Il mio diario di guerra/III/Dicembre in trincea
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Dicembre in trincea
12 dicembre.
Finalmente un po' di sole. Distribuzione delle maschere nuovo modello contro i gas asfissianti e lacrimogeni. Le nostre sono più estetiche di quelle austriache. I bersaglieri escono dai ricoveri. Si ripuliscono un po'. Molti barbieri piantano bottega fuori, a rischio e pericolo loro e del... cliente. Qua e là si gioca a carte. Nel pomeriggio, tambureggiamento solito delle nostre artiglierie.
Un caporal maggiore del 7° bersaglieri viene a trovarmi nella mia tana. Mi parla di Bonomi, di Codifava Tomaso e di altri più o meno noti personaggi della politica mantovana. Mi si dichiara neutralista, ma non di quelli «arrabbiati)). Il 7° bersaglieri ha avuto sin qui perdite superiori alle nostre. Il 280 scoppiato giorni fa nei ricoveri ha fatto qualche vittima.
— Io ho sempre creduto che lei fosse al fronte... Stasera scrivo del nostro incontro a Codifava... — Ci salutiamo con molta cordialità.
Il generale che comanda la nostra brigata viene spesso fra noi e parla coi bersaglieri da uomo a uomo. Ciò gli procura vive simpatie. E’ bene parlare e spesso a quest umile gente, cercare spesso di scendere verso queste anime semplici e primitive, che costituiscono ancora, malgrado tutto, uno splendido materiale umano.
Battaglia di velivoli nella nostra quota. L’austriaco ha tagliato la corda. Non posso sottrarmi alla curiosità dei bersaglieri di un reggimento che sta alla nostra destra. Tre bersaglieri si fermano dinanzi alla nostra tana, un po’ esitanti. Un caporal maggiore mi dice:
— Scusi la nostra curiosità. Lei è...
— Sono io. —
I tre commilitoni mi stringono la mano, siedono come possono, e iniziamo un’amichevole conversazione. Il loro reggimento è stato quindici mesi nel Trentino occidentale, attorno a Bezzecca, ed è stato benissimo. Niente grosse battaglie e perdite insignificanti. Il mio interlocutare è bresciano, ora dimorante a Romagnano Sesia, dove è impiegalo nel Convitto Curioni.
13 Dicembre.
Notte di pioggia a scrosci. Primo visitatore. Un bersagliere dell’84, mantovano, che non mi vedeva più da molti mesi.
— Sono tanto contento di averlo ritrovato. Più contento che se avessi trovato mio fratello... — mi dice. — Potrò dire che anche lei è stato in questo inferno e non ha «tagliato la faccia» ai suoi vecchi compagni dell’84. —
Mattinata ventosa. Il lago di Doberdò è buio.
Sento sulla pelle la prima passeggiata dei pidocchi. Ci sono i corredini anti-parassitari. Già. Ma bisognerebbe averne uno ogni quindici giorni. La efficacia del «corredino» è limitata. Dopo quindici giorni, i pidocchi passeggiano tranquillamente su quel «corredino» che avrebbe dovuto sterminarli... Pidocchio più, pidocchio meno... Mattinata e pomeriggio di calma insolita. Sono le due e da stamani gli austriaci non ci hanno mandato il quotidiano 305 e nemmeno uno shrapnel. Anche i «nostri» riposano. Il tempo è sempre nero, minaccioso. I bersaglieri approfittano di queste ore di quiete, per pulire i fucili.
14 Dicembre.
Ogni tanto ci spostiamo da un trinceramento all altro. I cambi sono talvolta troppo frequenti. Ciò spiega qualche negligenza dei soldati nel migliorare trincee e ricoveri. Per una dimora troppo breve non vale la pena di affaticarsi... Ieri fu, per me, una giornata di tetraggine. I miei nervi «sentivano» il tempo? Pare, perchè ieri sera si scatenò un violento temporale. Tutta la notte ha piovuto. Nessuno ha chiuso occhio.. Ancora prima dell’alba, profittando di una breve sosta, siamo usciti per migliorare un poco questi infelicissimi «baracchini». Anche oggi piove. Torrenzialmente. Queste tre settimane di pioggia incessante hanno esercitato un’influenza depressiva sul «morale» dei soldati. Anche le condizioni di salute ne risentono.
