Il pedante/Atto V
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ATTO V
SCENA I
Malfatto, Prudenzio, Repetitore.
Malfatto. Non ce voglio andare. Andatece voi, che ve venga el cancaro! Non site boni se non a farme caminare. Che diavolo de furfanti! che mai non me lassano star un’ora in pace. O aspettate, che adesso vengo. Vederá ch’io sarò piú matto che pazzo a non ce andare.
Repetitore. Iam vesperascit, domine. Chi è lá giú? Olá!
Malfatto. Si, si! grida pure!
Repetitore. Chi è al nostro hostio? Olá! Non odi, no?
Come hai nome?
Malfatto. Non te lo voglio dire.
Repetitore. Sei Malfatto nostro?
Malfatto. Sono el malanno che Dio te dia!
Repetitore. Domine, el vostro insolente pincerna si è prostato in terra come un cadavero.
Malfatto. Hai veduto che sempre «va’ via, va’ via»?
Repetitore. Oh Malfatto! Fuggi, ch’ecco el maestro.
Malfatto. Alla fé, ch’io ho deliberato trovarme un altro garzone, che non voglio stare piú con lui.
Prudenzio. Ove è questo abominevole mostro prosontuoso? Non odi, no?
Malfatto. Che volete?
Prudenzio. Perché non vai dove t’ho detto?
Malfatto. Perché non me piace.
Prudenzio. Adunque devi stare con noi e devemoti stipendiare e hai da fare a modo tuo, ch? No, no, no!
Malfatto. Si, si, si! Hai visto che festa è questa?
Prudenzio. Malfatto, vien qua. Audi duo verba.
Malfatto. Non voglio verberare io, che sono scorrociato.
Prudenzio. Tu hai torto. Audi parumper che...
Malfatto. Si! Sempre me date la baia.
Prudenzio. E quando mai te avemo data la baia noi?
Malfatto. Ogni sempre mai che parlate, che non ve intendo.
Prudenzio. Audi. Testor Deum omnipotentem...
Malfatto. Ve possa venire a voi!
Prudenzio. Taci: lassarne parlare.
Malfatto. Si; ma non biastemate.
Prudenzio. È il diavolo, a parlare con simili ignoranti che non comprendono i sensi delle litterali parole. Ma vacci, se Dio te guardi la grazia nostra; e dilli che venga subito, che avemo da parlarli de cosa importante.
Malfatto. Volete che venga solo o accompagnato?
Prudenzio. Come piacerá a lui.
Malfatto. E che volete? che dorma con voi?
Prudenzio. E va’, che tu sei una bestia! Ma odi. Guarda qui.
Malfatto. Non voglio piú guardare. Ma, come torno, voglio far un altro patto con voi e, se non ce vorrete stare, ve nne andarete con Dio.
Prudenzio. Vien presto, sai?
Malfatto. Verrò quando parerá a me.
SCENA II
Fulvia, Rita, Minio, Ceca.
Fulvia. Caminiamo, Rita, che l’è notte.
Rita. Vostro danno! Perché non siamo andate piú a bon’otta?
Fulvia. Non te 11 ’ho io detto? per non m’imbattere in Curzio, ch’io non volevo che me cci vedessi entrare.
Rita. Madonna, ecco la porta. Aspettate, ch’io pichiarò.
Fulvia. Si, de grazia.
Rita. Idio ci aiuti. Tic, toc.
Minio. Chi è lá?
Rita. Amici. Simo noi.
Minio. E chi séte voi?
Rita. Siamo quelle donne. Ècci madonna Iulia in casa?
Minio. Si, è. Aspettate, ch’io la chiamare..
Rita. Orsú! Va’ presto e spacciati.
Fulvia. Che te ha detto?
Rita. Ho parlato col figliuolo. Adesso fará l’imbasciata.
Fulvia. Acòstameti qui, che non paia ch’io stia sola.
Ceca. Chi è quella che vole madonna?
Rita. Siamo noi. Oh Ceca!
Ceca. Perché non entrate, che l’è aperto?
Fulvia. E che ne sapemo noi?
Ceca. Dio vel perdoni. Che bisogna che voi pichiate, che séte patrona de ogni cosa?
Fulvia. Per grazia de madonna Iulia, non perché noi lo meritiamo.
Rita. Andate lá sii e pregamo Dio che ce la mandi buona.
SCENA III
Prudenzio, Repetitore.
Prudenzio. De grazia, propter amorem Dei, fate che veniat cito.
Repetitore. Lassate pur far a me.
Prudenzio. E racomandateme all’amita sua.
Repetitore. Lassate pur fare l’excusatorie a me.
Prudenzio. Caminate, che iam est multum sero.
Repetitore. Non ve conturbamini. Tornate pur dentro.
Prudenzio. Audiatis, domine. Oh missere!
Repetitore. Che piace alla Magnificenzia Vostra?
Prudenzio. Potrete dirli, se pur noi volessino lassar venire, che voi lo soziarete incolumen e senza lesione alcuna.
Repetitore. Io ve ho inteso. State sano e vivete in tripudio, ch’io ve Ilo condurrò omnino e portarovi risposta sodisfattoria.
Prudenzio. M’aricomando alla loquacitá vostra.
