Il povero superbo/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Gabinetto in casa di Pancrazio.
Il Conte, poi Pancrazio e Dorisbe in disparte.
Convien che parli io stesso
Al padre del mio bene,
E chieda il refrigerio alle mie pene.
Spero che da Lisetta
Sarà stato avvisato, e qui l’attendo
Incerto fra la speme ed il timore.
Oh quanto sei crudel, nume d’amore!
Pancrazio. Chi mi vuol, chi mi chiama?
Conte. Io son...
Pancrazio. Che vuole?
Conte. Conferire con voi quattro parole.
Pancrazio. Parli pure; ma prima
Mi dica chi lei è,
Che s’io non lo conosco,
Non dee parlar con me.
Conte. Non conoscete
Di Montebello il conte?
Pancrazio. Mi pare e non mi par che lo conosca 1.(pensa
Conte. Dunque del buon Pandolfo,
Che fu vostro fedel sincero amico,
Scordato già vi siete,
O per me ricordar non lo volete?
Pancrazio. Oimè, che nome! un tal dolor mi sveglia,
Che non so come fare
Il pianto a raffrenare.
Fu quasi mio fratello.
Pancrazio. Sì, lo conosco bene;
Mi dica che gli occorre, e parli libero.
Conte. Signor Pancrazio mio,
Dorisbe vostra figlia
Adoro riverente ed amoroso,
E l’onor bramerei d’esserle sposo.
Pancrazio. Sì signor.
Conte. Voi sapete
Lo stato di mia casa,
E sapete quant’io sia ritenuto.
Pancrazio. Oh benissimo, io l’ho riconosciuto.
Conte. L’amabile Dorisbe
È del mio amor contenta,
E solo aspetto il vostro genio udire.
Pancrazio. Ho inteso, ho inteso tutto;
Dorisbe sarà vostra.
Conte. E quali grazie
Rendere al vostro amor potrei, signore?
Io v’offro in ricompensa un grato cuore.
Padre, nell’alma io sento
Nascere un tal contento,
Che placido mi dice,
Che alfìn sarò felice
Col caro amato ben.
Quel nero ciglio e il volto,
Ov’è ogni bello accolto,
Stringerà il cuore amante,
Che or va saltando in sen. (parte
SCENA II.
Madama e Pancrazio.
Di cui forse il miglior non troverete,
E voi, signor, perchè non risolvete?
Pancrazio. Mia moglie esser volete?
Oh, questa sì ch’è bella!
Mi giunge inaspettata tal novella.
Madama. Come? non vi sovviene
Di quel che s’è discorso appunto qua?
Pancrazio. Non mi ricordo niente in verità.
Madama. Ho sofferto abbastanza,
In pregiudizio ancor del mio decoro;
Or risolver convien3.
Pancrazio. Qui su due piedi?
Madama. Rispondete alla prima, sì o no.
Pancrazio. Sì... no... così e così... ci penserò.
Madama. Ma ne’ pensieri vostri
Siete dubbioso e vario.
Pancrazio. Non vi trovo, signora, nel lunario4. (parte
SCENA III.
Madama, poi Scrocca.
Di me si prende gioco
Per farmi più dispetto?...
Scrocca. Illustrissima, io sono...
Madama. (Oh maledetto!) (da sè
Scrocca. (Opportuno son giunto). (da sè
Io diceva, illustrissima...
Scrocca. Illustrissima sì. (L’ora è cattiva.) (da sè
Madama. Di chi mi lagno? Tutti
Questi uomini indiscreti
Ci lusingano, e poi
1 bricconi si burlano di noi.
Sono certi uomini
Così volubili,
E solo apprezzano
L’infedeltà.
Sempre s’aggirano
E qua e là.
Amor promettono,
E fedeltà,
E poi c’ingannano,
Povere femmine.
Da lor guardatevi,
Per carità. (parte
SCENA IV.
Scrocca solo.
Non depose la collera e lo sdegno?
Pur nella donna il fumo,
E l’ambizion prevale;
Ma quando è irata, è un perfido animale.
Quando la donna è in collera,
Convien lasciarla star;
Peggiore è del gran diavolo,
Se non si può sfogar.
Se voi non mi credete,
Se voi non ne ridete,
Andatela a provar. (parte
SCENA V.
Dorisbe, il Conte e poi Pancrazio.
Del genitore i sensi
Propizi al nostro amore...
Quanto tarda a venir...
Conte. Idolo mio,
Di liete nuove apportator son io.
Dorisbe. Ben mel predisse il core.
Conte. Le nostre nozze approva il genitore.
Dorisbe. Oh quanto lieta io sono!
Conte. Ma conviene affrettarle, acciocchè poi,
Essendo il padre vostro smemorato,
Non resti il dolce nodo disturbato.
Dorisbe. Ei ne saria capace. (esce Pancrazio
Pancrazio. Bravi; amatevi sempre in buona pace.
Dorisbe. Padre, il Ciel vi conceda
Quegli anni fortunati,
Che a voi dal vostro amor son preparati.
Conte. Sì, vi conceda il Cielo
Veder da tal momento
La prole fortunata, e me contento.
Pancrazio. Siete marito e moglie, or terminati
Saran tanti sospiri, affanni e duoli;
Or pensate a far nascer dei figliuoli.
Amatevi del pari, e rammentate
Questo antico e verace sentimento:
L’amor del matrimonio è il condimento.
Dorisbe. Più bramar non mi lice.
Conte. Momento fortunato.
Di mia felicità!
Dorisbe. Oh sospirato segno,
Che vita alfin mi dà!
Conte. Idolo del mio seno.
Dorisbe. Mia vita, mio diletto,
Ti stringo a questo petto
Colmo per te d’ardor.
SCENA VI.
Il Cavaliere in abito di gala, poi Lisetta.
(pavoneggiandosi
£ moderno il vestito... è bello assai.
Ma queste nozze non si fanno mai?
Son dal conte invitato,
Spero mangiare ed esser ben trattato.
Lisetta. (Oh che figura!) (da sè
Cavaliere. Par che questa sia...
Schiavo, Lisetta mia.
Lisetta. Uh, uh. (ride
Cavaliere. Tu ridi?
Lisetta. Sì signore,
Ho sempre un poco d’allegria nel cuore.
Cavaliere. Ridere in mia presenza
Mi par che sia un po’ d’impertinenza.
Lisetta. Scusate, quando io vedo
Certe caricature... ah, ah. (ride
Lisetta. Io vo’ rider, signor, quanto mi piace.
Cavaliere. T’insegnerò il trattare.
Lisetta. Mel potete insegnare,
Se siete un cavalier così compito. (ironicamente
Ma dite, come state d’appetito?
Cavaliere. Son stanco di soffrirti.
Cospetto!..
Lisetta. No, signor, non v’alterate,
E se siete affamato,
lo vi consiglio a risparmiare il fiato. (parte ridendo
Cavaliere. L’affronto è memorando,
Ed io dovrò soffrir, dovrò tacere?
No... mi vo’ vendicar da cavaliere.
Corpo di Bacco... io voglio
Andar sopra le furie.
Pazza... ragazza... a me
Sai dir cotante ingiurie?
Non son, se non mi vendico,
Non son un cavalier.
Più duro di uno scoglio
Ho il cor per vendicarmi,
Io vo’ che d’oltraggiarmi
Ti passi ogni pensier. (parte
SCENA VII.
Lisetta, poi Pancrazio.
Alla fortuna mia pensar conviene). (da sè
Fortunati quegli occhi5
Che vi posson veder!
Pancrazio. Con tanti intrichi
Questo momento dunque
Non si perda, mia cara, inutilmente.
Mi vuoi tu bene6?
Lisetta. Niente.
Pancrazio. Come? Perchè?
Lisetta. Son io
La cameriera, e voi il padron mio;
S’io v’amassi, dovrei
Troppo di poi patir per vostro amore.
Ho sìri tenero il cuore,
Che lasciato una volta in libertà,
Più legarsi non sa.
Pancrazio. Dunque io non sono
Quello di cui tu pensi?
Lisetta. Ma se vi penso, e poi?
Pancrazio. L’aggiusteremo presto fra di noi.
Vuoi tu che intero, intero,
lo ti spieghi il mio cuor?
Lisetta. Parlate pure.
Pancrazio. Desideri esser mia?
Lisetta. Volesse il Ciel... ma poi, se son schernita?...
Pancrazio. Ben, sposiamoci dunque, ed è finita.
Lisetta. Che poca carità ch’è mai la vostra!
Burlare un’innocente!
Pancrazio. Io ti parlo col cuor sinceramente.
Lisetta. Se mi burlate poi, mi parrà strano.
Pancrazio. In pegno del mio amor, ecco la mano.
