Il primo processo delle streghe in Val di Non/Parte I
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Il primo processo delle streghe in Val di Non
PARTE I.
L’ISTRUTTORIA
Se per un istante mi allontano dalla pace serena delle ricerche letterarie per avventurarmi nell’officina dei tormenti inquisitoriali, non è colpa mia: volli, in sul principio, occuparmi dell’elemento folcloristico nel processo delle streghe della Val di Non: ma, rovistando nei manoscritti relativi, specialmente nel bel Ms. 618 della Tridentina, mi accorsi che questo materiale non era stato storicamente sfruttato: l’Ambrosi, il Panizza, il Rapp s’erano accontentati di trarne degli accenni generali senza dar molta importanza a quel piccolo mondo di particolari che rendono questo processo — a mio credere più interessante di tanti altri. Non ho la pretesa di scrivere la storia dei processi, o meglio della prima infornata di processi (1612-15) della Val di Non, oh no! Do un primo contributo il quale riuscirà utile a chi rintraccerà negli atti notarili e inquisitoriali del tempo le notizie che a me mancano.
I Manoscritti.
Sono due; l’uno, in foglio, cartaceo porta nella cartapecora che serve di copertina la scritta Processo generale e particolare contro le streghe formato sotto il Signor assessore Barbi (MS. 618 della T. mutilo delle prime 66 carte [pag. 1-132]).
Il secondo porta il numero Ms. 615 T e il titolo Desunto d’un vecchio manoscritto de fogli 388 che ha per titolo «Laurentis Turresani ex Diocesi Tridentina I. U. D. Annotationes ex approbatis Pontificii Cesarei q. iuris professoribus collecte ad Statuta Tridenti suis quibusque locis accomodate ed nunc primum in Avocatorum et Notariorum Anauniensium iurisque gratiam et levamen impressorie udet commisse cum indice rerum omnibum copiosius ex iisdem declarationibus congesto sub firmissimo presidio, tutelarique nomine Ill.m ac R.mi D. D. V. Tridenti D. D. superiorum permissu excudedebat Anno humani generis instaurati MDCXXX.1
Da questi due manoscritti balza fuori nettamente l’andamento del processo — per ironia di motto chiamato poi: la stupenda inquisitione — e, quantunque la materia non offra la ricchezza di forme che troviamo nel posteriore processo di Nogaredo, illustrato dal Dandolo, pur tuttavia sa plasmarsi, sotto l’occhio d’un paziente lettore del Manoscritto, in un tutto organico, armonico, e non meno commovente.
Origine del Processo.
La frammentarietà dei nostri documenti ci costringe a far congetture sul primo, primissimo punto di partenza della persecuzione giudiziale. Pare, a buon conto, escluso che una denuncia privata sia pubblica, sia anonima, sia per via diretta, sia per mezzo della «bussola» parrocchiale abbia mosso l’autorità ad inquisire. Ci pare assai probabile che la pubblica fama, la voce corrente dell’esistenza di streghe numerose in Val di Non, frequenti nelle tregende roveniane, abbia attirato l’attenzione del pubblico commissario super maleficus e lo abbia spinto a occuparsi della cosa.
Indiziate più che mai sembrano esser state le pievi di Tòs, di Bresimo e di Romeno. L’unico caso di accusa esplicita — per auctorem — è quello di Nano: qui il notaio Arnoldo eleva — coram judices — querela di maleficio, operato in danno del proprio figlio da tal Maria Vito di Nano. Dopo i processi di Fiemme era naturale che un commissario zelante tenesse d’occhio la sua giurisdizione e la pubblica superstizione aiutò il suo buon volere.
I personaggi principali del dramma sono:
il m. r. Giovanni de Ramponi, parroco di S. Sisinio, decano foraneo delle Valli di Non e di Sole, inquisitore contro le
persone malefiche, detto anche commissarius c. p. m. oppure semplicemente commissario;
il n. signor Gabriele Barbo, assessore della valle di Non e di Sole e già vicario foraneo della stessa giurisdizione e cancelliere nelle cause contro le persone malefiche;
Baldassare Arnoldo, notaio;
Zambono e Pasquino, officiali di Castel Coredo;
Matteo Caldana (Matheus Candana) viatore o avvisatore.