Repetitore. Gran cosa che li uomini discreti e periti nelle lettere, e che hanno il cerebro ripieno di lucubrazioni e di prischi exempli, e nelli anni adolescentuli sieno stati discordanti alle blandizie e faci veneree e alle lascivie e crapule, in nella senectu fiunt bis pueri! Ma tedet mihi che ’l mio precettore urisca inelle viscere come arida stipula. Ma sera buono ch’io volti giú per questa viècula acciò che piú presto me espedisca da questo negozio.
SCENA IV
Curzio, Rufino, Ceca.
Curzio. Sollecitati, esci qui fuori. Giá son presso che tre ore e non sera se non buono ch’io me invíi pian piano in lá.
Oh Amore! Guidami, non mi lasciar perire in si profundo pelago de incomparabile leticia; per ciò che, senza l’aiuto tuo, sono come fragile barca vicin’al porto da contrari venti combattuta.
Per certo, ch’ai desiderio ch’io al presente me trovo, non pur una brevissima notte come fia questa ch’in somma felicitá trapassar aspetto, ma quella che Ercole produsse, o se ella fosse piú lunga che l’anno, una minima parte de l’ardor mio potrebbe estinguere. Costui tarda pur assai a venire. Oh Rufino!
Rufino. Eccomi, signore.
Curzio. Vieni presto, che l’è tardo.
Rufino. Or ora sarò da voi.
Curzio. Dch! camina; non tardar piú, de grazia.
Rufino. Eccome. Andiamo.
Curzio. Hai tu avertito colui che stanghi bene la porta?
Rufino. Signor si. Ma io saria de parere che voi me lassassivo ritornare, che non sta bene la casa sola.
Curzio. Sta ben pur troppo, che non stiamo in terra de ladri.
Rufino. Non è questo: ma la commoditá suol fare li uomini e le donne cattive.
Curzio. Be’, io non voglio restar di notte fuori di casa senza te; e tanto piú in simili luoghi. E che so io se mi bisognassi cosa alcuna?
Rufino. E che volete che vi bisogni?
Curzio. E che ne so io? Solo Idio sa el secreto dei cuori umani.
Rufino. Fate adunque come vi pare, ch’io, a dirve il vero, ho caro di trovarmi sempre appresso di voi; ch’accadendo, vi possa mostrare l’affezione ch’io vi porto.
Curzio. Io ne sono chiaro pur troppo, Rufino; e, dallo esserti io patrone in poi, tutto el resto è commune fra te e me: e tu lo sai. Ma dimmi, or che me ricordo: porti tu i danari?
Rufino. Signor si: eccoli.
Curzio. Avertisci che non ti caschino.
Rufino. Non dubitate. Ma, da qui a un poco, potrete ben dire che vi sieno caduti.
Curzio. Anzi, farò conto de avergli alogati in buona parte. E dicoti che, se io avessi meglio el modo che non ho, che non mi pensarei mai di spendere el mio danaio bene se non quando io lo dessi a qualche donna: che certamente le sono Tonor del mondo per le quali l’uomo, argumentando, a perfetta cognizione delle bellezze del cielo suol venire. E quale è quel cuore si efferato, si inumano che, drizzando gli occhi in un bel volto, che, ad un’otta, non perda l’ardire e l’orgoglio e riverente non se gli inchini e voluntario pregione non se gli renda? Io, certo, le amo, le adoro, le reverisco, per ciò che sono degne d’essere sopra tutti li altri uomini essaltate e reverite mediante i buoni effetti che da loro ne segueno.
Rufino. Patrone, voi lodate quello che molti biasmano.
Curzio. Questi sono simie, che paiono e non sono uomini; e, per la spurcizia dei vizi ch’egli hanno, inei quai cercano di sotrarre altrui per aver piú compagni acciò piú licito gli sia el peccare, maliziosamente parlano. Ma questo non è maraviglia, che dicono male de Idio, ben lo possino ancor dire di esse. Non ti niego che non ve nne siano delle cattive; ma in tanto numero ch’è!... Ma par che voglia el destino che de quella sola ribalda che è al mondo cento scrittori ne parlino come se loro mancassi altra materia da scrivere. Ma non se dice però de tanti uomini infami e vituperosi che si scriveno; e, se di questi che oggidí viveno se nne facessi istoria, si legerebbono altre che Pasifae e che Medee! Poi non si accorgeno questi tali maledici che, biasmando le donne, biasmano loro stessi, essendo la donna, come vogliano i savi, la metá di noi. Ma vattene innanzi; e pichia e fa’ oprire. E questi tali dichino tanto che crepino.
Rufino. Àmenne. Aspettate qui, se vi pare.
Curzio. Odi. Oh Rufino!
Rufino. Che vi piace?
Curzio. A che modo gli dirai, che non se nne accorghino li vicini?
Rufino. Giá mi ha detto Filippa ch’io dica che sono el fratello della Ceca.
Curzio. Or vanne, adunque. Odi un’altra cosa.
Rufino. Dite: che volete?
Curzio. Tu sai che avemo inteso che quel pedante poltrone, ogni notte, gli viene a cantare a l’uscio non so che canzoni. Vorrei che tu gli rompessi el capo in qualche bel modo, che non si accorgessi chi fussi stato, se pur ci viene stanotte.
Rufino. State de bona voglia, che vi prometto di servirve.
