Il tesoro del presidente del Paraguay/14. I patagoni alla caccia del pallone

14. I patagoni alla caccia del pallone

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XIV.

I Patagoni alla caccia del pallone.


Q
uando giunse all’accampamento, Cardozo non dava quasi più segno di vita.

Le succhiature avevano ritardato i progressi del veleno, ma non lo avevano estratto tutto dalla piaga. Ancora pochi minuti e la morte sarebbe giunta.

I due gauchos, che stavano ammaestrando i due cavalli selvaggi, udendo le grida del mastro, si erano affrettati ad accorrere, dopo di aver legato le cavalcature. Vedendo Cardozo in quello stato, indovinarono subito ciò di che si trattava.

— È stato morso da uno scorpione, — disse Ramon, dopo d’aver gettato un lungo sguardo sulla gamba ferita, che era diventata assai gonfia e d’una tinta molto oscura.

— È perduto? — chiese con angoscia il mastro.

— No.

— Avete un rimedio?

— Sì, e vi assicuro che noi lo salveremo.

— Dio sia ringraziato!

— Potete ringraziarlo di cuore, poichè senza il nostro incontro questo coraggioso ragazzo sarebbe perduto. Pedro, va’ a prendere la mia tazza d’argento e la mia bisaccia, e voi, Diego, adagiate il ferito, accendete il fuoco e mettete un po’ d’acqua nella marmitta. [p. 118 modifica]

— Ma mi assicurate proprio che non morrà?

— Ve lo prometto, Diego.

— Se dovesse morire, io non avrei più bene sulla terra.

— Non disperatevi, e agite. I minuti sono preziosi.

Diego non se lo fece dire due volte. Strappò le erbe per un giro di tre o quattro metri, onde il fuoco non si comunicasse alla prateria, causando una terribile catastrofe, e mise a bollire la marmitta, dopo avervi versato dentro un po’ d’acqua. Aveva appena finito, che Pedro tornava recando il sacchetto e la tazza.

Ramon aprì il primo ed estrasse una radice nera, di forma allungata, che tagliò a metà con un colpo di navaja. Fece a pezzetti una parte, gettandoli poscia dentro la marmitta, che cominciava già a grillettare, e si mise a masticare vigorosamente l’altra, riducendola in una specie di pasta.

— Ma cos’è quella roba lì? — chiese Diego, che lo guardava con viva ansietà.

— Una radice e niente di più, ma che guarirà quel caro ragazzo, — rispose il gaucho.

Cardozo, che fino allora non aveva dato segno di vita, in quel momento apriva gli occhi. Il poveretto, pallido, disfatto, già quasi irrigidito dalla morte, che si avanzava a grandi passi, aprì con fatica la bocca e mormorò:

— Diego!... Diego!...

— Eccomi, piccino! — rispose il mastro, curvandosi su di lui.

— Sto orribilmente... male...

— Lo vedo; ma Ramon ti salverà.

Il ragazzo sorrise tristemente e scosse il capo.

— Temo che sia troppo tardi... — mormorò.

— No: ti salveremo; me lo ha giurato Ramon, e quell’uomo lì non è tipo da promettere senza mantenere.

— Oh!... Ma non ho... paura di... morire; è che mi... dispiace lasciarti... solo... qui...

— Coraggioso marinajo! — esclamò il mastro, le cui abbronzate gote erano irrigate da due grossi lagrimoni, forse i primi che spargeva in quarant’anni. [p. 119 modifica]

— Calmati, Cardozo: sono da te, — disse Ramon, che aveva terminato di masticare il pezzo di radice.

Mise a nudo la gamba, si levò di bocca quella specie di pasta, che tramandava un odore di orina fortemente ammoniacata, e l’applicò sulla piaga, legandovela con un pezzo di stoffa tagliato da una corconilla.

— Ora trangugerai la bevanda, — disse quand’ebbe finito, — e poi ti addormenterai tranquillamente.

Levò la marmitta, versò il contenuto nella tazza d’argento e porse il liquido al ragazzo, il quale nel sentire quell’acuto odore di orina ammoniacata contorse la bocca.

