Il sigillo d'amore/Il vivo
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IL VIVO.
Due anni or sono, di questi tempi, è stata la sora Maddalena a raccontarmi i suoi guai.
Lei e il marito vignaiuolo ci avevano affittato per l’estate la loro casupola. Casupola che se il sor Andrea vignaiuolo fosse disposto a cedermi, piglierei in cambio del mio villino di Roma. Come un castello costruito da un architetto e da operai nani, sorge, fabbricata di piccole pietre calcari cementate con la semplice terra, su un poggio che si dà l’aria di una cima di montagna; e se da una parte guarda arcigna sulla vigna ardente di sole, dall’altra stende la sua ombra mite fino a raggiungere le ombre di una tremula pioppaia che a loro volta si precipitano giù per la china erbosa e vanno a confondersi con quelle più basse e nascoste della brughiera.
Giù è il mare. E intorno al poggio, dal mare al mare, una fantasmagoria di altri poggi verdi, coi laghetti d’oro del grano quasi maturo, i gomiti azzurri dei fiumi, le mille migliaia di fiammelle delle ginestre in fiore.
I giovanetti pioppi scherzano fra di loro, e giù sull'erba è un barbaglio di ombre e di luci che pare destato dal soffio del mare. Ma che ne sa, la sora Maddalena, di questi incantesimi? Lacera e sporca e coi capelli pieni di ragnatele, ella conta i parecchi denari che io le ho dato, tanto per la sua casupola quanto per gl’incantesimi intorno; e dopo averli stretti bene in un fazzolettino se li caccia nel seno dalla parte del cuore.
*
— Così è, — disse sollevandosi sulla sua gobba, — il denaro è mio, la casa e la vigna e la pioppaia sono mie; eppure Andreino non è contento. Non che mi maltratti, chè allora si troverebbe il modo di fargli ritrovare la strada donde è venuto, ma non è contento no, non è contento.
E scuoteva la testa in su in giù, di qua di là, come dando ragione una volta a sè stessa un’altra al suo Andreino. Riprese:
— La sua idea è di andarsene in città. Là, dice, si aprirebbe una rivendita di vino. Si comincia col vendere il nostro a tre lire il litro, invece di darlo via per pochi centesimi, come adesso si fa; poi si compra altro vino appunto per pochi centesimi e lo si rivende caro: in breve si è ricchi sfondati. E va bene, dico io, non sono di parere contrario: ma qui chi si lascia? Lui non risponde, ma si fa scuro e storto in viso e va via sacramentando: perchè la sua idea è di lasciare qui la moglie gobba, che non attirerebbe certo la gente nell'osteria, e di andarsene lui solo laggiù. Laggiù, — ella aggiunse stendendo la mano a indicare la strada che conduce alla città sconosciuta, — egli trova quante donne belle vuole, per metterle a vendere nell’osteria. E così si mangiano e si godono assieme la mia roba, mentre a me, qui, lavora e lavora, la gobba cresce allegramente.
Ella diceva queste cose senza agitarsi, anzi con un lieve accento d’ironia verso sè stessa: ma i suoi occhi piccoli rotondi e duri come due nocciuole erano pieni di lagrime. Io volevo dirle per consolarla che il destino suo era quello di tutte le ricche donne brutte che sposano i bei giovanotti poveri: manco a farlo apposta però in quel momento emersero su dalla pioppaia la testa pelata e il naso a zucca del piccolo sor Andrea.
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Solo gli occhi del piccolo sor Andrea erano belli: grandi, glauchi, attoniti, ad ogni parola ch’egli pronunziava od ascoltava si animavano ed esprimevano i variabili sentimenti del suo cuore sensibile. Egli voleva bene alla moglie, a modo suo, e a sua volta mi confidò che solo gli dispiaceva di non aver figli da lei, nascessero pure gobbi.
— È una gran brava donna, silenziosa e tranquilla. Vede come tiene la casa in ordine? Ha mai veduto, signora, una casa più in ordine e più pulita di questa?