Nella monografia « Nonsberger Hexen-Prozesse in den Jahren 1614 e 1615 » si afferma che Lorenzo Torresani fu difensore di gran parte degli inquisiti; infatti trovai che nella prima ripresa egli intervenne (1612) (2) senza interloquire. Nel 1615, e precisamente nel maggio, il Barbo uccideva sua moglie, la nobildonna Anna Maria degli Alessandrini, gravida e, già prossima al parto, per la qual cosa fu chiusa l’inquisizione, presenziando nelle ultime, ulteriori pertrattazioni Lodovico Particella.
A giudicare per induzione, l’anima brutale dell' inquisizione e il Barbo, il cui carattere è poi fatalmente lumeggiato dal suo delitto. Su lui grava la maggiore responsabilità.
Per colpa dei documenti mutili ci presentiamo al processo in ritardo. Siamo probabilmente in una « villa » della bassa Anaunia: sfilano davanti a noi alcuni testimoni i quali depongono in lingua volgare. Le domande dei giudici non sono registrate, cosicchè le truci figure degli inquisitori ci paiono quasi ravvolte dal mistero, dal silenzio: specialmente nella prima parte — informativa — del processo. Le deposizioni lumeggiano il grado di superstizione dei singoli luoghi: in alcuni non c’è nulla: in altri troppo. Il testimonio primo, del quale sappiamo il nome, è l’ottantesimo quinto citato: Antonius Lilijs di Quetta. Che cosa fu deposto prima? Ci duole di non poterlo dire: lui asserisce di aver sentuto nominar una « stria » a Quetta, una vedova Menega detta la Tronella, che pare la figura più compromessa della pieve: ha fatturato animali, e s'accusa, d’altro canto, di aver « sfantato un'altra fattura d’ impotenza coniugale » conducendo la sposa ammaliata sopra un « zoffo di salvia ». Sfilano 15 testimoni: di Quetta (Gili e Fedrizzi (3) di Dercolo (Noldin, Enrici, Sommavilla, Bertol), di Segonzon (Biava) di Loverno (Bernardi, Betta, Bendet, Tonioli), di Campo d’Enno (Zanoni, Pangrazi). Le accuse degli uomini sono parche, si afferma di aver udito mormorare, si constata la voce pubblica, null’altro.
Ciò che meraviglia e il trovare in una persona istruita (rara avis!) un terribile teste d'accusa: il notajo Noldin Giovanni di Quetta, il quale aggrava la posizione della Tronella, affermando di aver «sentuto dir che dessa teneva le bussole, e che segnava gli occhi malati», e accusandola di essersi trasformata in «gatta che sgnaulava». Non prova però anch’esso che la fama pubblica.
L’unica donna di questa seduta giudiziale è Brigida detta la Braita Portolana, vedova, di Tosio, che depone contro una tal Antea, cioè Dorotea di Fior, Portolana, e contro Maria Rigoli di Thos detta la Grill, figlia di un'Orsola pure diffamata per stria, per fatturamenti di giovani e fanciulle e per aver fatto gesti strambi nella « sesla dell’ horzo ».
La seconda tornata giudiziale è documentata integralmente: siamo in Burgo Clesii in domo Jac.i Tomazolli in un brutto venerdì, 16 marzo, 1612.
Già il primo teste (centesimo del processo) dà un elenco minutissimo di donne in voce di streghe: una Veronica Morati da Mechel, Maria Melchiori, la moglie di Bennassù Cheller, la moglie di Faci Trepen, la vedova di Cristofollo Pillon, la moglie di Antonio Zambart da Cestione, Maria Bolognini, Isabetta del Valent da Majan, e la vedova di Simone Simonzel. Questa serie spaventosa di Lamie prodotta da Antonio Pillone si sfronda poi nelle deposizioni seguenti: restano aggravate la Pilona da Spinazeda, una Isabetta Valenta di Galinari, da Dres, e Veronica da Pez.
Chiacchera molto una donna, Diana Tomazzolli, moglie di Francesco di Brez, la quale mette a brutto partito la Isabella Valenta per certe fatture fatte sur una figlioletta della teste; mentre un Giovanni Pontati parla di altre streghe. In fine entrano in scena due anime oneste: Domenica Simoncella e Malgarita Simoncelli che rispondono «nihil scire». In generale le accuse nella pieve appaiono vaghe e di natura assai leggera: molto le persone indiziate, ma pochi i testimoni e insignificanti i fatti da essi addotti.