Curzio. Va’ ! Pichia, adunque.
Rufino. Io so certo che costoro ci deveno aspettare. Tic.
Ceca. Chi è lá giú?
Rufino. Sono el fratello della Ceca vostra.
Ceca. Chi sei? Antonio?
Rufino. Madonna si.
Ceca. Tu sia el ben venuto. Aspetta, ch’io ti vengo a oprire.
Rufino. Zi! Patrone, acostatevi.
Curzio. O Dio, aiutarne.
Rufino. Acostatevi piú alla porta.
Curzio. Che te hanno detto?
Rufino. Adesso vengono a oprire.
Ceca. Entrate, olá! Non fate rumore.SCENA V
Luzio, Malfatto, Trappolino, Prudenzio.
Luzio. Guarda pur che tu non me dichi le bugie, che il mastro me voglia e poi non sia lo vero.
Malfatto. Alla fé, non dico bugie io. E me Ilo ave ditto ancora quell’altro che stava con quello, con esso.
Luzio. Che diavolo non parli che sii inteso?
Malfatto. Orsú! Andamo, che te Ilo dirò poi domattina, fraschetta!
Luzio. Oh! tu me dice villania, sciagurato!
Malfatto. Me ciancio con teco. Ma andiamo un poco qua, che voglio parlare a un mio compagno.
Luzio. Come ha nome?
Malfatto. Non te Ilo voglio dire. Ecco la casa. Aspetta teme voi, Luzio, che voglio bussare.
Luzio. Si; ma spacciate.
Malfatto. Tic, toc. Oh de casa! oh nesciuno! oh quello!
Tic. Non ci deve essere, nch vero?
Luzio. No, che non ci deve essere. Andiamo con Dio.
Malfatto. Lassarne bussare tre altre volte, prima. Tic. E una.
Trappolino. Chi è lá? Olá!
Malfatto. Amici. Simo io.
Trappolino. El cancaro che te venga! Che vói?
Malfatto. Che non respondi tu, adesso?
Trappolino. Respondi pur tu, che parlo con teco.
Luzio. Che dici tu? Olá!
Malfatto. Che vói che dica, o Luzio?
Luzio. Dilli quello che ti pare. Che me fa a me?
Trappolino. Chi sei tu che hai bussato?
Malfatto. Sono un certo omo da bene.
Trappolino. Tu devi avere cattivi vicini, nch vero?
Malfatto. Si, si, sto qua vicino; e vorria parlare a colui che sta qua dentro.
Trappolino. Chi è? come ha nome?
Malfatto. Non me ssi aricorda a me. O Luzio, come se chiama quello ch’io te dissi ch’io cercavo?
Luzio. E che ne so io? A me lo dimandi? Tu non hai buon cervello.
Malfatto. Dove sei andato? Olá! Tic.
Trappolino. Che te manca? non me vedi?
Malfatto. Sai? Io vorria, adesso che me aricordo, quello delli quatrini.
Trappolino. Se non me dici altro, tu starai di fuori.
Malfatto. Non cognosci tu quell’uomo grande cosi, che me parlava ieri?
Trappolino. Tu devi essere qualche pazzo.
Luzio. Tu l’hai a punto indovinato.
Malfatto. Si, sono la merda!
Trappolino. O va’ magna, va’. Bona sera.
Malfatto. Te nne vai, ch? Odi, di grazia; ascolta un’altra volta.
Trappolino. Che vói, prosontuoso?
Luzio. Che non li gitti qualche pitale nel capo, si lo hai?
E levatello dinanzi.
Malfatto. Eh! non far, de grazia, fratello: vói?
Trappolino. Son contento. Ma dimme: chi adimandi?
Malfatto. Adimando che vorria parlare di portante a lui.
Trappolino. Chi diavolo sei tu?
Malfatto. So’ quello. Eh! de grazia, non me buttare la testa nello pitale.
Luzio. Se tu non vieni, te lassarò Malfatto, vch!
Malfatto. Aspetta un altro poco. Oh quello! E tu come te chiami?
Trappolino. E che ne vói tu sapere, bestia?
Malfatto. Lo vorria sapere perché, quando te trovassi, te vorria dire «bon di».
Trappolino. Te Ilo dirò poi, un altro giorno di questa stimarla.
Malfatto. Che sta male lo patrone tuo, ch?
Trappolino. E va’ alle forche, sciagurato!
Malfatto. Orsú! Basta. Adunque recomandami a esso e dilli ch’a lui sempre sempre...
Luzio. E camina, se vói! Non vedi tu che parli col vento, che colui s’è partito?
Malfatto. Be’, io volevo che facessi l’imbasciata a quel compagno.
Luzio. Tutti te Ili fai compagni. Non te vergogni? Ma va’ bussa, va’.
Malfatto. O aspetta un poco. Tic, toc.
Prudenzio. Chi impulsa l’hostio?
Luzio. Ego sum, domine.
Prudenzio. Bene veniat. Oh! Magnifico misser Antonio, fate introire il nostro discipulo.
Malfatto. Vedi mò che t’ho ditto lo vero?
Luzio. Oh! tu sei el buon figliolo! Ma sta’ cheto, de grazia.
Malfatto. Voglio parlare per dispetto tuo, voglio parlare; misser si, che voglio parlare. Vedi mò!
