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156 | il pedante |
di se stesso vergognandosi, cominciò a commemorare le cose passate e, aducendo me per testimonio, l’abracciava e baciava..., Repetitore. Alla barba nostra!
Rufino... giurando e promettendogli che, si come ella per fede e per amore guadagnato se Ilo aveva, cosí voler sempre apresso di lei vivere. E cosi, revestitosi, dopo lungo ragionamento che hanno avuto insiemi con madonna Iulia, me hanno imposto ch’io venghi a chiamare questo maestro vicino loro. Credo li vorranno far sposare quella giovane, che ’l mal prode li faccia! Ma io non so se lo trovarò svegliato. Pur credo che si. Non può essere che di quanti sassi che gli ho tirati non gne nne abbi còlto qualcuno. I’vo’ pichiare, insomma. Tic, tac.
Repetitore. Non so che me fare, se io interrogo a costui che cosa vole.
Rufino. Certo saranno adormiti. Tic, toc, tac.
Malfatto. Chi è lá abasso?
Rufino. Respondesti pur, quando non potesti fare altro.
Malfatto. Misser no. Non ce è altri qua che lui, esso e io.
Rufino. Con chi l’hai? a chi respondi?
Malfatto. Orsú! Bona sera.
Rufino. Malanno che Idio te dia! Tic, tac.
Malfatto. Che vói? che hai?
Rufino. Ècci el tuo patrone in casa?
Malfatto. Che patrone? che patrone? Io non ho se non un compagno che sta qua dentro che se chiama lo mastro.
Rufino. Va’; e digli che venga un poco abasso.
Malfatto. Si, si: ce so’ bello e andato.
Repetitore. Io me Ili voglio scoprire. Ch’adimandate voi?
Rufino. Voglio questo mastro di scola che sta qui. Perché?
Malfatto. Site doi adesso. E’ ve veggo bene, si.
Repetitore. Volete forsi parlare con lui?
Rufino. Si, voglio.
Repetitore. Aspetta, adunque. Oh Malfatto! Tic, tac.
Malfatto. Che te manca a ti altro?
Repetitore. Opri questo hostio.
Malfatto. Non ce è oste qua. Sta piú lá abasso la taverna.