La terza seduta, del 19 marzo, si tenne a Varolo, in domo detto la Fredaja.
Anche la Pieve di Bresimo appare copiosamente infestata da streghe, non solo, ma anche da strioni, come racconta un loquace Iacobus Florianus de Bresimo: fra le vittime dell’accusa: la Gadenta, vedova di un Caloveti, e un Simon Rodeger da Praia, una Gabrielli che faceva andare « i sorzi su per la segosta ». una Anna della Cia di Manfredi, un Paolo Caloveto: altre strie dovevano esistere a Preghena, a quanto depone il sindaco Petro Augustino; una, la più famigerata, era la Pasqueta del Zoan di Sandri, che si trasformava in gatta e ammaliava « creature nella cuna »: a Livo, dice il teste Matteo Stanchino, non c’era che una sola donna in fama di malefica: Malgarita, moglie di Zoan d’Agostini del Mezalone. A Cis — dice Bertoldo da Vian detto dal Piaz — si nominavano come streghe: Catarina, moglie di tal Zoan da Poz, sua figlia Maria « moier di Peder della vesta », Doratea vedova del Guarent, e Catarina, moglie del Zoan Pizol (o Pepol), detta Catharina Pepola. Il teste Iosefo dal Spiaz aggiunge: una Gnes del Martin Zader; poi una Maddalena Caloveta, accusata da Bertoldo della Caminada di Cis.
In una seconda tornata dei 20 marzo, nella stessa villa, depongono alcuni testi di Livo e della pieve circostante: un Andreis di Scanna, un Bondi, un Zanolli, un Aliprandi, uno Sparapanni, una Catoni, tutti di Livo e via via 30 testimoni, seguiti il giorno dopo, mercoldì 21 marzo, da un’altra infornata che si presenta alla quarta citazione nella villa di Dambel (villa de Ambulo), nelle case di Salvador Benetti. Vigilio Zuccal cita solo quattro persone sospette: una Antonia Pedrotta, una Maria Bettol, una giovena da maritar, Domenega, figlia del quondam Galiaz e uno stregone, un Zoan Rosà, sartor.
La più aggravata è Maria Bettol, sospetta di stregheria commessa durante la segagione.
A Clouz, accanto ad un Rizzi che accusa tal Caterina di Michel Cleta ossia Zanon, troviamo dei galantuomini: un Nicolò Clauser, un Leone Zaffon, un Romedio Cembrin, i quali tutti affermano di non aver mai sentito nominare delle streghe in quel territorio, mentre un Biagio Gras ne annovera ben quattro (cioè una Antonia del Bugnat, una Catarina di Micel Zanon, una Maria di Anton Franzesc di Violini, una Maria di Calovini, vedova).
A Vasio, a Margnon, a Seio, poca cosa: dicerie vaghe e inconcludenti.
Nella quinta audizione (22 marzo — ibidem) continua la filza dei testimoni, tutti assai miti, di Soio, Vasio, Cloz e Dambel: e si inizia l’inchiesta nell’Alta Valle: un Tomazzoli di Cles. abitante a Cavareno, afferma che nè a Malosco, nè a Seio, nè a Cavareno sentì mai fiatare di streghe, mentre un Bartolameo Inama ne cita vagamente, « per aver sentù dir », un paio; seguono alcuni altri, Inama, Cristanelli, de Moris, Selva, Colò di Malosco, Inama di Ronzone, Calovini da Sarnonico, Zuccali di Sernonico, Ranzi di Ronzone, Zini di Cavareno, che non portano accusa alcuna, che sia di speciale rilievo.
La sesta giornata processuale fu indetta nello stesso giorno, pare, a Romeno nella casa di Nicolò Micheli, vicino al Maso di S. Tomè.
Qui le deposizioni si aggravano e si concretano: la vittima più in vista è una Pillona, assente e in quel torno di tempo dimorante nel Longadese; poi, meno attaccate, una Pasca da Banch, una Maria Greif, una Catarina Coret, e Leonardo Perizalli, una persona notabile, scrivano del Giudizio di Castelfondo, uomo ricco « vir alias magnae in hac regione authoritatis et de ditioribus » con sua moglie Anna Maria Crivella, una Barbara del Fattor, un Marino Caliar, tutti enumerati da una lunga deposizione di Nicolò di S. Tomè; le seguenti testimonianze (tutte lunghe comprovano la presenza d’un forte focolare di superstizione: Johannes Plazolla, Antonio de Romedi, detto il Furlano, Vigilio Rosal rincarano la dose; e così l’incartamento cresce nell’audizione, settima, del venerdì 23 marzo; una grandine di fatture su bimbi e adulti, fatture sulla virilità di sposi, malìe sul bestiame, sottrazioni del latte alle madri e alle vacche, malocchio ai maiali, evocazioni di temporali e di fulmini, metamorfosi di streghe in gatte!