SCENA VI
Repetitore.
Non credo ch ’un equo con tanta velocitá avessi itinerato al domo del condiscipulo come sono andato io per gratularmi al precettore. E non l’ho trovato: che me hanno referto i domestici suoi di casa ch’ipse e una col famulo nostro illieo s’era partito e che andavano per questa strada vicino allo emporio. Non so dove mei possa reperire e maravigliomi che, s’ell’è cosi, de non lo avere obviato. Pur temo che quello insolente non l’abbia condutto in qualche cauponaria e che non emino per i quadranti qualche vasculo de mulso, per il che se ebriaranno. Ed è un peccato, che quel Luzio è di bona indole e di capacissimo ingenio; ma quel furcifer è bene uno inepto ai laterali costumi e facilmente potrá conducerlo a qualche precipizio. Ho deliberato, benché mi sia laborioso, prima che torni a casa, andare sin qui a questo caupone e concernere con ocello de linceo se ivi stanziassino, per ciò che Malfatto con ipso ha molta intrinseca familiaritá.
SCENA VII
Prudenzio, Mastro Antonio, Luzio, Malfatto, Rufino.
Prudenzio. Non avete ancora accordato quel vostro instrumento?
Mastro Antonio. Misier si. Andemo pur lá.
Prudenzio. Dove domino è questo nostro discipulo? A chi dico io? Oh Malfatto!
Malfatto. Che volete?
Prudenzio. Vieni qua e fa’ che animadverti.
Malfatto. La berta me la date voi, alla fé.
Prudenzio. Taci. Va’ e chiama quel pincerna.
Malfatto. Che pincio volete?
Prudenzio. Luzio, Luzio. Dove è?
Malfatto. È qua dentro.
Prudenzio. Be’, dilli che venga qua de fuori.
Mastro Antonio. Questo sé un bel fante per la Vostra Signoria!
Malfatto. Mastro, io credo che lui non ce vorrá venire.
Prudenzio. Fa’ quello ch’io ti dico e non voler indovinare.
Malfatto. Io non indovino; ma voi vederete che lui non ce verrá.
Prudenzio. E pur li torni, temerario insolente!
Malfatto. Orsú! Vederete che sará come ho ditto noi.
Mastro Antonio. Oh che gran piegora sé questa!
Prudenzio. Iuro, per Deum, ch’io non voglio piú che me stanzi in casa, che l’è un morbo quotidiano.
Luzio. Bona sera, magister.
Malfatto. E io ancora bona sera.
Prudenzio. Tornate dentro, tu; e fa’ che non eschi di quello agniporto, se non vói ch’io te...
Malfatto. Non me bravate almanco.
Prudenzio. Tu noi credi che ti farò respondere con minor rigore che non fai? Spidisciti. Vanne de sopra.
Malfatto. De sopra a chi volete ch’io vada? a voi o a questo compagno?
Luzio. A me pur no.
Prudenzio. Va’; e serra quella porta, dico.
Malfatto. Cosi?
Prudenzio. Va’ prima dentro tu.
Malfatto. Orsú! Basta. Non volete che venga con voi, ma io me nne voglio andare alla finestra.
Mastro Antonio. Oh! cosi, fradello; va’ presto.
Prudenzio. Questo insolente par che se burli di ciò che gli dicemo.
Mastro Antonio. Andemo, mistro, che sé tardo.
Prudenzio. Non ávemo de andar piú innanzi. Sonate un poco el vostro liuto.
Mastro Antonio. Si, si; lassate el cargo a mi. Trin, trin.
Prudenzio. Oh bono! oh bono! Cantate alquanto.
Malfatto. So’ ben qua, si. Ve vego bene, si.
Mastro Antonio. Questo canto non sé troppo bono.
Malfatto. Sto alla finestra. Oh Luzio! Non me senti, ch?
Mastro Antonio. A dirò ben una canzona, s’el ve piase.
Prudenzio. Ve restarò con vinculo perpetuo de obligazione astretto.
Malfatto. Voi non respondete? So’ ben io, si.
Mastro Antonio.
Mi sé tanto innamorao |
Malfatto. Voglio cantar io ancora. Gao, gnao, gao, gao, misser si.
Mastro Antonio. Oh! fa’si che tasa quel zotarello.
Prudenzio. S’io vengo lá su...
Malfatto. E come ce verrete, che la porta è serrata?
Prudenzio. Tu vederai se noi la apriremo poi.
Malfatto. O provateci un poco.
Prudenzio. Per lo amor de Dio, sta’ cheto.
Malfatto. Son contento, sii!
Mastro Antonio. Volete che canti piú?
Prudenzio. Non piú voi, per adesso, no; lassate canere a questo nostro discipulo. Di’ su, tu: spacciati.
Malfatto. I’ non posso stare cheto. Io voglio parlare. Che cosa fate? Olá!
Luzio.
O quam puellarum pulcherrima tempore certe.
Sis nostro liceat mi sequerere mei, heu.
Malfatto. Oh! te dia Dio!
Luzio.
Heu miserum miserum nihil mea carmina curas.
Me mori cogis nempe profecto quidem.
Mastro Antonio. Ancora sé piú? Oh! vo’ siu piú doto d’Orlando.
Luzio.
Parcere subiectis, quod cadunt alba ligustra:
amen dico Ubi certa rede coco.