— E che? Mi fai lo schizzinoso ora? — chiese Diego con dolce rimprovero. — Animo, piccino mio: un marinajo deve saper inghiottire tutto.

— È vero... — mormorò Cardozo, sforzandosi a sorridere.

Accostò le labbra alla tazza e la vuotò d’un fiato. Subito stramazzò fra le erbe, come fosse stato fulminato, colle pugna strette e le membra tese, irrigidite.

— È morto! — esclamò il mastro, guardando ferocemente il gaucho.

— No: si è addormentato di colpo, — rispose Ramon.

— Me lo assicurate?

— Ve lo giuro.

— E quando si sveglierà?

— Domani, e non si ricorderà più di nulla.

— Guarito?

— Sì, ma assai debole: occorreranno quattro o cinque giorni prima che si rimetta completamente.

— Resteremo accampati qui adunque?

— No: anzi partiremo questa notte istessa... Ho veduto dei cavalli, due ore fa, sfilare verso il nord, e dalla andatura ho capito che non erano cavalli selvaggi. Sono certo di non ingannarmi: gl’Indiani hanno scoperto le nostre tracce e ci spiano.

— Non ci mancherebbe altro. E dove andremo noi?

— Bisogna guadagnare il Rio Negro e frapporre quel largo corso d’acqua fra gl’Indiani e noi. [p. 120 modifica]

— È lontano?

— Una mezza dozzina di miglia, niente di più.

— E Cardozo potrà cavalcare?

— Lo porterete voi, mentre noi guideremo i cavalli selvaggi.

— Allora partiamo.

— Dopo cena, se avete trovato qualche cosa da porre sotto i denti.

— Aspettatemi qui, e avrete da rifocillarvi largamente.

Stava per mettersi in cammino onde recarsi a raccogliere le uova di struzzo, quando Ramon lo trattenne violentemente.

— Cosa c’è ancora? — chiese il mastro sorpreso.

— Udite!...

Il mastro tese gli orecchi, curvandosi verso terra. In lontananza si udivano delle grida selvagge che parevano avanzarsi rapidamente.

— Gl’indiani? — chiese egli, raddrizzandosi.

— Sì, gl’indiani.

— E vengono verso noi?

— Forse.

— Che ci abbiano scoperti?

— Non lo so. Pedro, atterra i cavalli.

— E cosa faremo noi con Cardozo in quello stato? — chiese il mastro con disperazione.

— Lo difenderemo, — rispose il gaucho. — Ramon non abbandona gli amici.

Ad un tratto il mastro indietreggiò vivamente, mandando una formidabile esclamazione:

— Tuoni e lampi!...

— Cosa vedete?

— Il pallone!

— Il pallone?...

— Sì, eccolo là!

Ramon alzò il capo e guardò. A due chilometri dall’accampamento, a circa trecento metri da terra, libravasi faticosamente il povero aerostato, già quasi tutto vuoto. Per quanto aguzzassero gli occhi, nè il gaucho, nè il marinajo scorsero persona alcuna aggrappata alla rete. [p. 121 modifica]

— Come mai si trova ancora in aria? — si chiese Ramon.

— E il signor Calderon dove sarà caduto? — si chiese il mastro, che, quantunque non nutrisse troppa simpatia per quell’uomo, pure sinceramente lo compiangeva.

— Senza dubbio sarà caduto nelle mani degli indiani, — rispose Ramon.

— E forse a quest’ora l’avranno ucciso.

— I Pampas non risparmiano i loro prigionieri, ma i Tehulls, o Patagoni, se così meglio vi piace, si accontentano di farli schiavi.

— A terra! — esclamò Pedro, che ritornava correndo.

Era tempo. A due chilometri dal campo una grossa truppa di cavalieri, mezzo sepolta fra gli alti cardi della pampa, passava galoppando furiosamente e in disordine dietro al pallone e mandando acute grida.