Si vedono tutti i sintomi della suggestione collettiva, un teste infiamma l’altro: la stessa accusa si ripete, si ingrossa, si specifica, scompare e ritorna come una serpe; una Specialita del luogo è il ripetuto tentativo di rabdomantismo per mezzo del cosidetto crivel, particolare questo che dal commissario è preso assai sul serio ed è zelantemente ventilato. Si arrestano già parecchi accusati.
Nello stesso giorno, settima tornata, si raccolgono testimonianze in Sanzeno (In Villa Sancti Sisinii) nella casa del Signor Martino Ziller: la messe è scarsa: un Bertoldi di Salter fa il nome di una Dorotea (Dorathia de Saltero) moglie di un Bonvesin, e quello di una morta, la Maria del quondam Poloni di Malgolo, a Banco, Roschel e Sanzen nessuna traccia di malefiche. A Casez una moglie di Romedio Gatti che aveva il foletto in casa; a Salter: certa Maria del Zoan Cristoflet, e qualche altra: le deposizioni sono mediocremente concrete, parlano ripetutamente i testi di Salter: Bertoldi, Gabaudi, Lugarini; di Malgolo: Sarcleti; di Bancho: Moscoti di Procheri, Stancher; di Casez: Gezzi, Bonadoman; di Plan: Parolini; di Roschel: Bonadoman ecc.
Nello stesso luogo, il 24 marzo, si arresta un altro dei «crivellatori» di Romeno e si passa a estendere l’inchiesta nel contado di Coredo, altro focolare notevole di superstizione.
Parla un Beltrami contro Barbara, moglie di Federico detto il Buzat; e racconta una lunga storia di fatturamento e di sfatturamento, operati con 1m cerimoniale curioso e romanzesco dalla detta Buzata: più largo nel deporre è Vigilio Moncher il quale nomina una Maria Moncher detta la dottorella, una Catarina Molinara, la detta Barbara Rizzardi detta la Buzata, una Antonia di Antonio Zannet detta «la ’ncredada»; danno schiarimenti un Silvester Papa, un Antonio Widman, un Nicolò Zanot et altri.
A Smarano poca cosa: una untorella: Maria Vedova del quondam Valentin Casar, a Sfruz qualche nome: Antonia Bendeta, Gnes Cristofletta Partli, accusata da un Polli e da altri (Partli, Ossana, Chaon. ecc.).
Un Barbacovi di Tres fa il nome di Anna vedova di Simon Margon, una vedova Franceschina del quondam Trelmo e Maria Felomena: vittime principali la Margona e tal Menega di Zoan Brisa suggerita più tardi, tutte di Tres.
Di Taio si nomina una Regnuda di Guielmo di Vielmi. Così giungiamo al bel numero di 238 testimoni. Si finisce il processo contro i gettatori del crivello di Romeno: Giovanni Signorelli, Paulo de Pauli, Niccolò Fattore detto Andreol, famiglio del Pievano da Romeno, passando gli atti al fisco.
Dopo l’interruzione di qualche giorno, il 16 aprile ecco la commissione di nuovo raccolta in S. Zeno. Si presenta, non un testis citatus o un testis casualiter repertus, ma un tal Michael Martinus de Priodo, sponte deponens; il quale spiattella il nome di alcune streghe di Priò e circondario: Maria Caliari, Anna Ambrosi, Malgarita detta la Rea de Darden, una moglie di un Zoan Menghin da Vervò, e il notaio segna pazientemente in margine, accanto al nome, una stellina od una linea per indicare: sunt ergo citandae ad judicium inquisitionis.
Così termina l’atto istruttorio, scritto maledettamente e con poca cura dall'Arnoldi. Sono 346 pagine e 247 deposizioni di testimoni, l'ultimo dei quali è un Clauser di Romeno, punito con multa per la sua ritrosia nel comparire.