È vero, sor Andrea, la casettina è un modello di rifugio per gente che arriva dalla città ancora sotto l’incubo della lucidatura dei pavimenti, della pulizia dei tappeti e della baraonda degli oggetti inutili che risucchiano la nostra vita dandosi anche l’aria di essere necessari.
Specialmente le tre stanze in fila affittate a noi, che aperti gli usci ne formano una sola e tutte s’affacciano sulla ridente pioppaia, hanno pur esse qualche cosa di fantastico. Non c’è nulla e c’è tutto: e qui ci si parla da camera a camera come da cuore a cuore, e basta stendere la mano, senza muoversi e senza staccare gli occhi dal materno viso della natura, per trovare quello che pur materialmente ci è necessario per vivere.
Come la fata trasformata in gobbina per provare il cuore della gente, la sora Maddalena passa ogni tanto in queste stanzette e rimette a posto le cose che le nostre abitudini di disordine scompongono: ed è lei a renderci dolce il ritorno dalle escursioni col farci miracolosamente ritrovare la tavola apparecchiata e il cibo pronto. Peccato che la sua tristezza, sebbene sepolta, guasti l’aria intorno.
Un altro suo difetto era la ripugnanza per le cose superflue.
Un giorno che portai a casa un mazzo di ginestre, invano le domandai un vaso dove metterle. Anzi s’irritò.
— I fiori bisogna lasciarli stare sulla pianta. Non si vedono dalla finestra? Staccati servono solo per i morti.
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« La mia povera moglie è morta, — scrisse il sor Andrea lo scorso anno, quando si trattò di rinnovare l’affitto della casetta. — È morta il giorno di Pasqua, dopo che tutto l’inverno è stata a letto malata. Per fortuna è venuta ad assisterla una sua nipote, ch'era al servizio in città, e questa ragazza, educata e pratica, se lei crede, signora, potrà servirla. Sa anche leggere e scrivere». Questo lo credo, perchè la lettera non è scritta coi soliti caratteri primordiali del sor Andrea; la notizia però non ci commuove; perchè in quanto a leggere e scrivere è meglio non pensarci, lassù.
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Ci si dovette pensare, invece, appena tornati lassù, perchè la nuova padrona non faceva altro che leggere e scrivere.
— Da un mese ho sposato la nipote della povera Maddalena, — ci annunziò il sor Andrea venuto giù alla stazione per incontrarci. — Che si poteva fare? Senza una donna in casa non si sta. Eppoi è una gran brava ragazza, bella anche, e sembra una signorina di città. Vedrà, signora, le piacerà.
— Come si chiama?
— Anche questo c’è di buono. Si chiama Maddalena; così non capita di sbagliare nome, se la chiamo ricordandomi la prima.
— Perchè, diventerebbe gelosa? — domando io con cattiveria.
Ma il sor Andrea è proprio un buon uomo, e passandosi la mano sulla testa, come fanno le persone preoccupate, risponde pensieroso:
— Non è questo, non c’è pericolo; però tante volte capita che occorre una cosa e allora, ricordando che la povera Maddalena era sollecita, la si chiama come fosse ancora lì. Ma si capisce, questa qui è tanto giovane ancora.
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Questa sora Maddalena seconda ci apparve, come una fata anche lei, al limite della pioppaia; una fata autentica, questa volta, vestita d’azzurro, bionda e rosea, incoronata di pettini e pettinini di celluloide. Non le mancava neppure la collana, dello stesso genere, e le gambe dritte parevano nude per il colore delle calze dei merciai ambulanti.
Teneva in mano un mazzo di fiori, fatto con arte, con lo sfondo di felci e il giallo della ginestra mescolato al cremisi della digitale porpurea; e me l’offrì piegando alquanto il ginocchio destro: così avevo veduto una signorina dell’aristocrazia offrire un mazzo di fiori a una principessa di sangue reale.