Il suo passaggio fu così rapido, che i due gauchos non riuscirono a distinguere se fosse composta di Pampas o di Tehulls. Ad ogni modo quei cavalieri, interamente assorti nella caccia del pallone, non s’accorsero degli accampati, poichè continuarono a galoppare, dirigendosi verso il nord.

— Se ne sono andati, — disse Ramon, quando non li vide più. — Bisogna affrettarsi a trovare un ricovero, o verremo scoperti ed assaliti.

— Ma dove andare? — chiese il mastro.

— Ve lo dissi già. Solamente i boschetti che crescono sulle rive del Rio Negro possono celarci agli occhi di quei predoni.

— Non domando che di andarmene. Dieci minuti per raccogliere qualche dozzina di uova pel mio Cardozo e poi in sella.

— Affrettatevi adunque.

Il mastro si gettò in ispalla la carabina e si allontanò correndo, portando con sè una coperta. Non gli fu difficile di trovare il nido degli struzzi, che si trovava a breve distanza dall’accampamento, in mezzo ad un gruppetto di cactus.

Riempì la coperta di uova, la legò e ritornò presso i gauchos, i quali avevano fatto alzare i cavalli. [p. 122 modifica]

Ramon sellò il proprio cavallo, che era il più docile, e fece salire il mastro, passandogli Cardozo, che dormiva tranquillamente, avvolto in una grossa corconilla.

— Povero piccino! — esclamò il marinajo, serrandoselo al petto e accomodandolo sul dinanzi della larga sella. — Cercherò di non svegliarti.

— Il cavallo è tranquillo ed il ragazzo non si accorgerà di nulla, — disse Ramon. — E poi fra un paio d’ore saremo al fiume e riposerà meglio.

— E i cavalli selvaggi chi li condurrà?

— Ci incarichiamo noi, e vi assicuro che non ci sfuggiranno.

Il mastro strinse le ginocchia, e l’intelligente animale si mise in cammino, prendendo un passo allungato e dirigendosi verso il sud. Poco dopo lo raggiungevano i gauchos, montati sui due cavalli selvaggi e conducendo con loro anche il quarto cavallo.

La notte era calata. L’immensa prateria era diventata oscura: solamente sulla linea dell’orizzonte scorgevasi un vago chiarore, proiettato dalle stelle, fra le quali spiccava superbamente la Croce del Sud. Ovunque regnava un profondo silenzio, che solo di quando in quando veniva interrotto dal leggero stormire dei cactus agitati da una fresca brezza che scendeva dalle lontane catene delle Ande, o dall’urlo di qualche lupo rosso, che vagava in cerca di preda.

La piccola truppa, che si avanzava senza scambiare parola, cogli orecchi tesi ai più piccoli rumori, gli occhi bene aperti ed i fucili sotto mano, onde non lasciarsi sorprendere, costeggiò per qualche tratto una piantagione di cactus, poi entrò in una vasta zona scoperta, su cui stendevasi un’erbetta corta, minuta, lucente, che smorzava interamente il rumore prodotto dagli zoccoli degli animali.

— Stiamo bene attenti, — disse Ramon, che veniva per ultimo, col trombone posto sul dinanzi della sella. — Al primo allarme affrettatevi a gettarvi a terra.

— Speriamo che tutto vada bene, — rispose mastro Diego, [p. 123 modifica]che sosteneva delicatamente il povero Cardozo. — Non vedo più nulla: è segno che gl’indiani si sono allontanati.

— Non fidiamoci troppo.

— Bah! A quest’ora sono tutti dietro a quel dannato pallone.

— Silenzio, chè la voce in queste vaste pianure si espande ad incredibili distanze.

— Chiudo il becco.

Si avanzarono per un mezzo chilometro attraverso quel terreno scoperto, che in caso di pericolo non offriva il minimo rifugio, camminando con precauzione e non perdendo di vista i piccoli gruppi di cactus che si scorgevano disseminati qua e là, poi piegarono verso il sud-ovest, dove apparivano alcuni cespugli alternati ad alcuni alberi che parevano carrubi selvatici e che in caso di bisogno potevano nasconderli agli occhi degli Indiani.