L’ istruttoria è condotta secondo i criteri adottati dal Malleus Maleficorum (4) pag. 222. Non pare però che la corte giudicante si sia attenuta solamente alla così detta norma del Processus per citationem generalem.(5) Perchè, se qualche teste si annuncia spontaneamente, il maggior numero dei comparsi a deporre è definito colla formola citatus; da chi fu fornito l’elenco delle persone escutibili? E’ cosa notevole che nissun ecclesiastico è nel novero dei testimoni: pochissime le persone accademiche: la maggior parte sono contadini. Mancano i nomi delle due honestae personae che avrebbero dovuto assistere al processo, forse si volle trascurare questa norma (Quaest. I, Modus incohandi processum, pag. 223) durante l'istruttoria per applicarla solo nel dibattimento.
Le deposizioni nell’ istruttoria e l'elemento superstizioso.
Le affermazioni dei testimoni hanno quasi tutte una forma onesta: si confessa candidamente di aver sentito dire, si attesta la voce pubblica, la mala fama, non più.
Son, dunque, in gran parte laeviores probationes (M. Quest. I. pag. 225). Qualche volta appare però chiaro l'animus inimicus; una contesa per una gallina, per un porcello, odii inveterati di vicinato sono velati dallo zelo di salvare la purezza delle credenze.
L’elemento superstizioso è scarso di motivi leggendari; è riflesso, quanto pare, dal codice, è parallelo alla materia considerata dalla letteratura contemporanea: non si potrebbe quindi provare dalle sopradette deposizioni l’esistenza d’un folclore, d’una tradizione antica, d’una mitologia lamiaca; una strega deporrà nella seconda parte del processo d’aver sentito parlare delle streghe solo quando s’iniziarono i processi: nulla di più probabile. Ecco le principali specie di reato lamiaco che compaiono nel nostro processo:
1. Fatture di „persone umane“; bimbi ammaliati dal malocchio muoiono di mal sottile: in generale si tende ad ascrivere la consunzione lenta che porta il malato all’ inscheletrimento (« no era pu che pelle e osso ») a influsso di strega, prodotto semplicemente da segni, occhiate, da oggetti (grani di miglio, aghi, pagliuzze) deposti nella culla.
Giovani adulte sono ammaliate con bocconi: garofolo, « smalzo » , poina, miazza e fugazza, frutta, torta, pinze, pane, uova, vino, latte; oppure con imprecazioni e formole maledicali, o semplicemente collo sguardo. Nelle uova si credette di trovar dentro unghie, aghi, veleni e bava.
2. Fatture di bestie, le quali « vanno in drio e diventano secche » Fattura del latte, al quale si toglie lo smolz (la produttività grassa).
3. Dispersioni di parto prodotte con bocconi (a Banco).
4. Dispersioni di latte nelle madri, con boccone e malocchio.
5. Dispersioni del latte nelle mucche col malocchio e col toccamento (« ciuciar el lat alle vache »).
6. Curiosissima è la Fattura d’impotenza maritale, citata, con qualche insistenza e con ricchezza di particolari, in tre casi. In un caso (Coredo) la strega opera la fattura gettando avanti gli sposi che tornano dalla cerimonia nuziale un sasso così che passi fra le gambe al marito novello; in un altro caso (Bassa Anaunia) si accenna alla noce la quale scissa nelle sue valve e gettata « in dispersia » impediva l’atto matrimoniale fino che le valve si fossero riunite nuovamente.
La Gadenta trovò in questa fattura il suo crimine fatale!!(6)
7. Scongiuri di tempeste. Coll’andare nei campi nel giorno del Corpus Domini, col guardare il cielo, col soffiare tre volte in terra.
8. Miracoli diabolici, far uscire Vino o latte da un larice, far uscire da una pera lampi, nugoli, e fumo, così da far venire il sangue in bocca a chi l’addenta.
9. esorcizzazioni, pignoramenti, controfatture.
Si leva il malocchio nei modi più strani: mettendo in culla o nei cuscini o nei pagliericci brandelli di vesti della fattucchiera, o con cerimonie più lunghe; col mettere le mani sulle spalle e pronunciar formole deprecatrici, col beveraggio d'acqua santa, col mettere i pegni della persona fatturata (capelli, vesti, maglie) ravvolti in un panno nello « sgaùs » d’un salice: col far tondere il capo della strega e farci una chierica.(7)
Questi esorcismi sono alla lor volta reati, perché non approvati dalla Chiesa e perché operati da indovini o dalle streghe stesse: appare come uso e costume divulgatissimo di rivolgersi nei casi sospetti di fattura all’indovino, che è considerato come persona tollerata dalla Chiesa e ben diversa dalla strega: l’arte dell’indovino sembra essere un’istituzione lecita come la chirurgia o la medicina. Caso strano che i testi non fanno il nome degli indovini e i giudici nol domandano.
10. Metamorfosi diaboliche. La strega si trasforma in gatta, la quale malmenata, battuta, colpita di forca, quasi uccisa, « sgnaula » con voce quasi umana e si rimpiatta. Il giorno di poi la persona accusata d’esser strega si trova nel letto ferita, malconcia, con un « fazzollo al col e le giambe rotte ». Oppure, in un caso, la maliarda si trasforma nel letto maritale accanto al marito, in una granata o spazzadora. Un pignoramento assai in voga era quello della « ponta »; si disfaceva la fattura pungendo di coltello la strega, alla quale si cavava prima il fazol dal cau.
11. Operazioni diaboliche: uno strione è accusato « di far segar le fauz, senza guzzarle, per tre giorni », altri di far andare buoi stanchi avanti e indietro a sua volontà: una donna, come vedemmo, fa andare i sorci per la segosta su nel camino: aprire con una paglia le serrature d’un uscio, spalancare senza la forza le porte chiuse a catenaccio: sono altre imputazioni del genere. Una borsa vuota posta sulla tavola si trova il giorno dopo piena di zecchini.
12. Rabdomanzie coi busseri e col crivello (tamis) per rintracciare cose perdute o mancanti o rubate, o per scovare i ladri. I rabdomanti prendevano il cribro con un « forfes » e dicevano la formola sacramentale: « Per San Pero e per San Paol è stato il tale? » Se il crivello stava fermo negava: se si muoveva e girava per la stanza assentiva. Quando si trattava di rintracciare cose perdute il rabdomante o i due rabdomanti giravano per le « stanzie » o per le « stuve » e in quella di esse nella quale si moveva si doveva trovare la cosa perduta. Questa operazione si diceva « tirar el tamis ». Altro procedimento rabdomantico, a cui si accenna, è il battere gli archi (Cloz) che potrebbe corrispondere alla vera e propria rabdomanzia virga curvata. Non troviamo invece spiegazione del procedimento nel « tocar i busseri dell' unguento » mentre si capiscono gli accenni al « buttar el piombo colà »(8).
13. Superstizioni particolari: e molto diffuse dovevano essere quelle « del segnar i ogi » ammalati, e del guarire il male di stomaco, toccando il paziente tre volte sul petto colla punta del timone d’un carro e dicendo la formola Toi timon, garisci sto magon. Ms. 618 pag. 219.
14. Sonnambulismo. Si depose di aver visto delle vecchie a ballare sui tetti al lume di luna: di essersi appese a una spreuza, coi piedi in su, di andarsene sui prati colle gonne rovesciate sul capo: di inginocchiarsi, durante le segagioni, per far atti strani e soffiare in terra e mormorar parole inintelligibili.
15. Possedere un folletto. Il « folet » è definito vagamente come una cosa pelosa.
16. Incantamento con le herbe (salvia, herba ruta, maiorana, malva). Specialmente al giorno della Ceriola, quando si ornava le candele con erbe verdi, si coglievano le herbe maliarde.
Qualche esempio di deposizione.
Un pignoramento, Ms. 618. pag. 301 e seg.
Dominica uxor Salvatoris Beltrami Coredi, testis citata monita
et iurata.
