Il podere (Tozzi)/XVII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | XVI | XVIII | ► |
XVII.
Bubbolo era ancora giovane: poco meno di Remigio; e tanto grasso che appena teneva gli occhi aperti. Aveva la sinistra paralizzata, con le dita attaccate insieme e senza unghie. Ma con quel braccio, tutto insensibile, poteva picchiare come se fosse stato un bastone. Il viso pareva di donna,
perchè la barba non gli veniva.
Aveva una botteguccia a mezze scale del vicolo di San Paolo, sotto la vôlta dell'arco, da dove si scende in Piazza del Campo. Accanto ci stava anche un sellaio e un uccellaio. Il sellaio, perchè in bottega mancava sempre la luce, lavorava su uno scalone; cavalcioni alla tavola a morsa e la lesina in bocca o in mano; mentre l'uccellaio teneva attaccato fuori di bottega una gran gabbia che potesse essere vista senza scendere il vicolo. Bubbolo, là dentro, possedeva un canapè sfondato, con una buca in mezzo, dove dormiva; e un tavolino dove lasciava i campioni dei grani e delle altre semenze, accanto a quelli degli olii, e dei vini. In bottega, simile ad una spelonca, non ci stava quasi mai; ma, in cima alle scale, s'appoggiava ad uno dei colonnini di pietra che sono là nel mezzo, e parlava dei suoi affari.
Appena fu sicuro che Chiocciolino se n'era andato, salutò Remigio; con l'aria di fargli notare, per offenderlo, quant'era educato e come sapeva contenersi. E gli disse:
— Ho saputo che vende la Casuccia.
— Non è vero: ve l'ho detto anche l'altra volta. Perchè volete insistere?
— Perchè mi vuol dire di no?
Allora Luigia, che stava anche lei, ad aspettarlo alla finestra, infastidita che il sensale non se ne fosse andato quando gli aveva detto che il figliastro non c'era, scese e domandò:
— Perchè tutti sanno che vendi la Casuccia e a me non lo dici?
— Non è vero.
— Perchè, allora, Bubbolo è venuto qui a posta a parlartene? A me, che ti faccio da mamma e vivo con te, non dici niente! Le cose devo saperle dagli altri! Ma io domani vado dal mio avvocato e mi faccio dire se tu puoi vendere senza il mio consenso. Almeno la parte mia, tu non la puoi toccare.
Remigio, benchè si trovasse in uno stato d'animo quasi doloroso, si mise a ridere.
— Non ridere, invece! Queste sono cose serie!
— Ma io rido di quel che sento dire tanto da lei che da lui! Sono stufo di sentirmi rimproverare sempre per niente!
— Non t'arrabbiare! Se non è vero, tanto meglio. Dentro la tua coscienza, sai da te se dici la verità o la bugìa.
Gli pulì un gomito della giubba sporco di terra, e tornò in casa.
Allora, Bubbolo disse:
— Ecco, ora che siamo soli, mi dica in confidenza se è vero o no.
Nei suoi occhi celesti c'era la gioia e il piacere d'imbarazzare Remigio; che non poteva fare a meno di rispondergli:
— Non è vero! Non è vero!
Bubbolo si mise a sghignazzare, allargando i bracci: quello paralizzato faceva quasi ribrezzo.
— E, allora, perchè per tutta Siena lo dicono? Sono venuti a riferirmelo anche in bottega! Ha visto: io non mi muovo mai da quel colonnino delle scale, e quanti si occupano di vendite poderali sanno che è messa in vendita la Casuccia. Del resto, io non voglio insistere. L'altra volta, quando fermai mi rispose male; ma, questa volta, non ho da lamentarmi. Mi scusi, anzi! Se non ha bisogno di me, io vado!
— Grazie; non ho bisogno di niente.
Bubbolo era già arrivato al cancello, ma si fermò e gli fece cenno con la mano di andare dov'era lui:
— Se non sono troppo curioso e indelicato, mi dice perchè Chiocciolino è venuto fin qui con lei?
E un'altra volta i suoi occhi celesti brillarono di gioia e di piacere.
— Mi domandava... di un'altra cosa.
— Ho capito! No, no: non la voglio sapere. Le chiedeva quelle dugento lire, che dice d'avanzare per i maiali.
Remigio, allora, rise. Ma Bubbolo gli disse serio:
— Badi, sa: glieli dia; perchè quello è capace di tutto.
— Io credo che non li debba avere.
— Ah, non è cosa che mi riguarda! Ma glieli dia: è meglio.
