Il re della montagna/5. Il primo palpito

5. Il primo palpito

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Cap. V.

Il primo palpito.

Lasciata cadere la mussolina, era rimasta ritta presso la lampada, colla testa lievemente inclinata sulla spalla sinistra e gli occhi fissi sulle leggere cortine di seta della finestra, che il fresco venticello della sera lievemente gonfiava. Pareva che cercasse di raccogliere qualche nuovo grido o qualche nuova archibusata di coloro che perlustravano il giardino.

— Nulla — disse dopo alcuni istanti scuotendosi. — Che l’abbiano ucciso? Infelice!...

D’improvviso trasalì, diventando ancor più pallida. Le pareva di aver visto le tende dell’alcova agitarsi.

Fece un passo indietro, appoggiandosi con una mano ad un tavolino, e guardò verso il luogo ove celavasi Nadir, poi guardò la tenda della finestra, che in quel momento erasi gonfiata.

— È il vento — disse, atteggiando le labbra ad un sorriso, che lasciò vedere due file di candidissimi denti.

Ma quel sorriso tutto d’un tratto le si gelò sulle labbra. Le tende dell’alcova si erano lentamente alzate, e Nadir, col capo scoperto, le mani tese, era apparso.

— Silenzio — diss’egli, con un tono di voce tutt’altro che minaccioso. — Silenzio, o sono perduto.

Si avanzò fino in mezzo alla stanza e mise un ginocchio a terra proprio dinanzi alla giovane persiana, la quale, assalita da un inesprimibile terrore, indietreggiò vivamente fino alla parete opposta.

[p. 33 modifica]Si avanzò fino in mezzo alla stanza e mise un ginocchio a terra.... (Pag. 44.)

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— Perchè tanta paura? — chiese Nadir con voce dolce.

La persiana non rispose. Ella lo guardava con ispavento, pallida, tremante, senz’essere capace di fare un gesto.

— Perchè tanta paura? — ripetè Nadir, con maggior dolcezza.

Si rialzò e fece un altro passo innanzi. La persiana mandò un grido soffocato.

— Ai...uto!... — mormorò con voce appena distinta.

— Ah! Anche voi mi odiate — disse Nadir. — Che mi uccidano adunque!

Con rapido gesto snudò il kandjar e si slanciò verso la finestra, risoluto a saltare nel giardino. Aveva già alzato la tenda, quando udì la giovanetta esclamare con voce che più non tremava:

— Fermati!... Là ti assaltano!...

Nadir si arrestò, girando il capo indietro. A tre passi da lui stava la persiana, pallidissima ancora, e gli tendeva le mani come se volesse fermarlo.

— Fermati — ripetè ella. — Là v’è la morte!

— Non tremi più adunque? — chiese Nadir.

— No... no.

— Dunque tu non vuoi perdermi?

— Voglio salvarti.

— Ma sai tu chi io sia?

— Un giovane leale.

— Chi te lo disse?

— Me ne hai dato or ora una prova.

— E non hai più paura?

— No.

— Eppure siamo soli.

— Ma tu sei leale.

Un breve silenzio regnò nella stanza, rotto appena appena dall’ondeggiare della tenda agitata dal vento e dal lontano mormorìo delle fontane.

I due giovani, a tre passi di distanza l’un dall’altro, entrambi belli, si guardavano fissamente. Si avrebbe giurato che in quel momento i cuori di ambidue palpitavano e forse tutti e due per la prima volta.

— Sei buona — disse finalmente Nadir, scuotendosi. Ella chinò il capo sul petto e sorrise. [p. 46 modifica]

— E vorrei fare qualche cosa per te — aggiunse.

— Tu parli di me e dovresti pensare a te — disse la giovanetta.

— Perchè?

— Hai dimenticato che degli uomini ti cercano?

— Mi dissero che la stanza di una donna è inviolabile.

— È vero, ma qui tutti paventano l’ira del padrone e sarebbero capaci di entrare in questa stanza, se avessero il sospetto che un uomo vi si è nascosto.

— Ebbene, mi difenderò.

— Ma essi sono molti e tu sei solo.

— Ho il mio kandjar.

— Ed essi ne hanno molti. Ma non temere, io ti salverò, dovessi sfidare l’ira del principe.