Lisetta carina,
In questa mattina
Ti giuro la fè.
Lisetta.
La fede, l’affetto
È tutto per te.
Ma dubito ancor.
Lisetta. Amatemi in pace,
Lasciate il timor.
Pancrazio. Quegli occhi son miei.
Lisetta. Son vostri, si sa.
Pancrazio. Quel core vorrei.
Lisetta. Prendetelo, è qua.
Pancrazio. Mio bel coricino,
Ti voglio, carino,
Deh vieni da me.
Lisetta. Ma senza del core,
Signore, - si more.
Pancrazio. Vi dono il cuor mio.
Lisetta. Ma questo dov’è?
Pancrazio. Il mio coraccione
Con tutto il polmone
Vi dono così.
Amor lo ferì.
Lisetta. Mi piace così.
SCENA ULTIMA.
Pancrazio, Lisetta, il Conte, il Cavaliere, Madama e Scrocca.
E voi venite qui:
Siete marito e moglie. (a Dorisbe e al Conte
Affrettiamoci un po’, per carità.
Lisetta. (Mancava quest’arsura). (da sè
Cavaliere. Farem poi la scrittura.
Madama. Ancor io ci sarò, e permettete. (esce Madama
Lisetta. Madama, troppo tardi giunta siete.
Pancrazio. È tutto accomodato,
E le nozze di far si è terminato.
Cavaliere. Come, senza di me?
Lisetta. Tardi è venuto.
Pancrazio. Io non avrei creduto
Che fosse necessario a tal faccenda.
Sposò Dorisbe il conte, ed io Lisetta.
Madama. (Ha voluto sposar quella fraschetta). (da sè
Cavaliere. Il maneggio era mio. Io son chi sono.
Voi mi trattate male.
Lisetta. Bisogno non abbiamo di sensale.
Cavaliere. Tu sei troppo importuna.
Madama. (Ed io restar dovrò così digiuna?) (da sè
Scrocca. Mi rallegro, illustrissimi padroni.
Cavaliere. Io saprò far valer le mie ragioni.
Pancrazio. In grazia, una parola: (lo tira a parte
Questi trenta ducati son per voi.
Cavaliere. Mi maraviglio... ma però li accetto,
Acciò sappiate che vi porto affetto.
Pancrazio. Obbligato davvero.
Lisetta. Oh che compito cavalier del Zero!
Pancrazio. Ora staremo tutti in allegria.
Conte. In così lieto giorno
Tutti gli affanni miei più non rammento;
Se voi siete mia sposa, io son contento.
Dorisbe. Men lieta non son io,
Se come vostra io son, voi siete mio.
Lisetta. Ed io col mio vecchietto
Passerò i giorni miei lieti e felici.
Che una moglie in età così fiorita
Sarà opportuna, e mi darà la vita.
Lisetta. Spiacemi che madama...
Pancrazio. In questo giorno
Consolarla desio...
Udite, se vi piace, un mio pensiero:
Ditemi, prendereste il cavaliero? (a Madama
Madama. Per mantener il lustro
Alla mia nobilissima famiglia,
Non per altri pensieri...
Pancrazio. E voi la sposereste? (al Cavaliere
Cavaliere. Volentieri.
Madama. Via, datemi la mano.
Cavaliere. Eccola, o cara;
Questo nobile acquisto mi consola.
Madama. (È meglio prender lui che viver sola). (da sè
Conte. Cavalier, mi rallegro.
Cavaliere. Conte, amico,
Della mia protezion siete sicuro.
Madama. Amore e fede io vi prometto e giuro.
Della mia nobiltà, de’ beni miei,
Padrone voi sarete;
Ma prometter dovete di cangiare
Il superbo trattare;
Poichè nel mondo tutto
D’un povero superbo
Non si può dare un animal più brutto.
Cavaliere. Qual vorrete, sarò.
Madama. Dolce marito!
Lisetta. (Che bella union di fumo e d’appetito!) (da sè
Pancrazio. Quante gioie in un punto!
Cavaliere. (A satollar la fame alfin son giunto). (da sè
Vivano i sposi
Lieti, amorosi,
E amore serbino
E fedeltà.
E ’l dolce e amabile
Laccio d’amore,
Legando il core,
Formi una stabile
Felicità.
E viva gli sposi,
Graziosi, amorosi,
E sentirò eterno
Dell’alma l’ardor7.
Fine del Dramma Giocoso.