E se n'andò, togliendosi due volte il cappello.
Alla Coroncina, vide Chiocciolino; che stava là ad aspettarlo. Era di malumore: con il cappello sopra gli occhi e le mani in tasca; il bastone appoggiato al muro. Allora, Bubbolo lo salutò per primo. Chiocciolino gli rispose:
— Aspettami, vengo con te. Stavo qui per vedere se passava un carro di fieno: ne volevo comprare uno anche io.
Strada facendo, siccome si sapevano risoluti a non confidarsi di quel che avevano parlato con Remigio, cercarono di darsi ad intendere ch'erano amici; ma nessuno dei due volle cedere e si lasciò impaniare.
Remigio era salito subito in casa; e la matrigna gli disse, mostrandogli una busta chiusa:
— L'hanno portata, dianzi, per te.
— Non sa chi la manda?
— Non lo so. Credo il Pollastri.
— C'era il conto per le due copie dell'inventario e per l'opera prestata il giorno prima: in tutto trecento lire.
La matrigna allungava il viso, storcendo la bocca. Remigio, con le mani tremanti, ripiegò il conto; e lo mise in tasca. Voleva andare a cambiarsi la giubba; ma, dall'aia, lo chiamò Berto.
— Che vuoi?
— Venga giù un momento, se non ha da fare.
Remigio scese di malavoglia; il contadino gli disse:
— Badi che lei, prima di mandarmi via, mi deve dare almeno due mesi di tempo: un mese non mi basta.
— E chi ti vuole mandar via?
— So, di sicuro, che lei vende la Casuccia.
— Non è vero.
— Mi convince poco. Perchè io a quel che dice la gente non do ascolto; ma quando vedo che le riportan giuste... Ora è troppo tempo che sento dire di questa faccenda, e ho voluto star zitto per veder come andava a finire. Ma, quando girano attorno casa persone come Bubbolo e qualche altro, c'è poco da sbagliare.
— Non li ho chiamati io!
Il contadino lo guardò, per fargli capire che non gli portava nessun rispetto; poi disse, maliziosamente:
— Meglio così.
Remigio tornò in casa così afflitto che non aveva animo nè meno di parlare alla matrigna; benchè sentisse il bisogno di raccontarle ogni cosa. Stette un bel pezzo zitto, zitto, senza decidersi ad entrare in nessuna stanza: sul pianerottolo delle scale; finchè salì Ilda portando un fiasco d'acqua, più buona di quella del pozzo, presa alla sorgente dell'orto; dove andava tutti i giorni anche perchè era più fresca. Ilda, vedendolo a quel modo, non lo salutò; e si mise a raccontare a Luigia quel che aveva sentito dire nell'orto, dalle contadine:
— C'erano tutte e tre le donne insieme; anzi, mi son meravigliata perchè insieme non ce l'avevo viste mai. Specie dopo la litigata per il forno! Allora io...
— Parla in modo che ti si capisca!
Ilda rise, e alzò la voce.
— Non glielo volevo dire! Perchè lei se la prende troppo! Io, allora, mi son nascosta dietro quel noce che c'è, facendo finta che mi dovessi rimettere una calza.
— Ma perchè ridi?
— Mi fa ridere lei!
— Quanto sei sciocca! Tira avanti quel che dicevi.
— E ho sentito tutto.
— Che hai sentito?
Luigia era incuriosita, e si compiaceva che Ilda riescisse, quasi tutti i giorni, ad ascoltare qualche pettegolezzo: credeva che fosse utile per gli interessi. Perciò, la guardò con affetto.
— Dinda diceva: l'ho saputo anch'io: tra un paio di giorni, ci sarà un altro padrone. Allora Cecchina ha risposto: poco male! Io non piangerò di certo, e mio marito nè meno. Gigia ha detto: saranno pochi da vero quelli che ne proveranno pena! Ma Dinda ha risposto: non si sa mai se a cambiare sarà meglio o peggio! Sono state un poco zitte, e poi Cecchina ha ricominciato: piuttosto bisogna stare attenti che ci paghi il salario! Perchè a quel che sento dire io, le cose vanno di molto male. Dinda ha sospirato; e Gegia ha detto: questo lo sapevo anch'io. Anzi, riguardo al podere, m'hanno spergiurato che è stato già venduto.
Remigio si mise ad ascoltare, dimenticando il sentimento penoso che gli aveva lasciato Berto. Ma Ilda, mettendo l'acqua del fiasco in una caraffa, perchè badava più alle parole che a quel che faceva, urtò con il gomito un bicchiere in proda alla madia e lo fece spezzare. Restò, arrossendo, con il sorriso a mezzo; e, con un braccio, si parò credendo che Luigia la volesse scapaccionare.