Stavano per raggiungerli, quando Pedro, che cavalcava in testa, bruscamente si fermò, gettando uno sguardo sospettoso su quel gruppo di verzura.

— Oh! — esclamò il mastro, serrandosi al petto il povero ragazzo. — Cosa si cela là sotto?

— Cosa vedi? — chiese Ramon, raggiungendo il fratello.

— Nulla; ma mi è sembrato che quelle piante si muovessero, — rispose il gaucho.

— Sei certo di non esserti ingannato?

— Non so cosa dirti; ma io diffido.

— Giriamo al largo; forse le ha mosse qualche giaguaro o qualche guanaco.

— Taci!...

— Cosa odi?

— Gl’indiani che ritornano!

Por todos sanctos!1... È vero!...

Infatti verso il nord, ad una grande distanza però, si udivano delle grida accompagnate da un sordo fragore, che pareva prodotto dal furioso galoppare di parecchi cavalli. [p. 124 modifica]

— Dannato pallone! — esclamò il mastro. — L’ha decisamente con noi!

— Vedi nulla, Pedro? — chiese Ramon.

— Sì, il pallone, che si avanza, rasentando il suolo.

— Il vento è cambiato adunque. Non ci voleva che questo per farci passare una brutta notte.

— Cosa facciamo? — chiese Diego. — Bisogna prendere subito una decisione, o gl’Indiani ci scopriranno.

— Andiamo... eh!... Eh!...

— Cosa?...

— Sprona!... Sprona!...

Quattro cavalli si erano improvvisamente rizzati fra i cespugli. Diego, Ramon e Pedro cacciarono gli sproni nel ventre dei loro corsieri e si slanciarono verso il sud, senza nemmeno volgersi indietro. Un istante dopo s’udì un furioso galoppo accompagnato da grida tuonanti.

— I Patagones! — esclamò Ramon.

Diego si volse indietro. Quattro cavalli, montati da quattro indiani di statura gigantesca, li inseguivano, guadagnando rapidamente via.

— Ah, briganti! — esclamò. — Se non avessi Cardozo, vi appiopperei un paio di palle nelle costole.

— Sprona! Sprona! — gridò Ramon.

I cavalli divoravano la via; ma quelli dei patagoni, forse migliori e forse più riposati, guadagnavano sempre, e per colmo di sventura i loro cavalieri urlavano sempre, come se volessero attirare l’attenzione dei loro compagni che stavano inseguendo il pallone.

— Alto! — esclamò d’un tratto Ramon.

— Altri nemici? — chiese Diego.

— Mano ai coltelli! Attenti ai lazos!

I patagoni arrivavano di gran carriera addosso al piccolo gruppo, che si era arrestato per far fronte al nemico. Passarono a pochi passi di distanza senza arrestarsi, gettando i loro lazos.

Diego si curvò sul cavallo, evitando le corregge che do[p. 125 modifica]vevano strapparlo di sella o strangolarlo; ma Ramon, che era in prima fila e che lottava contro il cavallo, che in quel supremo istante si era imbizzarrito, si sentì avvincere a mezzo corpo e trascinare. Mandò un grido terribile:

— Ajuto!...

Strappato bruscamente di sella, fu trascinato in mezzo alle erbe, dietro ai cavalli dei patagoni, che continuavano a galoppare furiosamente.

— Fuoco! — gridò Pedro. — Fuoco sui cavalli!

— Pronto! — rispose Diego.

Un colpo di trombone e un colpo di carabina rintronarono. Due cavalli caddero fulminati al suolo, trascinando nella caduta i loro cavalieri.

— Ramon! — gridò Pedro, slanciandosi innanzi.

— Eccomi, fratello, — rispose una voce.

— Vivo?...

— Sì.

— Dio sia ringraziato!

— Più tardi lo ringrazierai.

— Sei ferito forse?

— No; ma stiamo per essere presi: guarda!...



Note

  1. Per tutti i santi!