Mi fece buona impressione, non tanto per i fiori e l’inchino quanto per la speranza ch'ella sapesse anche stirare i vestiti come le cameriere fini: speranza che cadde senza più rialzarsi quando si entrò nella casetta. Disordine, polvere, sporcizia, fiori appassiti e dispense sgualcite di romanzi popolari, nonchè foglietti della Canzonetta d’amore si facevano bella compagnia. E neppure una goccia d’acqua per lavarci, e il fuoco spento come nelle case di nessuno.
— Maddalena? Maddalena?
Maddalena si provava davanti allo specchio inclinabile del cassettone il cappellino ch’io m’ero levata; ed anzi trovò un altro specchietto per guardarsi di profilo e di dietro.
— Sor Andrea, — dissi allora al vignaiuolo rimasto di fuori, — per piacere non ha un po’ d’acqua per lavarci le mani?
— Maddalena? Maddalena?
Anche lui chiamava, ma era come se davvero chiamasse l’altra: e dalla pioppaia rispondeva il fringuello lieto e melanconico assieme.
*
Così si tirò avanti alla meglio, industriandoci da noi.
Del resto il povero sor Andrea si faceva a pezzi per aiutarmi, visto e provato che rivolgersi alla giovine sposa era come supplicare una santa sull’altare. Bella e buona e sempre adorna come una santa di terracotta, Maddalena rispondeva invariabilmente: — vengo, faccio, sì, — ma non si muoveva dallo specchio o dalla tavola di cucina dove scriveva indirizzi su cartoline illustrate. Poi a volte spariva, e la si vedeva tornare dal fitto della pioppaia con gli occhi stralunati e in mano un fascicolo arrotolato del grande romanzo — La principessa cieca.
Il sor Andrea era già stato a fare la spesa, aveva messo a cuocere la verdura e preparava il vino per la tavola. Lei si degnava di rifinire le faccende, ma con aria stanca e nauseata.
Doveva essere figlia bastarda di qualche grande signore.
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Il marito non la sgridava mai: era triste però, come la prima sora Maddalena. Un giorno si tornò a confidare con me.
— Che vuole? Il torto è mio, di averla voluta sposare. È un uccellino di città, non di bosco, lei. E il suo desiderio è di tornare laggiù; — anche lui con la mano indicava la strada che conduce alle grandi città; — e credo mi abbia sposato solo perchè le ho promesso che s’avrebbe ad aprire una rivendita di vino a Roma. Ma non ce la conduco, no. No e no, — affermò infine a sè stesso, con due energiche scosse del capo.
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Eppure ce la dovette condurre; in novembre, quando i pioppi cessano di ridere e di scherzare e le foglie stanche di gioia si ammalano e muoiono. Anche lei tossiva, aveva sempre freddo e ricordava la pelliccia leggera e calda ch’ella si provava a insaputa della sua ultima padrona.
Il sor Andrea la portò da uno specialista, che gli consigliò di ricondurla su, dove c’è l’aria buona, ed egli pazientemente se la ricondusse a casa, finchè un giorno di marzo la riportò ancora giù, accanto alla prima sora Maddalena, nel piccolo cimitero dove si sentiva già l’odore delle giunchiglie.
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Siamo tornati ancora nella casetta. Il sor Andrea è venuto come sempre alla stazione e carica il bagaglio sul suo calesse. Sta bene, il sor Andrea; s’è ingrassato e ringiovanito, e i suoi occhi mi ricordano la pioppaia mutevole ridente.
— Vedrà come starà bene, quest’anno, signora. Vedrà, non dico altro.
Tutto infatti è ordinato e pulito, come il primo anno: e c’è un mazzo di fiori in mezzo alla tavola. Le brocche sono piene d’acqua fresca, il fuoco acceso.
— Comanda, signora?
È il sor Andrea che per ridere s’è messo il grembiulino bianco ricamato, ricordo della sua seconda moglie.