Non fa freddo, ma il fango, l’umidità, il grigiore dei brevi giorni e il buio pesto delle notti lunghissime, sono altrettanti elementi che contribuiscono ad aumentare la musoneria di tutti. Siamo venuti, qui, di notte. Le marce notturne, anche brevi, affaticano. Io stento molto a camminare fra le tenebre, sotto a un cielo di inchiostro. Scarsa attività delle artiglierie. Le mie mani hanno ora il segno della più grande nobiltà: sono sporche della terra rossiccia del Carso!
15 Dicembre.
Ieri sera, uno dei conducenti — i quali sono i nostri giornali parlati — ha diffuso la notizia:
— Sul giornale «ci sta» la pace! —
Ho pensato che doveva trattarsi delle comunicazioni di B. Hollweg. La notizia non ha sollevato soverchia emozione fra di noi. Pur sapendo che io leggo i giornali, nessuno mi ha chiesto nulla. Questa indifferenza è sintomatica. Si è parlato troppe volte di pace perchè non esista un tal quale scetticismo, nell’animo dei soldati.
— Non credo più a nulla, — ha detto uno di loro — sino a quando non vedrò le bandiere bianche sulle trincee. — Nottata interminabile, di pioggia a raffiche. Fuoco di bombe agli avamposti.
Stamani, qualche colpo di cannone.
L’artiglieria austriaca tira a caso. Questa è la mia impressione. Un colpo qua, un colpo là. Una granata sulle trincee, uno shrapnel sulla strada di Doberdò, che molto spesso finisce nel lago. Ciò non turba il solito viavai. Solito e inevitabile. Ecco la strofa di una canzone in voga fra noi:
O Gorizia, tu sei la più bella E il tuo nome risuona lontano; |
Oggi piove, come ieri, come sempre. Pare una maledizione. Pomeriggio di pioggia incessante. Nel mio ricovero è tutto uno sgocciolamento. Non c’è dubbio: il tempo è il «loro» alleato e forse il migliore. Ci sono in queste trincee dei topi fenomenali. Sembrano gatti e dànno anch’essi l’assalto notturno... alle nostre pagnotte. Qua e là, per ingannar la noia, si canticchia:
Là ci vedrà la luna, La luna la spia non fa; |
Tutte le sere, verso il crepuscolo, l’attività delle opposte artiglierie si rianima, e nell’aria è tutto un sibilo di «telegrammi», come diciamo noi nel nostro gergo. Stasera l’orizzonte è di fiamma, verso la vecchia Italia. Sento lungo la strada il rombo dell’automobile che ci porta l’acqua e lo sciacquìo sordo dei muli che vengono in lunga interminabile fila. Verso le linee nemiche è un continuo scoppiare di mine. Sono i tedeschi che scavano le loro «tane di volpe», nelle quali, al momento buono, rimarranno sepolti. Ci sono delle trincee austriache che è impossibile ripulire, tanto sono piene di morti. Di qui il loro pazzo terrore delle nostre bombarde. Si dice che una volta ci abbiano gridato:
— Se voi non tirerete più con le vostre bombarde, noi non getteremo più i gas asfissianti. —
16 Dicembre.
Stanotte non ha piovuto. Miracolo! In compenso, le artiglierie hanno sparato vivamente, soprattutto la nostra, sino a stamani. Tempo incerto. Abbiamo avuto un paio di mutande, una camicia, un paio di calze. Tutta roba eccellente. Ci siamo cambiati. Stiamo meglio. Stamani, nei ricoveri, l’argomento della pace è in discussione. Ma la nota predominante è lo scetticismo, come al giungere della prima notizia. Qualcuno, però, ha già notato che stamani l’artiglieria tace. Sul nostro fronte, sì, ma laggiù, verso il mare, il cannone brontola cupamente. Soliti shrapnels distratti. Pomeriggio di nebbia. Freddo.