— Non lo permetterò mai — disse Nadir con fermezza. — Morrò, ma comprometterti... mai!

— Sei leale e prode. Aveva creduto d’aver dinanzi a me un bandito, ma mi accorgo d’essermi ingannata. Il tuo nome?

— Nadir.

— Da dove vieni?

— Dal Demavend.

— Ah! Sei montanaro.

— Sì, sono cacciatore di montagna.

— Eppure hai le vesti di un principe.

— Ho un castello su quelle balze.

— Perchè sei disceso?

— Avevo un compagno da salvare.

Ella fece un gesto di sorpresa.

— Sei tu adunque che strappasti l’uomo che dovevano uccidere sulla piazza di Meidam?

— Sì.

— Dunque tu non sei solamente leale e prode, sei anche buono.

— Il Re della Montagna non poteva lasciare un fratello in pericolo.

— Sei tu che porti questo titolo?

— Sì.

— I montanari hanno avuto ragione di dartelo. Tu lo meritavi.

Un nuovo breve silenzio regnò nella stanza, poi la persiana, avvicinandosi a Nadir, gli chiese:

— Hai padre tu? [p. 47 modifica]

— No — disse con triste accento.

— Hai madre?

— Nemmeno. Sono solo sulla terra.

— Sono morti i tuoi adunque? — chiese ella con emozione.

— Morti e forse uccisi.

— Infelici — mormorò ella, guardandolo con tenerezza.

D’improvviso impallidì. Giù nel giardino si udivano delle voci.

— Zitto — diss’ella con voce tremante.

S’avvicinò alla finestra e sollevò la tenda. Ai piedi del padiglione, due uomini armati di fucili discorrevano.

— Non può essere fuggito — diceva uno.

— Eppure non l’abbiamo veduto — rispondeva l’altro.

— Che si sia nascosto nell’interno del palazzo?

— Non è possibile; però lo visiteremo.

— Ma le donne dormono.

— Domani non dormiranno.

— E il briccone approfitterà per iscappare.

— Ho lasciato dieci uomini lungo le mura e ne metterò altrettanti nei dintorni del palazzo. Ti assicuro, Abbassi, che non ci scapperà.

— Non scordarti che lo sciàh ce lo pagherà a peso d’oro. È un ribelle, e tu sai che i ribelli si pagano bene.

— Fidati di me.

La persiana ne sapeva abbastanza. Lasciò ricadere la tenda e tornò verso Nadir, che aveva impugnato il kandjar.

— Nascondi quell’arma, Nadir — diss’ella. — Mi fa paura.

— Ti accontento — rispose egli, rimettendo l’arma nel fodero. — Ma tu sei pallida e tremi. Perchè?

— Nadir — mormorò ella.

— Parla senza esitare. Il Re della Montagna è forte.

— Corri un gran pericolo, amico mio.

— Cos’hai udito? — chiese Nadir, che non seppe celare un fremito delle membra.

— Hanno circondato il giardino ed il palazzo.

— Chi?

— Gli uomini che ti inseguivano.

— Uscirò di qui egualmente. La notte è oscura e...

— No, no — esclamò ella con terrore. — Se ti uccidessero? [p. 48 modifica]

— Sono solo sulla terra — disse Nadir. — Nessuno mi piangerà... Ah!... Povero Mirza!...

— Chi è questo Mirza? Non sei solo adunque?

— È vero, non sono solo. Ho lasciato sulla montagna un vecchio amico del defunto mio padre, che mi ama più che se fossi suo figlio. Chissà fra quali ansie aspetterà il suo Nadir.

— Vedi bene che tu non puoi affrontare la morte.

— E che vuoi che io faccia qui? È la stanza di una donna questa.

— Hai ragione.

— Lascia adunque che io parta. Se nella lotta io morrò, il mio ultimo pensiero sarà per la donna che, non sapendo chi io fossi, si era generosamente offerta per salvarmi.

Tornò a snudare il kandjar, diede un lungo sguardo alla giovanetta e si diresse verso la finestra. Già stava per salire sul davanzale, quando sentì una mano appoggiarsi leggermente sulla sua spalla.

Si voltò rapidamente. La giovanetta gli si era avvicinata e l’aveva fermato.

