Il podere (Tozzi)/XVI
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XVI.
Quando Remigio tornò dal suo avvocato, fu accolto in un modo che non si aspettava. Egli aveva bisogno, molto più di prima, di trovare qualche cosa che rispondesse al suo sentimento e alla sua fede; e, invece, sentì di essere addirittura uno sciocco. Egli ci si arrabbiava, e il Neretti gli disse:
— Bada di non fare il caparbio. Credi di avere ragione, e finchè non ti sei convinto che non è vero non metterai giudizio. Almeno, hai guardato bene se tra i registri che tuo padre doveva certamente tenere, c'è segnato nessun pagamento fatto alla Cappuccini?
— Non ho trovato niente. — E arrossì.
— Non ci credo.
— Ma è vero, ti dico!
Infatti, all'infuori di qualche ricevuta insignificante, di parecchi anni prima, tutta bucata con gli spilli per tenerla insieme con la pianta catastale del podere, in un rotoletto legato con lo spago, Remigio non aveva visto altro.
L'avvocato si mise a leggere certi fogli di carta bollata di un altro processo. Remigio, tacendo e vergognandosi, aspettava che rialzasse la testa. Alla fine, il Neretti si grattò il ciuffo come se fosse infastidito e gli disse:
— Insomma, le cose anderanno per le lunghe. Questo è quanto ti posso dire io.
— Tre mesi?
— Tre mesi! Se tu hai denari da spendere, anche tre anni.
Egli rideva, guardandolo da capo ai piedi così impacciato. Ma, temendo che Remigio allora non pensasse, per il meglio, di accordarsi da sè con la Cappuccini, disse facendosi serio:
— Tu non parlare mai con nessuno. Qualunque persona venga da te per questa faccenda, mandala da me. Perchè a te fanno quel che vogliono. Io ti ho già capito da un pezzo. Son tutti più furbi di te. Tu sei un imbecille.
E rise dello stupore che appariva nel viso di Remigio; che non avrebbe osato rispondergli male. Poi disse:
— Ora, vattene: ho da fare per cose molto più importanti della tua, che mi fanno guadagnar bene.
Era vero! Egli non avrebbe avuto da dargli nè meno cento lire, e il Neretti pensava a quanto era necessario per la carta bollata e per gli atti al tribunale. La carta bollata, ormai, doveva essere già parecchia! Chi sa quante volte Giangio aveva segnate le spese, con quelle sue lettere tremolanti e grosse!
Il Neretti, vedendo che Remigio se ne andava malvolentieri, gli disse:
— Mio caro! Io ti consiglio per il tuo bene! Poi, del resto, tu sei padrone di fare quello che vuoi.
— Ma, appunto, io voglio farmi consigliare da te.
— Da me? E che ti devo dire? Credi da vero che la Cappuccini non debba avere quei denari? E, allora, si tira per le lunghe; può darsi che, alla fine, si stanchi. Ma, con il gratuito patrocinio, lei non ci rimetterà mai niente. Ormai, a dietro non si torna, lascia fare a me: vedrai che, tra quattro o cinque mesi, siamo sempre allo stesso punto. Ora, vattene! T'ho già fatto capire che mi dai noia.
— Quando devo tornare?
— Quando vuoi: tanto io che Giangio siamo sempre qui a tua disposizione.
— Ora verrà anche la querela di quel sensale che chiamano, mi pare, Chiocciolino.
— Lasciala venire! Portamela subito.
Remigio gli strinse la mano, sorridendo egli stesso del proprio imbarazzo. Quando fu fuori, gli restò a mente soltanto che il Neretti gli aveva detto imbecille; e doventava rosso come se quella parola gli bruciasse anche il viso.
In fondo alla Costarella, Chiocciolino che parlava con una fruttaiola grassa e con le braccine di bambola come il volto, gli andò dietro mettendogli una mano su la spalla. Remigio s'era accorto che gli voleva parlare; ma ora non potè fare a meno di non voltarsi benchè non gli dicesse niente. Allora Chiocciolino si mise il bastone nella sinistra, lo prese sotto il braccio e gli disse:
— L'accompagno un poco, se va giù alla Casuccia. Dianzi, l'ho visto entrare dall'avvocato Neretti.
Remigio si tirava in disparte, ma l'altro lo teneva forte sorridendo a vedere quella ritrosìa. E gli disse:
— Non si vergogna mica a venire con me? È arrabbiato perchè ho fatto da testimonio al processo?
— A me non importa niente.
— Non ci credo: non mi pare. Ma, appunto, io volevo parlare della mia faccenda che si potrebbe accomodare così tra noi, alla buona.
— Ma perchè voi avete fatto da testimonio?
— È venuta a trovarmi quella disgraziata (come si chiama?) Giulia; e io siccome sapevo tutto da suo padre... Non ho fatto bene? La verità c'è anche per quelli che sono nati poveri. E, poi, quelle ottomila lire sono soltanto un bocconcino, della sua Casuccia.
— Ed io sono convinto che mio padre non doveva darle niente. Voi sapete perchè io non stavo in casa con lui?
— Me l'hanno detto a un dipresso: ma queste son cose che io non voglio sapere perchè non mi riguardano.
— La Cappuccini m'ha fatto causa perchè sperava che mio padre le lasciasse una parte del patrimonio. Era la sua amante.
— Non si lasci scappar di bocca nessuna offesa, perchè potrebbe darsi che Giulia le desse querela anche per quello che dice di lei.
— L'ho detto soltanto a voi, ora!
Chiocciolino si fermò nel mezzo della strada:
— E se venisse a risaperlo?
Remigio ebbe paura, e gli rispose:
— Ma voi non andrete a dirlo a lei!
— Dunque, facciamo le cose in buona amicizia! Lo vede che, se io volessi, potrei farle male anche dell'altro?
— Andate a parlare con il Neretti: se lui accetta, qualunque cosa dica, io ne sono contento.
— Se devo andare dal suo avvocato, vado piuttosto dal mio!
E lo lasciò. Ma rifece la strada, lo riprese sotto il braccio e gli disse:
— O lei voglia o no, io e lei è destinato che doventiamo amici.
Remigio non capiva; e, ricordandosi ch'egli era mezzo epilettico, avrebbe voluto fare a meno di quella conversazione. Inoltre, non poteva perdonargli d'aver fatto da testimonio; e, per quanto non sapesse spiegarsi com'egli potesse aver saputo da suo padre certe cose degli interessi, non poteva rassegnarsi a credere che il sensale dicesse la verità. Inoltre, Remigio, timido e inesperto, non si credeva in diritto d'indagare, con qualche mezzo, quanto fosse sincero; e aveva anche paura di dire qualche cosa che poteva magari comprometterlo. Allora taceva tutto mortificato. A quelle parole, aveva guardato, sorpreso, il sensale. Ma questi, quasi pigliando gusto a parlare, seguitò:
— Il mio scopo di fare amicizia con lei è questo: con suo padre, gli ultimi mesi della sua vita, siamo stati un poco freddi e forse lui mi odiava. E anch'io l'ho odiato. Ora sarebbe bene che io e lei, invece, fossimo amici, con lo scopo di mettere un pietrone su le cose passate; perchè avrei piacere di non odiarlo più da morto.
Chiocciolino era capace di fare questi cambiamenti, come sarebbe stato capace, dopo qualche settimana o meno, di tornare da capo a volergli male. Remigio sentiva che non poteva fidarsi, ma non volle più essere sgarbato; e gli disse, benchè con rincrescimento:
— Io non ho niente contro di voi.
— Ma, — riprese arrossendo Chiocciolino, dopo aver capito che ormai Remigio era sempre meno ostinato, — bisogna che lei mi paghi quei due maiali. Se non può, mi faccia una cambiale. Io sono disposto ad accettarla: vede che non sono esigente. Se, poi, mi costringe a far la causa, come vuole a tutti i costi l'avvocato Sforzi, io, allora, non so più quel che dirle per il suo bene. Ne trovi un altro, che le parli con più amicizia di me! Chiocciolino lo sanno tutti chi è. Meno qualche scatto, quando mi piglia caldo alla testa, e allora il responsabile non sono io, ho sempre saputo farmi rispettare da tutti.
E lo strinse sbottonandogli la giubba e dicendogli con un sorriso:
— Se ce l'ha, nel portafogli, me le dia subito queste dugento lire! Me ne dia, per ora, cento sole! Io le farò una ricevuta d'acconto. E, allora, sono contento anche se a darmi il rimanente aspetta una settimana di più: quando avrà venduto il fieno.
Remigio distaccò le mani dalla giubba e gli disse:
— Mi dispiace, ma non ce le ho.
— Vengo a prenderle fino alla Casuccia. Non vorrei impolverarmi le scarpe per così poco, ma lo fo per gentilezza; perchè lei non debba venirmi a cercare.
— Non ce n'ho nè meno a casa.
— Come! Non ha a casa dugento lire? Ha già finite quelle che prese con la cambiale al Banco di Roma?
— Chi ve l'ha detto della cambiale?