17 Dicembre.
Ieri sera, verso le sei, fuoco intenso e insolito degli austriaci sulla strada di Doberdò. I conducenti frustavano furiosamente i muli e correvano. Shrapnels e granate piovevano a quattro a quattro. Ma, fortunatamente, pochissime facevano bersaglio. O cadevano nel lago o al di sopra, sul Debeli. Mentre l’artiglieria infuriava, noi ci siamo spostati lungo la grande strada maestra che costeggia e domina il lago alla sinistra, e siamo venuti agli avamposti. E già notte. Nel cielo è un punteggiare timido di stelle. Io le guardo con la trepida adorazione di un innamorato. E’ il sereno? Tornerà il sole? Alla nostra destra, lungo il costone di quota 144, gli austriaci lanciano grosse bombe. Quando giungono a terra, sprizzano alcune scintille, poi è Io scoppio, talvolta fragorosissimo. Una di queste bombe deve essere caduta in trincea, perchè si è udito urlare:
— O Dio! O Dio! Portaferiti... —
Poi, silenzio. Gli austriaci hanno continuato ancora per molte ore. Le stelle sono scomparse. Il cielo è tornato buio. Nelle tenebre del camminamento, qualcuno, brancolando, mi afferra. Io gli dico:
— Di là, di là!
— Chi sei? — Riconosco dalla voce il capitano.
— Buona sera, capitano.
— Buona sera, Mussolini. —
Adesso i nostri piccoli calibri tempestano. Stamani, pioggia. Tutta la notte, sino all’alba di stamani, i nostri cannoni hanno bombardato le posizioni nemiche di prima e di seconda linea. Ieri sera, all'accampamento, c’è stato un solo ferito del 7° bersaglieri, ma grave. Ha una gamba spezzata. Nei ricoveri si parla poco della pace tedesca.
Il discorso cade più volentieri sul riposo, che sembra imminente. La trincea, sul Carso, impone duri sacrifìci e più duri disagi alle truppe. Pomeriggio di pioggia, sottile sottile. Più che nelle ossa, sembra filtrare nelle anime.
18 Dicembre.
Tutta la notte, cioè a dire quattordici ore continue, ha piovuto. Stamani, finalmente, il sipario uniforme delle nubi sembra levarsi. Il chiarore
promettente viene da Trieste, insieme a un venticello freddo. Prime notizie: la bomba dell’altra sera ha fatto due morti e cinque feriti. Il colonnello passa per la nostra trincea e ci domanda:
— Come va?
— Bene — rispondiamo.
— Avete freddo?
— Non tanto. Ci vorrebbe di quando in quando un fiaschetto di vino... —
Il colonnello si allontana.
Da qualche ora gli austriaci battono le nostre posizioni col solito loro tiro irregolare. Due granate su quota 208, una mezza dozzina di shrapnels su di noi, due grosse marmitte su quota 144. Qualche 280 sulla seconda linea. Mezzogiorno. L’orizzonte si chiarisce, ma il sole continua a fare il latitante.
Uno zappatore ci dice che una granata è caduta tra due ricoveri del 7° bersaglieri. Ci sono quattro morti e sette feri ti.
Qualche discorso sulla pace tedesca. La supposta condizione che l’Italia dovrebbe restituire le terre conquistate all’Austria, suscita l’indignazione generale. Scommetto che se si facesse un referendum, non si troverebbero dieci soldati propensi ad accettare questa condizione.
— Dopo tanto sangue e tanti sacrifici! —
Ora che il reggimento è tutto riunito, trovo dei commilitoni che non rivedevo più dal settembre dell’anno scorso, quando, giunti sullo Jaworcek, fummo ripartiti nei diversi battaglioni. Un incontro gradito è quello del sergente zappatore Tudori Modesto di Tirano (Sondrio). E’ un operaio che ha compreso la necessità della guerra nazionale.
— La «pace tedesca», no. Tutti desideriamo la pace — mi dice — ma giusta e duratura! —
Mentre scrivo, gli austriaci hanno incominciato a bombardarci.
La trincea «logora», perchè è una prigione di fango. Il nostro carceriere è il cannone nemico che ci costringe al silenzio e alla immobilità. Se le trincee sono coperte, la prigionia è assoluta. Si vede il sole a scacchi, cioè attraverso una feritoia. L'esserci adattati a questo genere di guerra è una prova meravigliosa delle qualità individuali e complesse della stirpe italiana.
