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il re della montagna 51

le braccia, come se avesse paura che le sfuggisse, e guardandola fissa negli occhi:

— Il tuo nome? — le chiese.

— Fathima.

— Le vesti che indossi e il palazzo che abiti, mi dicono che tuo padre deve essere un principe.

— Mio padre! — mormorò ella con doloroso accento. — Non è mio padre il signore di questa dimora, è un potente che gode l’amicizia dello sciàh.

— Fathima — riprese Nadir dopo qualche istante e con voce commossa. — Quello che tu hai fatto per me è grande e non lo potrò mai scordare.

«Io abito lassù sulla montagna, in un castello formato da quattro grandi torri in parte diroccate. Se un giorno tu avrai bisogno di un servigio, per quanto grande sia, dovesse costare pure del sangue, manda un tuo messo in quel castello.

«Ho oro tanto da comperare una provincia intera, ho degli uomini forti, risoluti, affezionati al giovane Re della Montagna, e delle armi da mettere in piedi una banda capace da assaltare Teheran. Io metterò tutto a tua disposizione, la mia vita compresa.

«Ricordati di ciò che ti ho detto, Fathima, chè Nadir in ogni tempo, a meno che la morte non lo tolga dalla terra, mantenere saprà la parola.»

— Adunque sei ricco e potente tu! — esclamò la giovanetta, guardandolo con ammirazione. — Sei un principe, forse bandito da Teheran?

— Non lo so. Attorno a me c’è un mistero che io stesso ignoro.

Poi chinò il capo e parve immergersi in profondi pensieri, che la giovanetta non osò interrompere, ma qualche minuto dopo lo rialzò, dicendo:

— Ed ora, che devo fare?

— Rimanere qui, ti ho detto — diss’ella, scuotendosi.

— E tu?

— Rimarrò qui con te. Se uscissi potrei destare dei sospetti e perderti.

— E dormirai qui?

— Là, nella mia alcova, e tu rimarrai qui. I divani sono soffici e potrai riposare a tuo comodo.