Negli occhi di lei brillavano due lagrime che parevano due perle.

— Piangi! — esclamò egli.

— Nadir, non uscire... non uscire! — esclamò ella con voce soffocata. — No, no, non lo voglio!...

— Ma che importa a te che io viva o muoia? — chiese Nadir, con una specie di esaltazione. — Che sono io per te? Pochi minuti fa tu non sapevi ancora che io esistessi. Lascia adunque che io esca di qui; abbandonami al mio destino, chè tu hai fatto per me più di quello che avrebbe fatto qualunque altra donna.

— Non lo voglio! — esclamò la persiana. — Te lo proibisco.

— No, lasciami.

— No, io non lo voglio.

Ella aveva pronunciato quelle parole con una energia quale nessuno si sarebbe aspettato da quelle labbra, e come per darvi maggior forza aveva afferrato Nadir per le braccia.

Il montanaro, che già stava per slanciarsi verso la finestra, si arrestò, sorpreso di quella strana resistenza, che, se lo salvava, poteva costare a quella fanciulla forse infiniti guai.

— E sia — diss’egli. — Il Re della Montagna non disubbidirà alla prima donna che conobbe in vita sua.

Poi si volse verso la giovinetta, che lo teneva sempre stretto per

[p. 41 modifica]— No, io non lo voglio. (Pag. 48.)

[p. 51 modifica]le braccia, come se avesse paura che le sfuggisse, e guardandola fissa negli occhi:

— Il tuo nome? — le chiese.

— Fathima.

— Le vesti che indossi e il palazzo che abiti, mi dicono che tuo padre deve essere un principe.

— Mio padre! — mormorò ella con doloroso accento. — Non è mio padre il signore di questa dimora, è un potente che gode l’amicizia dello sciàh.

— Fathima — riprese Nadir dopo qualche istante e con voce commossa. — Quello che tu hai fatto per me è grande e non lo potrò mai scordare.

«Io abito lassù sulla montagna, in un castello formato da quattro grandi torri in parte diroccate. Se un giorno tu avrai bisogno di un servigio, per quanto grande sia, dovesse costare pure del sangue, manda un tuo messo in quel castello.

«Ho oro tanto da comperare una provincia intera, ho degli uomini forti, risoluti, affezionati al giovane Re della Montagna, e delle armi da mettere in piedi una banda capace da assaltare Teheran. Io metterò tutto a tua disposizione, la mia vita compresa.

«Ricordati di ciò che ti ho detto, Fathima, chè Nadir in ogni tempo, a meno che la morte non lo tolga dalla terra, mantenere saprà la parola.»

— Adunque sei ricco e potente tu! — esclamò la giovanetta, guardandolo con ammirazione. — Sei un principe, forse bandito da Teheran?

— Non lo so. Attorno a me c’è un mistero che io stesso ignoro.

Poi chinò il capo e parve immergersi in profondi pensieri, che la giovanetta non osò interrompere, ma qualche minuto dopo lo rialzò, dicendo:

— Ed ora, che devo fare?

— Rimanere qui, ti ho detto — diss’ella, scuotendosi.

— E tu?

— Rimarrò qui con te. Se uscissi potrei destare dei sospetti e perderti.

— E dormirai qui?

— Là, nella mia alcova, e tu rimarrai qui. I divani sono soffici e potrai riposare a tuo comodo. [p. 52 modifica]

— E non avrai paura, sapendo che io ti sono così vicino?

— Ti ho detto che tu sei troppo leale perchè io possa temere. Or dimmi: vuoi qualche cosa? Forse da lunghe ore tu non bevi un sorso di acqua.

— Non pensare a me, Fathima. Sulla montagna siamo abituati a tutte le privazioni.

— Addio, Nadir — diss’ella porgendogli la mano. — Non temere nulla, chè, fin che le tenebre non si alzino, nessuno ardirà qui entrare.

— Addio, Fathima — rispose egli afferrando con vivacità quella piccola e bianca mano e stringendola fortemente. — Riposa tranquilla.

La giovane persiana si diresse verso l’alcova con passo leggero, si volse un’ultima volta verso Nadir, che era rimasto immobile, lo guardò ancora fisso fisso, poi sparve dietro le tende.