Un tenente mi dice che il Duca d’Aosta ha tributato un encomio solenne alla nostra Brigata Bersaglieri, per il contegno tenuto nelle due notti dei contrattacchi nemici e per i lavori di rafforzamento della posizione. Un bersagliere della mia compagnia, tal Silvio Filippi di Colle Val d’Elsa, che ora è in licenza invernale, mi manda questa cartolina:
«Trovandomi in licenza non manco di mandarle i più sinceri saluti, rammentandolo unito assieme a tutti i miei amici, ove son rimasti molto sorpresi di sentire che pure lei debba essere in trincea al pari di qualunque umile soldato. Non ho mancato di fare i saluti a Meoni, il quale li ha con molto alletto accolti. Cesso, salutandolo, sperando di ritrovarlo in ottima salute. Di nuovo saluti affettuosi ».
Nelle ultime ore del pomeriggio la nostra artiglieria intensifica i suoi tiri. Dalle quattro alle sei, anche tra le artiglierie sembra talora stabilita una mutua tregua, perchè nè i nostri, nè i loro, sparano un colpo solo.
Sul costone esterno di quota 208 assistiamo allo sfilare di mezzo plotone di austriaci. Le loro sagome si profilano nettamente, nell’ultima chiarità del giorno. Dalle nostre linee non parte nemmeno un colpo di fucile, malgrado la vicinanza e la visibilità del bersaglio.
E' forse una corvée. Non è nelle nostre abitudini di innata cavalleria tirare sul nemico, quando è inerme.
19 Dicembre.
Stanotte un gatto raspava presso i nostri reticolati. Sarà un «disperso» di Jamano distrutta. Ieri sera, approfittando della serata — la prima non piovosa ho girato un po’ sul campo di battaglia. Non vi è un metro quadrato, letteralmente, che non sia stato lacerato, sconvolto da quattro o cinque granate. Ci sono ancora dei morti abbandonati. Nostri e loro.
All’alba di stamani due bersaglieri zappatori-minatori ci hanno recato la notizia della vittoria francese. Gioia vivissima in tutti. Si discorre meno d’ieri di pace. Intanto, per cambiare, piove. Tempo assassino. I bersaglieri tutti laceri, barbuti, infangati, scrivono le «franchigie», dormono, si spidocchiano, giocano a carte.
Se si raccogliessero tutti i rottami di ferro — proiettili esplosi o da esplodere, pali di ferro dei retilocati, lamiere, arnesi, ecc., — che si trovano su questi campi di battaglia, si caricherebbero treni e treni a tonnellate.
Verso sera, l’orizzonte ad ovest presenta una striscia di carminio. Non piove più.
— A Venezia c’è il sole! — sento dire con voce che tradisce una evidente nostalgia.
Siamo tornati or ora all’accampamento. Oggi l’artiglieria nemica è stato silenziosissima. Soltanto due shrapnels distratti sono caduti nelle nostre linee. Dialogo colto a volo nell’oscurità:
— Ritornare all’Austria le terre che abbiamo conquistato? Questo non sarà mai!
— I nostri morti griderebbero vendetta!
— E non i morti soltanto; anche i vivi! — Domani è l’anniversario della impiccagione di Oberdan.
20 Dicembre.
Stanotte, freddo. Ma nel cielo è tutta la chiarità che annunzia una bella giornata. Finalmente, il sole, il sole, il sole! Passano degli aeroplani nostri e nemici. Le nostre artiglierie lavorano, come sempre. Otto colpi, uno dietro l’altro, sono caduti sul trinceramento austriaco di quota 208. Gli austriaci non hanno aspettato gli altri e se ne sono andati, fuggendo verso la terza linea. Parecchi bersaglieri scendono al posto di medicazione coi piedi congelati. Non è per il freddo, ma per l’umidità e per l’acqua delle trincee. Tuttavia non sono gravi.
L’argomento della pace continua ad essere all’ordine del giorno, ma «nessuno», dico nessuna, vuol sapere di una pace «tedesca».
Fuoco intenso dei nostri cannoni. Gli austriaci hanno buttato una ventina di shrapnels sui nostri trinceramenti di terza linea.
Serata di stelle!
21 Dicembre.
— Lo stoicismo dei nostri feriti — mi diceva ieri sera un tenente medico — è sorprendente. