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atto quinto 159

E, se voi séte savio, non vi ci pensarete per ciò che, se aspettate a domatina, ve nne potrestivo pentire; che c’è altri che voi che la vole.

Prudenzio. Non, per lo amor de Dio. Fate che non si dia a nessuno, che la voglio io.

Malfatto. Oh de sotto! Volete che tiri?

Repetitore. E va’ in mal’ora, poltrone!

Malfatto. Son piú omo da bene che non simo noi.

Prudenzio. Levate de li.

Malfatto. Non me nne voglio levare.

Rufino. Orsú! Se volite venire, speditevi; se non, me nne voglio andare, che l’è tardo.

Prudenzio. Odite, omo da bene. Noi ve ringraziamo: e certamente ch ’un po’ di suspetto è quello che mi tiene cosí ambiguo del venire; perciò che non è molto che simo stati assaltati qui nella strada da un certo maestro Antonio.

Rufino. Venite, non dubitate; ch’io vi prometto de farvi far domatina la pace per ogni modo con esso lui.

Prudenzio. Io verrò, adunque. O sustituto nostro!

Repetitore. Che ve piace?

Prudenzio. Portateme un poco quella toga rubea nuptiale.

Repetitore. Ecco. Adesso.

Malfatto. Cagna! Lassarne fugire sotto el letto.

Rufino. Be’, dove è la mancia che me volete dare?

Prudenzio. Io vi prometto... com’è el nome vostro?...

Rufino. Rufino.

Prudenzio... eccellentissimo patrone mio singularissimo misser Rufino, voler componer in laude vostra uno epigramma.

Rufino. Che volete che faccia de vostra composizione, io? e’ ho piú caro un carlino che non quanti scartabelli si trovano, ch’io appena li so leggere.

Prudenzio. Un’altra cosa. Come voi farete figlioli, voglio che li mandate alla nostra scuola senza mercede.

Rufino. E come volete ch’io li abbia, se non ho moglie?

Prudenzio. Be’, quando la pigliarete poi.

Rufino. Voi me avete bello e chiarito.