Il sigillo d'amore/Viali di Roma
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VIALI DI ROMA.
È triste eppure bello, in queste sere dell’estremo autunno, dopo una giornata di lavoro e di solitudine, andarsene soli lungo certi viali di Roma, ancora praticabili dai sognatori che non vogliono finire con le ossa stritolate da un’automobile.
Quello che io preferisco è il viale davanti al Policlinico. Ci si può camminare ad occhi chiusi, e il marciapiede di asfalto è così molle e soffice che il passo non vi risona.
Verso sera è quasi sempre e quasi del tutto deserto. Gli alberi già spogli disegnano i loro rami sul cielo pallido, e solo qualche foglia scura, secca e dentellata, dà l’idea di un qualche uccello addormentato.
Lo sfondo arioso, con vapori colorati, dà l’impressione che laggiù vi sia il mare.
E mentre a destra di chi cammina verso quello sfondo, le mura romane, coi loro ciuffi d’erba in cima, appaiono come i bastioni di una città della quale si sente il rumore sonoro di vita, di lavoro e di gioia, a sinistra, dietro le cancellate e le sagome delle palme, fra il biancheggiare dei viali e il profumo dell’erba che vince quello dei disinfettanti, i padiglioni con le vetrate illuminate, i balconi ancora chiari al crepuscolo, i portici che sembrano preludere all’ingresso di palazzi incantati, danno anch’essi l’illusione che là dentro tutto sia bello e felice.
Una festa si svolge, là dentro; le figure bianche di agili donne che corrono silenziose attraverso i viali, sono forse di giovani dame pronte per la danza, e corrono verso le sale illuminate per perdersi nel sogno del piacere.
Una festa è là dentro, sì: è la festa eterna del dolore umano.
*
Il sognatore che cammina rasente la cancellata trasalisce al pensiero: per distrarsi guarda verso il centro del viale, d’un tratto animato da gruppi di persone; e lo spettacolo interessa subito la sua ricerca di colore e di induzioni psicologiche.
In apparenza lo spettacolo non è allegro, ma è riposante, solenne, e si armonizza straordinariamente col luogo, l’ora, con la maestà stessa dello sfondo.
È infine un triplice funerale, eseguito con ordine, con calma, con silenzio.
Il primo è senza dubbio quello di un vecchio militare, perchè sulla bara del carro funebre di terza classe sta ripiegata una bandiera, i cui vivi colori, rosso, bianco e verde, risaltano sul nero più che i colori smorti dei fiori delle corone.
Soldati in fila accompagnano il carro: sono giovani, dritti e seri, e paiono in marcia verso una battaglia; precedono i trombettieri, e le trombe risplendono come d’oro sul grigio della massa; non suonano, però, forse per non dare l’allarme a quelli che restano e sperano ancora di vincere la battaglia contro la morte: se ne vanno tutti silenziosi, certo pensando ciascuno ai casi suoi, contando i passi che li avvicinano all’ora della libertà: sono giovani, e la morte per loro non ha senso. E il vecchio soldato morto, in mezzo a loro, sotto i colori caldi della bandiera, aspetta forse lo squillo vivo delle trombe, per scuotersi dal suo sonno momentaneo ed entrare a suon di marcia nei campi dell’eternità.
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Il secondo funerale è, a giudicarne dal veramente mesto corteo che lo segue, quello di una popolana.
Era vecchia? Era giovane? Non si sa. Sole donne, e qualche ragazzo, seguono il modesto carro senza corone; sopra la bara un fascio di crisantemi bianchi e gialli, di quelli che crescono negli smossi orti di Roma, dà una tenue nota di colore al quadro grigio che pare si muova nella nebbia.
Le donne sono tutte popolane, alcune giovani, col bel profilo di Minerva mortificato sinceramente da un improvviso dolore. Quando il corteo sarà sciolto anch’esse, come i soldati del primo funerale, torneranno a ridere e a dir male parole; per adesso dimostrano sul viso tutto quell’impeto di solidarietà col dolore altrui che è la caratteristica più generosa delle donne del popolo di Roma. Le anziane e le vecchie sembrano più indifferenti; più pronte a raccogliere contro il loro cuore, come fanno coi lembi dei loro poveri scialletti, il pensiero della morie. Esse accompagnano la morte, ma si sentono anche accompagnate da lei; e non se ne sgomentano. Sono tutte donne stanche di lavorare, di lottare contro le lunghe interminabili avversità della vita: si vede dal modo come camminano, strascinando i piedi logori, dal modo come pregano, con quella rassegnazione che viene dall’abitudine a tutte le tristezze quotidiane. E forse invidiano la donna morta, che ha finito la sua giornata faticosa, e se ne va tranquilla finalmente, non coi passi delle sue rosicchiate calzature, ma come una signora in carrozza, tirata dai cavalli i cui pennacchi sembrano i meravigliosi fiori neri del giardino della morte.
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Il crepuscolo intanto si è addensato ma anche rischiarato per uno splendore lontano che viene dall’orizzonte tutto acceso di rosso.
Anche i fanali accanto agli alberi si accendono d’un tratto, come di volontà propria, e una luce fantastica dà colori violetti e gialli ai rami nudi, alle foglie secche e allo sfondo delle mura di là dal viale.
In quest’atmosfera quasi di allucinazione si svolge il terzo funerale: e pare di vederlo in una scena di teatro o su una pagina illustrata a colori di un libro di fiabe.
È il funerale di un bambino.
Adesso non c’è da sbagliarsi; il piccolo carro è tutto bianco, con lievi decorazioni dorate: sembra un cofano nuziale, e i cavalli bianchi, i necrofori in livrea bianca, le bambine del corteo vestite di bianco, i bambini tutti coi mazzolini di fiori bianchi in mano, le corone di rose bianche, tutto dà un senso quasi di gioia come al passare di un corteo di nozze.
La morte stessa si rischiara e prende i veli di sposa per accoglierti nei suoi regni, o bambino.
E i compagni e le compagne di scuola, che guidati dalle Suore grigie sembrano piccoli allegri pulcini in fila dietro le chioccie che li portano a razzolare nel prato, pensano a tutt’altro che a piangere. Qualcuno succhia di nascosto una caramella, qualche altro dà a tradimento uno spintone al compagno. Le bambine osservano i particolari dei loro vestitini, pronte a ridere se una di loro ha sporgente un lembo del sottanino bianco o la scarpetta slacciata.
Sono un po’ tutti anch’essi come i soldati che accompagnano il loro superiore ai bruni prati dove la stagione è sempre una, senza più mutamenti nè pericoli: finito il funerale torneranno ai loro giochi; e col passare degli anni il piccolo compagno morto avrà su tutti loro, che lo hanno veduto svanire nel crepuscolo come una bianca nuvola portata via dai bianchi cavalli del vento, il vantaggio di restare bambino, felice di non crescere e di non conoscere il terrore della vita e il terrore della morte.