Ma Luigia dava troppa importanza alle chiacchiere delle contadine; e stava soprapensiero. Quando vide quel che s'era rotto, restò a bocca aperta e disse alla bambina:
— Questa volta non ti faccio niente, perchè sei stata brava ad ascoltare quelle donnacchere. Piglia la granata e spazza subito i pezzetti di vetro! Guarda che non ti taglino le mani.
Poi disse, come tra sè, a voce alta:
— Bisogna metterci riparo!
Allora, Remigio entrò; e disse:
— Anche Berto, dianzi, m'ha chiamato a posta.
Ma Luigia non s'accorse del dispiacere ch'egli ne aveva sentito; invece, continuò a sfogarsi come per conto proprio. Egli chiese alla bambina:
— Hai sentito altro?
Ma Ilda, quando non parlava a Luigia, non sapeva dire quasi niente. E, perciò, la matrigna gli rispose:
— Se avesse sentito altro, lo avrebbe detto a me.
Poi, disse alla bambina:
— Butta i pezzetti del bicchiere alla spazzatura e vai a fare le tue faccende.
Ilda dette un'occhiata a Remigio e obbedì; allora, la matrigna disse:
— Qui, si vive nella menzogna; e a me non piace!
Egli scattò:
— Ma chi gliel'ha messe in testa queste cose?
— Non gridare! Tu gridi con me, perchè sono una donna, e invece dovresti cercare di essere più premuroso. Quando dovresti farti intendere, magari con Berto, allora ti fai rigirare come vogliono.
— Perchè, dunque, non mi crede?
— Il perchè lo sai tu.
— Io?
— Se tu vuoi andare d'accordo con me, ora che l'avvocato è per mettere a posto i nostri interessi tra noi, devi essere leale. Se no, è meglio che io muoia.
Allora, egli, perchè smettesse, le chiese:
— Quando devo venire dal suo avvocato?
— Io non lo so. Prima bisogna vedere l'inventario: E, poi, dall'inventario, si cava la quarta parte dell'usofrutto; che, per legge, mi spetta.
Ella, dalla mattina alla sera, pensava a questa cosa; e con il pretesto di comprarsi o una sottana o qualche nastro a Siena, andava sempre dal suo avvocato. Così, sapeva esattamente tutto; e ne parlava come se avesse preso le misure a una stoffa per tagliarne con le forbici il pezzo già scelto. L'atto legale che stava preparando l'avvocato, le piaceva molto e l'appagava. Abituata sempre ad obbedire e poi trattata peggio d'una serva dal marito, ora anche lei aveva un avvocato che pensava ai suoi interessi; ed era impazientissima che l'atto fosse completato. Pregava sempre: « Signore! Quanto ci vuole!» Perciò disse al figliastro:
— Tu, piuttosto, spicciati a pagare il notaio, perchè dia la copia dell'inventario all'avvocato. Se no, il tempo passa!
— Lo pagherò.
— Ma i denari ce l'hai? Dimmelo: perchè bisogna, per questa cosa, che tu li trovi in tutti i modi. Questa è una cosa che va innanzi a tutte le altre, perchè se tra me e te non si stabiliscono, subito, le nostre ragioni in un modo chiaro... io, senti, allora, faccio in un altro modo. Vedi che gli altri, che non ti sono affezionati come me, ti hanno fatto causa subito.
— Lo pagherò con i denari che mi sono restati della cambiale.
La matrigna doventò pallida; e disse quasi senza voce:
— Se non ce n'hai altri!
— Mi debbono bastare per pagare i diritti di successione, le tasse e gli assalariati ogni mese. Più, ci sono le spese di casa.
— Sicchè, hai fatto la cambiale?
— Glielo avevo detto.
— Lo so che me l'avevi detto. Ma credevo che tu avessi rimediato.
Egli, allora, per non doverle parlare ancora, escì; quasi piangendo. Ma, fuori, c'era un bel sole; e si senti subito meglio. Nel cielo, che pareva più alto del solito, le nuvole passavano silenziose. Un uccello nero svolazzava sopra la casa; senza avvicinarcisi mai. Un calabrone, con le ali di un nero luccicante e turchino cadde nell'acqua; facendo lo stesso rumore d'una pietruzza; una delle anatre accorse nuotando e lo inghiottì; poi scosse il becco goccioloso.
Egli pensò, come se sognasse: «Sono giovane!»