Mastro Antonio. Oh bono! oh bono! Hali composti la Magnificenzia Vostra questi strambotti?
Prudenzio. Al commando della Signoria Vostra.
Mastro Antonio. Voi site lo primo omo del mondo.
Prudenzio. Per grazia vostra, non che lo meritiamo.
Malfatto. So’ stato a cacare, vch, Luzio! Adesso so’ revenuto.
Prudenzio. Sonate, che volemo cantare ancor noi.
Mastro Antonio. Volete questa? Trin, trin, trin.
Malfatto. Non me vói respondere, ch, Luzio? Basta.
Luzio. E sta’ cheto, se vói.
Malfatto. Voglio cantare io ancora. Afatte alla finestra dello muro e mostrarne lo pertuso dello...
Prudenzio. Tristo sciagurato! S’io trovo un lapide....
Rufino. Che si che ve farò andar a cantare altrove?
Mastro Antonio. Cancaro! Che tira i sassi?
Malfatto. Ah! ah! Fate alle sassate, eh?
Prudenzio. Quid est? che cosa è questo?
Mastro Antonio. Vedete che ne tragono.
Rufino. Diavolo coglili!
Prudenzio. Fate ve in qua, come dice el barbato Catone: «Rumores fuge».
Mastro Antonio. Pel corpo mio, che m’ha sfracassao el liuto.
Prudenzio. Oh! tedet mihi. A questo modo se trattano li omini nelle vie publiche che stanno a pernoctare in gaudio, ch, latroni insolenti?
Rufino. Aspettate un poco.
Prudenzio. Ah cane villatico! Latri da longa con li lapidi, ch? Trucidatore publico! pusillanimo!
Mastro Antonio. Vo’ tornarme indrio aziò non me daga qualche botta nel cavo.
Malfatto. Vedete mò che starete de fora.
Prudenzio. Ah ribaldo! Vieni a oprire.
Malfatto. Non ce voglio venir, adesso.
Rufino. Domino che non ne coglia qualcuno!
Prudenzio. Oimè! oimè! Vieni a opri, sciagurato!
Malfatto. Non ce voglio venire perché non dite da vero.
Prudenzio. Si, dico, alla fede.
Malfatto. E io dico de no; che me date la baia.
Prudenzio. Alla fé, che, se tu non vieni a oprire, ch’io te farò el piú tristo uomo di Roma.
Malfatto. Ecco, sii: ma sto incorato de non ci venire.
Mastro Antonio. Mistro, pagheme el liuto, che me lo avete fatto rompere.
Prudenzio. Non ne voglio se non quanto me dannare el rigore della inviolabile iustizia.
Mastro Antonio. Mi no ghe so tante cose. Dico che me lo paghe, che sé el dovere. E no guardé che mi sia vecchio, che me farò ammazzare per el mio.
Prudenzio. De grazia, non ce bravate.
Mastro Antonio. Tant’è: mi digo che son vegnuo a dar piasere a Vostra Magnificenzia e no vorria me ne vegnissi danno.
Prudenzio. Tu hai el torto.
Mastro Antonio. No sé questa la via de pagarmelo.
Malfatto. Che non entrate? Adesso non avete prescia, ch?
Mastro Antonio. Per la fé mia, che prima me dari el pegno.
Malfatto. Dice el vero. Dateli un pugno.
Prudenzio. Audi, fili mi e fratello cordiale.
Mastro Antonio. Mi no voio tante feste, digo.
Prudenzio. Non me andate, de grazia, tentando de pazienzia; che, se ci revoltaremo, vi parerá che non è necessario de stare a vociferare qui come un demente.
Mastro Antonio. Mentite pur vu; e, se no me paghe, farò...
Prudenzio. Odite. Non entriamo in su le parole altercatone.
Parlate equamente, e basta.
Malfatto. Sta’ a vedere che faremo alle pugna.
Mastro Antonio. Vegni qua, digo: che, se me guardi Dio, no fuziré in casa.
Prudenzio. Aspetta parumper. Luzio, va’ correndo; e portarne la scuriata, ch’i par nostri non sono per intrare in palestra con li baiuli.
Mastro Antonio. Che balestre, che balestre, vecchio pazzo!
Malfatto. Oh! cosí fate! Mò ve voglio bene, io.
Prudenzio. A questo modo, mastro Antonio? che ve ho amato da patre!
Malfatto. Mastro, strappateli la barba.
Prudenzio. Aiuta qua, Malfatto.
Mastro Antonio. I’ no posso piú.
Malfatto. Si! Non me aiutate, quando fo alle pugna io.
Mastro Antonio. A son fatigao troppo. Ove domino e’ sé la bretta?
Malfatto. Tirateve su le brache, mastro.
Prudenzio. Nunquam, mai, edepol, me aria imaginato questo.
Ma vanne dentro, tu; e portarne quello ense.
Malfatto. Dove?
Prudenzio. Per la machera.
Malfatto. Misser si, farete molto bene.
Prudenzio. E portarne el clipeo ancora. Oh Luzio!
Luzio. Che volete?
Prudenzio. Portarne el clipeo e la machera nostra.
Luzio. Misser si!
Mastro Antonio. Lagame andar con Dio.
