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152 il pedante


Mastro Antonio. Mistro, pagheme el liuto, che me lo avete fatto rompere.

Prudenzio. Non ne voglio se non quanto me dannare el rigore della inviolabile iustizia.

Mastro Antonio. Mi no ghe so tante cose. Dico che me lo paghe, che sé el dovere. E no guardé che mi sia vecchio, che me farò ammazzare per el mio.

Prudenzio. De grazia, non ce bravate.

Mastro Antonio. Tant’è: mi digo che son vegnuo a dar piasere a Vostra Magnificenzia e no vorria me ne vegnissi danno.

Prudenzio. Tu hai el torto.

Mastro Antonio. No sé questa la via de pagarmelo.

Malfatto. Che non entrate? Adesso non avete prescia, ch?

Mastro Antonio. Per la fé mia, che prima me dari el pegno.

Malfatto. Dice el vero. Dateli un pugno.

Prudenzio. Audi, fili mi e fratello cordiale.

Mastro Antonio. Mi no voio tante feste, digo.

Prudenzio. Non me andate, de grazia, tentando de pazienzia; che, se ci revoltaremo, vi parerá che non è necessario de stare a vociferare qui come un demente.

Mastro Antonio. Mentite pur vu; e, se no me paghe, farò...

Prudenzio. Odite. Non entriamo in su le parole altercatone.

Parlate equamente, e basta.

Malfatto. Sta’ a vedere che faremo alle pugna.

Mastro Antonio. Vegni qua, digo: che, se me guardi Dio, no fuziré in casa.

Prudenzio. Aspetta parumper. Luzio, va’ correndo; e portarne la scuriata, ch’i par nostri non sono per intrare in palestra con li baiuli.

Mastro Antonio. Che balestre, che balestre, vecchio pazzo!

Malfatto. Oh! cosí fate! Mò ve voglio bene, io.

Prudenzio. A questo modo, mastro Antonio? che ve ho amato da patre!

Malfatto. Mastro, strappateli la barba.

Prudenzio. Aiuta qua, Malfatto.

Mastro Antonio. I’ no posso piú.