— Non mi ricordo chi me lo disse.
— Lo sanno anche altre persone?
— Diamine! Che male c'è? I debiti e le cambiali fanno presto, come dice il proverbio, ad avere le ali.
E si mise a ridere, ma a Remigio dispiaceva parecchio; e non voleva ammettere che gli altri, quella cerchia di mercanti e di sensali, potesse subito essere informata del suo portafoglio.
— Senta: sia allegro! Diamine! Perchè se la prende? Lei è giovane, e con un poco di giudizio può darsi che non sia costretto a vendere la Casuccia anche se dovesse metterci sopra una ipoteca; lei, in vecchiaia, la toglierà. Fossi io giovine come lei! Vorrei far doventare la Casuccia più bella d'un giardino! Lei, se avesse i soldi, dovrebbe mettere altri filari di viti giù per la poggiata che si parte dalla strada: empirla tutta, a fosse, per quanto è lunga. E, poi, comprare bestiame: vitelli, pecore, maiali. Di tutte le specie. Io ci farei soldi a palate. Ma lei, se non saprà fare, manderà in malora tutto. E non dia retta agli assalariati. Quella è gente che non ha voglia di lavorare e son contenti di riscuotere il salario alla fine del mese. E, poi, ha calcolato quanto le rubano?
— Mi rubano?
— Dia retta a me. Quando lei non li vede, crede che stiano con le mani alla cintola? Io scommetto che le prime frutta se le son mangiate loro; scommetto che gli ortaggi ne hanno più loro di lei. E badi anche al fieno che ha riposto in capanna; perchè, a farne sparire qualche carro, ci vuol poco.
— Ma ci guarda anche la mia matrigna!
— Quella? Quella non capisce niente. Era meglio se suo padre aveva sposato la Cappuccini o un'altra qualunque. Io la conosco meglio di lei. E anche il podere lo conosco meglio di lei! Perchè, scommetto, lei non sa nè meno quanti pioppi sono suoi di quelli lungo la proda della Tressa.
— Ancora non li ho contati.
— Lei non sa che qualità di vitigni sono nella sua vigna. Ma io lo so. Lei non sa nè meno quanto fieno è nella sua capanna. Ma io lo so. Si provi a dirmi quante sacca di grano lei avrà?
Remigio dovette confessare che non lo sapeva.
— Allora glielo dico io. Lei ne avrà da cinquanta a cinquantacinque sacca. Nè più nè meno. Ci scommetto la testa, che la metterà dentro la trebbiatrice; se non do nel giusto. Mi chiami alla Casuccia, quando trebbierà. Io, vede, mi appassionerei al suo podere come se me ne venisse qualche guadagno o fosse mio. E non m'importa niente che suo padre non m'abbia voluto dare quelle maledette dugento lire; che ci sputerei sopra, costringendomi a chiederle a lei.
— Ma se è vero che non ve l'ha date...
— Ho capito! Lei vuol ridere alle mie spalle. Ma perchè mi ha fatto chiacchierare fino ad ora? Io sono abituato a trattare con le persone ragionevoli. Ho anche fatto una sudata, come una bestia, a venir fuori di Porta con lei, a questo caldo!
E si asciugò tutta la testa, poi sotto il mento.
— Io ve l'ho detto dianzi: per qualunque cosa; andate dal mio avvocato.
— Allora, mi permetta che io ci vada a nome suo. E mi faccia pagare da lui.
— No, no! Se vi paga lui, perchè crede di pagarvi, sì; ma a nome mio, no.
— Gli dirà che ho parlato con lei.
— Non gli dovete dire niente!
— Questo non me lo può negare, nè proibire.
Intanto, erano giunti alla Casuccia. Seduto sul murello dell'aia c'era Bubbolo che appena vide Remigio si alzò. Ma, poi, visto anche Chiocciolino, voltò le spalle e finse di guardare giù nel campo. Chiocciolino, ora, aveva alzato la voce sempre di più e dava bastonate alla siepe. Ma, giunto al cancello si fermò e disse:
— Badi che io son fatto come i coltelli: se mi prendono per il manico, mi adoprano come vogliono; ma se mi prendono per il taglio, faccio fare sangue.
Anche Remigio era fuori di sè dall'ira, e gli rispose:
— Come vi piace di più! — Ed entrò nel cancello.
Chiocciolino stette a vederlo andare fino ai cipressi; poi, con la punta del bastone, tracciò una croce sulla polvere della strada, giurando:
— Vorrei prima crepare che dargliela vinta. Non mi scordo d'essere Chiocciolino!