Prudenzio. Te nne vai, ch? vecchio insano, pedicatore, mentuloso, inrumatore pieno di marisce! A questo modo alli uomini stipendiati dal Gimnasio romano, ch? Non curare, predone, depopulatore e turbatore della quiete nostra!
Malfatto. Se nne è fugito, mastro, che ha avuto paura.
Ma avete relevato voi.
Prudenzio. Questa è la retribuzione che ci rendi, ch? adultero, mèco!
Malfatto. Alla fé, mastro, che avete cantato molto bene, questa sera.
Luzio. Ecco qua: tenete.
Prudenzio. Ah scevo uomo! latrina fetida! Te farò vedere se un par tuo, inquilino, agricola, incola et accola, transfuga della patria sua, uso andare famulando e rusticando per li tuguri alieni resarcendo el ventre fetido e exausto, debbia un par nostro, òrto nella cittá romulea, soppeditare, inmemore delli suffragi ricevuti nella nostra mansione.
Malfatto. Che non pigliate quella spada e correteli dereto?
ch’io ve cci voglio lassar andare.
Luzio. Se nne è andato. Non ce è, no, mastro.
Prudenzio. Non si curi! So bene che non ospitare piú in casa nostra.
Malfatto. Meglio andamo a dormire, che se cce passará questa stizza.
Prudenzio. Non me romper la testa.
Malfatto. Che so io? Lo dico perché potrete cantare ancora domani a sera.
Prudenzio. Taci, se non vói ch’io ti trasverberi con quell’ense.
SCENA VIII
Ripetitore, Rufino, Prudenzio, Malfatto.
Repetitore. In fine, non est ordo ch’io possa trovar el famulo acciò che, per letificazione del maestro, potessi conclamare dinanzi la casa della dignissima sua Livia. E, perché è giá la seconda vigilia, non voglio andare perdendo piú el tempo in cercarlo quia pavesco de non me incontrare in qualche furone e che conatamente non mi spolii sino alla internila, non che del palio: benché abbi, poco fa, obviati i berruari che vanno facendo le excubie nocturne purgando la cittá di cattivi commerzi. Ma chi è questo ch’esce de casa della nostra vicina? Sera buono ch’io mi nasconda insino a tanto che se va con Dio.
Rufino. Oh insperata, oh buona nuova! oh buono incontro! E chi pensato aria mai questo? Oh savio e prudente conseglio di donna!
Repetitore. Io voglio avicinarmegli alquanto.
Rufino. Va’ tu e di’ poi che le donne han poco cervello! E forsi che ’l patrone non si credeva godere con la figliuola di madonna Iulia?
Repetitore. Che domino sará?
Rufino. E chi pensato aria mai che la moglie del mio patrone...
Che son oggi mai piú di doi anni che la sposò contro a sua voglia per sodisfare ai prieghi del signore, che a un povero servitore son comandamenti..., Repetitore. Oh salata parabola!
Rufino... ed avevala lasciata ed erasene venuto a Roma...
Repetitore. Caput mundi.
Rufino... per non la vedere, solo per far dispetto a chi ne era stato cagione ch’egli l’avessi sposata. Ma la buona moglie, si come la necessitá suol fare astuti e scaltriti li uomini..., Repetitore. Cosí è, per Dio.
Rufino... venutagli dietro in Roma, in un monasterio di sante donne per insino al giorno de oggi è dimorata; indi tanto e’ modi e ’l vivere del marito investigando è andata che, dello amor suo accortasi, ha saputo si fare che sconosciutamente si è colcata con esso lui in casa de questa buona donna.
Repetitore. Bonum! Prosit.
Rufino. E, nel mezzo delli assalti d’amore, io, che dinanzi all’uscio della camera stavo a giacere, sentei un derotto pianto; e il patrone, con preghiere, con lusinghe, con sconiuri, sentivo che la cagione di ciò li adimandava. Ed eccoti, in questo, venire madonna Iulia con la sua serva e con el lume in mano; e, chiamatomi, mi dice: — Sta’ sii, ch’io voglio che tu veghi stanotte cosa che te piacerá. —
Repetitore. Non piacerá giá al precettore.
Rufino. Cosi, vestitomi, entrai seco in camera: ove ella, chiamato per nome el patrone, gli disse ch’ella era per contentarlo di molto piú che lui non li avea saputo adimandare.
Repetitore. Costui è molto loquace persona.
Rufino. Cosí la giovane, ch ’insino allora avea tenuta seco nel letto e per buona pezza sollazzatosi con esso lei, si era levata e, gittatosi sopra della camiscia un camorrino, compari dinanzi a lui ch ’a parlare con madonna Iulia posto si era. Ma non si tosto egli la vide che, tutto smarrito, gridò: — Oh consorte mia! — Repetitore. El resto potemo pensare le Signorie Nostre.
Rufino. Ed ella, gittatasegli ai piedi con un coltello in mano, pregavalo che piú tosto che della assenzia sua della vita privar la volessi.
Repetitore. Buona nova deveno avere costoro.
Rufino. Quivi sopragiunse la serva. E, ricominciato a pregare da capo, tanto ferno ch’il patrone, ch’immobile stava e a pena gli occhi pregni di lacrime da dosso levar gli poteva, quasi di se stesso vergognandosi, cominciò a commemorare le cose passate e, aducendo me per testimonio, l’abracciava e baciava..., Repetitore. Alla barba nostra!
