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Passeggiando su e giù per la camera, si accostò alla finestra, della quale erano chiuse solamente le persiane che cedettero a un lieve urto. Giovanni si affacciò nel vano aperto respirando avidamente l’aria fredda dell’alba. Il cielo tutto involto in una densa caligine lasciava trapelare appena il pallore del giorno non lontano. Nel silenzio del cortile dove aprivasi la finestra e dove non si scorgeva assolutamente nulla, una imposta sbatteva tratto tratto contro il muro con un colpo secco e fastidioso. Quel rumore fece passare improvvisamente davanti agli occhi di Giovanni la Villa dei signori Firmiani, quale egli l’aveva in mente dall’ultima volta che era stato al paese, colle imposte fuori dei cardini, rotte, sgretolate, che dovevano sbattere anch’esse nella notte lugubre con uno stridore di pianto. Vide il cancello invaso dalle male erbe, il cortile verde di muffa colle pietre rotte dalle alluvioni e su tutto quello squallore balenò, improvviso come un lampo, il riso di Mariuccia bambina...

Giovanni si passò una mano sulla fronte, rapidamente, come a cacciare un pensiero inopportuno, ma volgendosi verso la camera, ebbe il dubbio di cedere ancora alla allucinazione e fece un passo avanti colle pupille bene aperte.