Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/170


— 164 —

meno quei pagani non oseranno tormentare degli uomini che hanno l’invidiabile fortuna di capitombolare dal cielo. In marcia!

Invece però di partire, il signor Calderon si fermò, come se fosse stato colpito da un grave pensiero. Si volse bruscamente verso i due marinai e chiese a bruciapelo:

— E i diamanti?

— Li abbiamo con noi, — risposero i marinai.

— Che nessuno li veda.

— Oh! Potete esser certo che nessuno ce li prenderà — disse Diego. — Bisogna che mi facciano in centomila pezzetti per levarmeli di dosso.

— Basta così: seguitemi.

Si misero in cammino, dirigendosi verso i Patagoni, che si tenevano sui loro cavalli, spiando attentamente le mosse dei tre figli della luna, che veneravano sì, ma che non desideravano vederseli fuggire di mano.

Il capo Hauka, che si trovava in mezzo ai suoi guerrieri colla lancia in resta, mosse incontro allo stregone, seguìto da una dozzina dei suoi più prodi guerrieri, distinti da un maggior numero di tatuaggi, e giunto a pochi passi di distanza, balzò agilmente a terra.

— Sono i tuoi fratelli? — chiese all’agente.

— Sì — rispose l’interrogato.

— Siano adunque i benvenuti nel mio campo; nulla hanno da temere da Hauka e dai suoi guerrieri.

— Ehi, marinajo! — esclamò Cardozo. — Pare che le cose camminino a meraviglia.

— Sì, mercè quel brutto costume da orco che ha indossato l’agente del Governo.

— Non ci mancherebbe che ci rendessero i nostri fucili, per farci pienamente contenti.

— Hum! Da questo lato non ci sentono, figliuol mio.

— Cosa dicono? — chiese Hauka allo stregone, additando i due marinai.

— Che vorrebbero le loro armi.

Il capo fece una smorfia.