Rufino... giurando e promettendogli che, si come ella per fede e per amore guadagnato se Ilo aveva, cosí voler sempre apresso di lei vivere. E cosi, revestitosi, dopo lungo ragionamento che hanno avuto insiemi con madonna Iulia, me hanno imposto ch’io venghi a chiamare questo maestro vicino loro. Credo li vorranno far sposare quella giovane, che ’l mal prode li faccia! Ma io non so se lo trovarò svegliato. Pur credo che si. Non può essere che di quanti sassi che gli ho tirati non gne nne abbi còlto qualcuno. I’vo’ pichiare, insomma. Tic, tac.
Repetitore. Non so che me fare, se io interrogo a costui che cosa vole.
Rufino. Certo saranno adormiti. Tic, toc, tac.
Malfatto. Chi è lá abasso?
Rufino. Respondesti pur, quando non potesti fare altro.
Malfatto. Misser no. Non ce è altri qua che lui, esso e io.
Rufino. Con chi l’hai? a chi respondi?
Malfatto. Orsú! Bona sera.
Rufino. Malanno che Idio te dia! Tic, tac.
Malfatto. Che vói? che hai?
Rufino. Ècci el tuo patrone in casa?
Malfatto. Che patrone? che patrone? Io non ho se non un compagno che sta qua dentro che se chiama lo mastro.
Rufino. Va’; e digli che venga un poco abasso.
Malfatto. Si, si: ce so’ bello e andato.
Repetitore. Io me Ili voglio scoprire. Ch’adimandate voi?
Rufino. Voglio questo mastro di scola che sta qui. Perché?
Malfatto. Site doi adesso. E’ ve veggo bene, si.
Repetitore. Volete forsi parlare con lui?
Rufino. Si, voglio.
Repetitore. Aspetta, adunque. Oh Malfatto! Tic, tac.
Malfatto. Che te manca a ti altro?
Repetitore. Opri questo hostio.
Malfatto. Non ce è oste qua. Sta piú lá abasso la taverna.
Repetitore. E vieni a oprire!
Malfatto. Aspetta, ch’io vengo adesso. Ah! ah! ah! ah! Te Ilo credevi, ch?
Repetitore. Oh! tu sei el bello apro!
Malfatto. Misser no, che non voglio aprire. Vói che te Ilo dica meglio?
Repetitore. S’io vengo de sopra, te farò un servizio che sarai memor di me.
Malfatto. Fu Alla faccia tua e del compagno ancora.
Rufino. Oh poltrone, tristo, sciagurato! Vien qua giú! vien giú!
Malfatto. Vien su! vien su, tu!
Rufino. Apri la porta e vederai se io ci verrò.
Malfatto. Son contento. Ma dimmi: hai naso freddo tu?
Rufino. Diavolo ch’io trovi un sasso, stanotte!
Repetitore. Eh! non fate, omo da bene. Eh! non fate, per amor nostro; che l’è uno stolto e vi sarebbe detrimento a vapularlo.
Rufino. Per lo corpo... Uh! Uhu!
Malfatto. Non bisogna bravare, no, ch’io non ho paura, adesso che sto alla finestra.
Repetitore. Io te accusarò bene, si.
Malfatto. O va’ a fiume, va’; ch’io voglio ir al letto, io.
Rufino. Va’, che non te nne rizzi mai piú!
Repetitore. Aspettate, ch’io pichiarò di sorte che me farò intendere allo maestro. Toc, tac, tic.
Prudenzio. Chi impulsa la porta? Olá!
Repetitore. Ego sum, sono io.
Prudenzio. Sei forsi el nostro substituto del ludo litterario?
Repetitore. Domine, ita.
Rufino. De corpo a tutti doi!
Prudenzio. Chi è colui ch’è in vostro consorzio?
Repetitore. L’è uno che vole...
Rufino. Ve ho da parlare de cosa importante.
Prudenzio. E da parte de chi?
Rufino. Venite a basso, se volete, che ve Ilo dirò.
Prudenzio. Adesso vengo.
Repetitore. Che bona nova è questa?
Rufino. Come lui viene abasso, lo saperete.
Repetitore. Sono forsi cose d’amore?
Rufino. De grazia, non me Ilo adimandate; ch’io non vel voglio dire, se non ci è lui.
Malfatto. E io starò alla finestra a despetto tuo, si.
Prudenzio. Bene veneritis. Che dite, magnifico?
Rufino. Che me guadagno della buona nova?
Prudenzio. Voglio che ve lucrate, per amor nostro, un paro de chiroteche bene olenti.
Rufino. Che cosa sono queste che me volete dare? Fate ch’io ve intenda.
Repetitore. Un paro de guanti.
Rufino. Che guanti! che guanti! Io mi maraveglio de voi.
Prudenzio. Dite pur, che ve promettemo una bona bibalia.
Repetitore. Cioè, una buona mancia.
Rufino. Orsú! Date qua la mano. Livia, questa vostra vicina..., Malfatto. Olá! Levateve de sotto, ch’io voglio pisciare.
Prudenzio. Non vói stare, no, ignaro, insolente?
Rufino... è vostra moglie.
Prudenzio. Oh fratello! Io te voglio essere servus servorum et osculartene le mani.