Quae ad opportunas interrogationes interrogata respondit:
« Signori no che mi no ho sentuto dire ch’a Coredo vi siano strie ne state, fuori che già doi anni occorse un fatto che Maria mia figlia ch’essendomi praticato in casa una donna Barbara moglie di Arderico Rizardo detto il Buzato per un’inverno che l’haveva pigliato amicizia stretta con la detta mia figliuola, la detta mia figlia s’ammalò che non la potè andar à far del herba et a ligar come l’haveva tratatto con la detta Barbara Buzata in Longades et stete male per un pezzo: occorse che il Rev.o p. Predicator intese che el ge era la mia putta amalata, et però mi fece chiamar in canonica insieme con la putta, ricercandone se gli era sta fatto malia alcuna. Mi dissi che non ne sapeva. Gionta à casa venne ivi la detta Buzata e mi disse che si era contenta, l’haverebbe visto s’era stà nosù alla d.a Maria e che l’haverebbe evitata,(9) perch’anc’à lei era stà nosù quando l’era sposa et si insegnò a sua madre una cosa che la migliorò: e mi desiderosa d’aiutar la puta, dissi se la sapeva questa cosa che la dovesser aiutarla, et così la mattina seguente detta Buzada ritornò in casa mia, portando seco una balla di piombo d’archebuso et la viddi che la messe in una padella et sopra il focco a descolàr, havendo fatto sentàr la d.a Maria su l’uscio della cosina et me a tener un cozzar da segador con dell'aqua dentro sopra la testa di d.a Maria, dileguato che fu il d.o piombo l’algettò nel d.o cozzar et aqua et poi si buttò fuor in una piana che l’era andato in diverse parte longete come guselette da piombin, et la d.a Buzada disse orazione e queste son guselette: et mi diede a servar d.o piombo così dileguato: la mattina seguente ritornò la d.a Buzada et dileguò il d.o piombo com’haveva fatto l’altra mattina et lo gettò anco similmente, tenendomi come feci per avanti; apparve una masseta grosseta de piombo; la d.a Buzata disse che l’era una zatta. La 3a mattina si fece il tutto con l’istesso ordine et nell'istesso luogo che fù fatto le due precedenti mattine col d.o piombo et apparve nella d.a piana una massa de piombo et sentii che la d.a Buzata disse: quest’è un crocifisso: disse la istessa Buzata, bisogna (havendo prima detto ch'alla d.a Maria ge era stà nosù) fare una fugaceta in drio man, impastarla con l’orina della putta e mettergi dentro il d.o piombo dileguato et poi portarla all'aqua corrente. Mi porta della farina a quest’effetto, fu mesdata con l’orina della d.a putta per la d.a Buzada che viddi che poi pestovvi dentro il detto piombo se ben 1a voleva che mi la fasesse che mi non volsi, dicendogli: se havette fatt’ il resto fatte pur anco questo
che mi non me ne voglio intrigare: la la cose in sul fogolar et
poi la diede alla d.a Maria, che la la portasse all’aqua corrente e
la gettasse in essa in drio man et che no la se voltasse mai in drio,
il che inteso dissi alla d.a Buzata: vede che la puta e tutta malada
che non la può andar, audatege voi a buttarla nel’aqua; al ch’ella
mi rispose: se la gi andava ella, la megliorarà più presto di quello
la farà se ge andasse mi a buttarla; la d.a Maria partita con la
d.a fugazza, si ritornò da li à pocco tutta sugolenta e disse che
l’era stata zo al ri da vena, et che l'haveva buttata via, come ge
era stato ordenato, la fugazetta. Venne il dì seguente ivi in casa
l’istessa Buzata, mentre che mi era a basso al bestiame et disse
alla d.a Maria: sei tu megliorada, et la d.a Maria ge disse: ma di
nò, et la Buzata: sì che ti sei miorada et le ponte che ’havevest
ti, le senti mi adosso, et tanto me ha referido la d.a mia figlia.
Dispersione di parto. Ms. 618, pag. 305.
Anna uxor Bartolamei Parolini de Plano testis evocata per officialem, monita et iurata in formam.