Il giovanotto rimase alcuni minuti nello stesso posto ove era stato lasciato, cogli occhi fissi sulle tende, rattenendo a tratti il respiro come se temesse di turbare il silenzio che allora regnava nella stanza, poi si scosse, guardandosi attorno con una specie di sorpresa mista a curiosità.

Si passò una mano sulla fronte come se volesse svegliarsi; la ritrasse umida di sudore. La fronte gli bruciava come se sopra gli fosse passata una fiamma.

— È strano — mormorò con un filo di voce. — Si direbbe che finora io ho sognato.

Guardò ancora verso l’alcova, ma con uno sguardo commosso; le tende erano perfettamente immobili; tese gli orecchi piegandosi innanzi, ma non udì nulla.

— Dorme forse? — si chiese. — E non ha paura della mia presenza? E se io fossi invece un miserabile mentitore? Ma Nadir è il Re della Montagna, Nadir è leale e Nadir saprà mantenere la parola data. Dormi, Fathima, chè nulla hai da temere da me.

«Ma che provo io ora? Cos’è questo battito precipitato del cuor mio? Cos’è questo tremito che mi corre per le vene?»

Si diresse in punta dei piedi verso una finestra, alzò la tenda di seta azzurra ed espose la sua ardente fronte alla fresca brezza notturna.

La notte era splendida. In cielo scintillavano superbamente le stelle, e la luna, allora sorta, versava sull’addormentata città la sua [p. 53 modifica]azzurra luce, facendo spiccare vivamente i minareti e le terrazze, le arrotondate cime delle moschee e le fronzute vette degli alberi.

Un venticello fresco fresco, che scendeva dalle punte del Demavend, passava al disopra di quelle case e di quegli alberi, carico d’inebbrianti profumi.

Nadir appoggiò la testa sulle mani e rimase immobile, aspirando quei profumi, che pareva diventassero più penetranti.

Ad un tratto si scosse. Il suo pensiero era corso alla montagna, sulla quale lo attendeva, in preda a chissà quali ansie, il vecchio Mirza.

— Povero vecchio — mormorò. — Quale disperazione quando vedrà ritornare i compagni senza di me! E forse a quest’ora essi salgono le balze della montagna e forse il più agile ha recato alle torri la novella della mia scomparsa!

«Mi crederà morto, o forse ferito, o, peggio ancora, prigioniero di quegli uomini ch’egli tanto temeva perchè io sono... chissà mai chi... Povero Mirza, come piangerà, egli che mi adora e che per me avrebbe sfidata la morte la più crudele.

«Ah! E se io lasciassi questo luogo e tentassi di passare fra le sentinelle? Forse risparmierei a quel buon vecchio mille angosce... E perchè no?... Sono agile, sono forte, ho il mio kandjar, ed i nemici che qui intorno vegliano, non mi aspettano...»

Si rialzò come se avesse presa una improvvisa risoluzione, ma il suo pensiero era corso, nel momento in cui disponevasi a balzare nel giardino, a Fathima, ed il suo cuore aveva provato una strana sensazione.

— Fuggire, così, senza nulla dire a quella donna, che tutto ha tentato per salvarmi — mormorò. — E forse... forse non rivederla più... più mai!...

«No... no, Nadir...»

Si passò le mani fra i capelli e si guardò attorno, meravigliato delle ultime parole sfuggitegli dalle labbra.

— No... forse non rivederla più — ripetè. — Perchè dissi questo?... Perchè questa tema di non rivederla mai più?... E perchè questo battito del cuore quando il mio pensiero corre a lei?

«Che sento io?... Ah! Ecco quella strana sensazione che provavo lassù sulla montagna, quando il vento mormorava dolcemente sotto le foreste, quando l’aria era imbalsamata dal profumo dei fiori, [p. 54 modifica]quando il sole era presso il tramonto... Sì, sento come allora dentro di me una sensazione vaga, ignota, sento il cuore tumultuare e, come allora, una voce misteriosa sussurrarmi agli orecchi: Nadir, la montagna sola non ti basta!...

Il giovane si accasciò sopra un divano. La stanchezza e l’emozione gli fecero ben presto prender sonno.