Malfatto. Guardate ch’io tiro un sasso.
Repetitore. Oh! tu sei el bel tristo!
Prudenzio. E quando sará questo, patrone mio?
Rufino. Come quando? Adesso; or ora.
Malfatto. Ecco lo sasso. Sentite? olá!
Rufino. Fate stare cheto colui.
Prudenzio. Taci, tu. Ma che avete a far la Signoria Vostra con lei?
Rufino. Son servitore de un suo parente el quale ora è in casa con esso lei e me ha mandato a chiamarvi; che la madre e lui sono contenti che voi la sposiate stanotte per ogni modo. E, se voi séte savio, non vi ci pensarete per ciò che, se aspettate a domatina, ve nne potrestivo pentire; che c’è altri che voi che la vole.
Prudenzio. Non, per lo amor de Dio. Fate che non si dia a nessuno, che la voglio io.
Malfatto. Oh de sotto! Volete che tiri?
Repetitore. E va’ in mal’ora, poltrone!
Malfatto. Son piú omo da bene che non simo noi.
Prudenzio. Levate de li.
Malfatto. Non me nne voglio levare.
Rufino. Orsú! Se volite venire, speditevi; se non, me nne voglio andare, che l’è tardo.
Prudenzio. Odite, omo da bene. Noi ve ringraziamo: e certamente ch ’un po’ di suspetto è quello che mi tiene cosí ambiguo del venire; perciò che non è molto che simo stati assaltati qui nella strada da un certo maestro Antonio.
Rufino. Venite, non dubitate; ch’io vi prometto de farvi far domatina la pace per ogni modo con esso lui.
Prudenzio. Io verrò, adunque. O sustituto nostro!
Repetitore. Che ve piace?
Prudenzio. Portateme un poco quella toga rubea nuptiale.
Repetitore. Ecco. Adesso.
Malfatto. Cagna! Lassarne fugire sotto el letto.
Rufino. Be’, dove è la mancia che me volete dare?
Prudenzio. Io vi prometto... com’è el nome vostro?...
Rufino. Rufino.
Prudenzio... eccellentissimo patrone mio singularissimo misser Rufino, voler componer in laude vostra uno epigramma.
Rufino. Che volete che faccia de vostra composizione, io? e’ ho piú caro un carlino che non quanti scartabelli si trovano, ch’io appena li so leggere.
Prudenzio. Un’altra cosa. Come voi farete figlioli, voglio che li mandate alla nostra scuola senza mercede.
Rufino. E come volete ch’io li abbia, se non ho moglie?
Prudenzio. Be’, quando la pigliarete poi.
Rufino. Voi me avete bello e chiarito.
Prudenzio. State de buona voglia, che non mancaremo de fare el debitoribus nostris.
Rufino. Volete venire o no? Ve dirò el vero: voi me parete un altro. Bona notte.
Prudenzio. Eh! non partite, de grazia. Olá! Spacciateve.
Repetitore. Ecco. Voltateve, ch’io ve Ilo metterò.
Prudenzio. Gratias ago. Non volete venire ancor voi?
Repetitore. Signor si.
Prudenzio. Me par mill’anni d’essere coram quel soavio, blandulo e niveo corpusculo.
Malfatto. So’ ben qua, si. Non me avete trovato, no.
Rufino. Caminate innanzi.
Malfatto. Voglio venire io ancora, olá!
Prudenzio. Fa’ che non ti parta da quel lime.
Malfatto. Lima a vostra posta.
Repetitore. Restate, che adesso adesso retornaremo.
Malfatto. No, no: io non voglio venire. Aspettatene pure.
Rufino. Entratevene lá dentro e spacciatevi acciò possiate dar ordine stanotte alle nozze de domani. Io, in questo mezzo, voglio tornar a chiamare Malfatto, ch’io voglio menarlo per ogni modo con esso noi.
Prudenzio. Odite. Io ho pensato che, avendosi a far le nuptie, voi siate nostro architriclino.
Repetitore. Come piace alla Spectabilitá Vostra. Ma speditevi; entrate dentro.
Prudenzio. Andate prima voi e fate intendere che noi venimo.
Repetitore. Cosí farò.
Prudenzio. Or vederò pure quel rutilante e coruscante ocello e prenderò alquanti basidi da quella boccula ch’è un fonte scaturiente di nettare e palpitarò le eburnee e nivee manule fabricate, create, plasmate, cresciute et aucte et educate nel elustro sidereo dallo opifero love.
Rufino. Camina, camina pure: non dubitare.
Malfatto. E dove vói ch’io camini?
Rufino. A trovar lo mastro tuo che ha pigliato moglie.
Malfatto. E tu come te chiami?
Rufino. Me chiamo Rufino. E camina, se vói, che l’è tardo!
Malfatto. Oh Ruffiano! Aspetta un poco.
Rufino. Non posso, che ho da fare.
Malfatto. Va’ pur, adunque, ch’io verrò bene, si. Oh venga el cancaro! M’è uscito un pie della scarpa e non lo posso trovare. Alla fé, che voglio buttare via quest’altra ancora per dispetto. E, voi altri, bona notte e bon anno, ch? perché è corsa la festa, è fatto lo palio. Scuppiate tutti li piedi e le mani per allegrezza. Addio, addio.