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352 ATTO TERZO
A tavola si va?

Affrettiamoci un po’, per carità.
Lisetta. (Mancava quest’arsura). (da sè
Cavaliere. Farem poi la scrittura.
Madama. Ancor io ci sarò, e permettete. (esce Madama
Lisetta. Madama, troppo tardi giunta siete.
Pancrazio. È tutto accomodato,
E le nozze di far si è terminato.
Cavaliere. Come, senza di me?
Lisetta.   Tardi è venuto.
Pancrazio. Io non avrei creduto
Che fosse necessario a tal faccenda.
Sposò Dorisbe il conte, ed io Lisetta.
Madama. (Ha voluto sposar quella fraschetta). (da sè
Cavaliere. Il maneggio era mio. Io son chi sono.
Voi mi trattate male.
Lisetta. Bisogno non abbiamo di sensale.
Cavaliere. Tu sei troppo importuna.
Madama. (Ed io restar dovrò così digiuna?) (da sè
Scrocca. Mi rallegro, illustrissimi padroni.
Cavaliere. Io saprò far valer le mie ragioni.
Pancrazio. In grazia, una parola: (lo tira a parte
Questi trenta ducati son per voi.
Cavaliere. Mi maraviglio... ma però li accetto,
Acciò sappiate che vi porto affetto.
Pancrazio. Obbligato davvero.
Lisetta. Oh che compito cavalier del Zero!
Pancrazio. Ora staremo tutti in allegria.
Conte. In così lieto giorno
Tutti gli affanni miei più non rammento;
Se voi siete mia sposa, io son contento.
Dorisbe. Men lieta non son io,
Se come vostra io son, voi siete mio.
Lisetta. Ed io col mio vecchietto
Passerò i giorni miei lieti e felici.