pianta una leggera incisione, penetrante però nello strato muscolare e che si estendeva dal dito pollice fino al tallone. Il dolore fu così lieve che Cardozo non mandò neanche un sospiro.
— Ecco fatto, — disse il mastro, che seguiva ansiosamente quella strana operazione. — Ti hanno fatto male, ragazzo mio?
— No, — rispose Cardozo. — Si direbbe che mi hanno fatto una leggerissima bruciatura.
— A me adunque.
Sporse spontaneamente il piede, e lo stregone gli fece l’istessa incisione. Subito i due prigionieri vennero lasciati liberi.
— Ma perchè ci hanno fatto questo segno? — chiese Cardozo, che si guardava il piede.
— Per impedirci di fuggire, — rispose il mastro, che si era prontamente rialzato.
— In qual modo? Vedo che io cammino abbastanza bene, marinajo.
— Sì, ma non potresti fare una marcia molto lunga, poichè il piede ben presto si gonfierebbe e ti darebbe tali dolori da forzarti ad arrestarti.
— Ma la ferita non si rimargina dunque?
— Sì; ma quel dannato stregone avrà cura di mantenerla sempre aperta. Ogni mattina verrà a visitare il nostro piede e la riaprirà con quel coltello che tu hai veduto.
— E il signor Calderon? Che non abbia subìto l’operazione?
— Ho veduto poco fa che camminava zoppicando.
— Sicchè nessuno di noi tre potrà battersela.
— Bah! Ce la batteremo, figliuol mio: te lo assicuro, e se non potremo farlo a piedi, lo faremo a cavallo. Che diavolo! Ci sono tanti cavalli qui! Lascia che si maturi il progetto che vado molinando e vedrai.
Un guerriero si avvicinò in quell’istante a loro e ordinò che lo seguissero. Il marinajo e Cardozo lo accompagnarono zoppicando fino dinanzi ad una tenda, che pareva fosse una delle più grandi e delle migliori.
— Entrate, — disse il guerriero. — È il regalo del capo.
— Finalmente abbiamo una casa, — disse il mastro allegramente.
— Non ci mancherebbe che una buona zuppa, — disse Cardozo.
— Verrà, figliuol mio.
E non tardò infatti a venire. Non era precisamente una zuppa, ma qualche cosa di migliore forse, poichè venne recato un enorme pezzo di cavallo arrostito, che mandava un odore appetitoso, assieme ad una certa quantità di gomma bolax e di midolla di ossa.
I due marinai, che morivano di fame, assaltarono bravamente quei cibi sostanziosi, poi si avvolsero nelle coperte trovate sotto la tenda e si addormentarono, senza più occuparsi nè del signor Calderon nè dei Patagoni.