Interrogata respondit: Signori sì che una volta già cinq’anno in circa, essendo di già congionta in matrimonio con Bartolomeo Parolin mi sentji esser gravida, anzi anco vicina al parto et era nel nono mese della gravidanza, che mi haveva sentuto la creatura batter nel corpo più et più volte alcuni mesi avanti e anco havevo visto venirmi il latte dalle tette et anco m'erano tratenute per il d.o tempo le purgationi solite per otto mesi et più e haveva il ventre tanto grande et che pareva ch’ogni dì dovesse partorire et però anco s’erano fatto tutte le preparationi che eran solite al parto et però m'ero anco confessata et comunicata, come costume delle donne vicine al parto ma quando mi credeva de partorir, ecco che mi sento a retirarse il ventre, a calarmi il corpo in spaccio de otto dì che non pareva d'esser gravida, ne mi sentji la creatura e ciò mi avvenne doppo che mi furono dati doi garofoli et da me mangiati nel spacio di detti otto dì, perchè retrovandomi un giorno nella chiesa parochiale de Sanzen dove Maria moglie di Antonio Parolin mia cugnata essendo venuta debile le fu dato doi garofolli da una donna, ma non volendoli ella mangiare, li diede a mi et li mangiai et da lì in poi mi calò il ventre e si svanì il parto come ho ditto di sopra. — La dona che mi diede li detti doi garofoli fù donna Dorathia moglie de Romedio Gier detto Gattel da Casez. — Mi signori m’ho sempre governata bene mentre fui grossa com’ ho detto, ne so mai d’essermi discomodata in cosa alcuna che m’havesse potutto far disperdere, non che morir la creatura nel ventre, come se m’è smarita e persa: e però dubito che nelli detti doi garofolli vi sii stata malia tale che m’habbi fatto succedere la perdita del d.o ventre... ecc.
Il crivello. Ms. 618, pag. 336.
Joanes Signorellus de Romeno comparuit per officialem evocatum ecc. ecc. interrogatus respondit:
Signori vi dirò circa questo fatto quello che sò: stando mi per fameio già 14 anni circa col R.do nostro già Pievano di Romeno morto, occorse ch’essendo robbata una fume al d.o R.o Pievano mi risolvei insieme ad un’altro di casa d’andar da Zoan Honofrio il vecchio che havevo sentuto dir che lui sapeva indovinare col crivello il quale m’insegnò come si doveva fare a buttar il crivello ossii a indovinar con esso, cioè a tor un crivello et taccarci dentro un forfes con doi ponti et poi tenerlo da doi persone per il detto forfes col dè indice et dir uno: per san Pero per san Paol l’è sta el tale (nominando la persona sospetta) ch’ha robbato la tal cosa (nominando la cosa robbata) el che l’altro rispondesse: per san Pero per san Paol no è sta al tale (nominando il nominato dall’altro) ch’ habbi robbato la tal cosa (nominando la cosa nominata dall‘altro) nominando cossi sin’tanto che il crivello se move e gira, perchè col motto che fa quando vien nominato colui che ha robbato lo scopre movendosi al nome di quello.
Et cossì mi e un’altro della fameia del D.o R.o facessimo et nominata una persona viddi a moversi anco il crivello conforme a quanto m’haveva detto il d.o Honofrio et di più anco si cominciò a nominar la stanza dove che detta fume doveva esser, digando uno de noi per san pero; per san paol la è nella tal stanzia (nominando certa stanzia) e l’altro: per san pero per san paol la fume nò è nella tal stanzia (nominata dall’altro) et all’ultimo se mosse il crivello et le viddi, havendo nominata una certa stanzia di casa e andando mi a guardar nella d.a stanzia, alla nominatione della quale il crivello s’era mosso, serata da quello al nome del quale s’era mosso come di sopra, ritrovai la d.a fume sotto il feno che in essa vi era ecc. ecc.
Note
- ↑ Vedi Sammler, 1807, III Vol., pag. 272, cap. 28.
Il Ms. 615 porta la scritta: Desunto da un manoscritto di 388 fogli, intitolato ecc. ecc. - ↑ Ms. 618, pag. 496, come procuratore di Tommaso Porlata di Tos. Il difensore pero non interviene mai nella discussione del processo e ha — come risulta dalla procedura illustrata dal Dandolo — ben poca influenza sull’esito dell’azione giudiziaria.
- ↑ Detto chel.
- ↑ Lugdreni, Ms. 6, 69.
- ↑ L’ invito ad accusare i malefici si faceva a tutti per vincolo di coscienza con un editto affisso ad valvas ecclesiae.
- ↑ Qualche volta la fattura maritale è condizionata alla vista d’una persona, della maliarda stessa (Antonio Floriani è impotente ogni qualvolta vede il proprio padre, immediatamente prima di avvicinarsi alla moglie).
- ↑ Il bruciare un nido di rondola è pure annoverato fra i mezzi efficaci di pignoramento. Ms. 618, pag. 470).
- ↑ Il fondere pallottole di piombo e trarne pronostico è ancor oggi in uso.
- ↑ Parola indecifrabile.