Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/125


— 119 —

— Calmati, Cardozo: sono da te, — disse Ramon, che aveva terminato di masticare il pezzo di radice.

Mise a nudo la gamba, si levò di bocca quella specie di pasta, che tramandava un odore di orina fortemente ammoniacata, e l’applicò sulla piaga, legandovela con un pezzo di stoffa tagliato da una corconilla.

— Ora trangugerai la bevanda, — disse quand’ebbe finito, — e poi ti addormenterai tranquillamente.

Levò la marmitta, versò il contenuto nella tazza d’argento e porse il liquido al ragazzo, il quale nel sentire quell’acuto odore di orina ammoniacata contorse la bocca.

— E che? Mi fai lo schizzinoso ora? — chiese Diego con dolce rimprovero. — Animo, piccino mio: un marinajo deve saper inghiottire tutto.

— È vero... — mormorò Cardozo, sforzandosi a sorridere.

Accostò le labbra alla tazza e la vuotò d’un fiato. Subito stramazzò fra le erbe, come fosse stato fulminato, colle pugna strette e le membra tese, irrigidite.

— È morto! — esclamò il mastro, guardando ferocemente il gaucho.

— No: si è addormentato di colpo, — rispose Ramon.

— Me lo assicurate?

— Ve lo giuro.

— E quando si sveglierà?

— Domani, e non si ricorderà più di nulla.

— Guarito?

— Sì, ma assai debole: occorreranno quattro o cinque giorni prima che si rimetta completamente.

— Resteremo accampati qui adunque?

— No: anzi partiremo questa notte istessa... Ho veduto dei cavalli, due ore fa, sfilare verso il nord, e dalla andatura ho capito che non erano cavalli selvaggi. Sono certo di non ingannarmi: gl’Indiani hanno scoperto le nostre tracce e ci spiano.

— Non ci mancherebbe altro. E dove andremo noi?

— Bisogna guadagnare il Rio Negro e frapporre quel largo corso d’acqua fra gl’Indiani e noi.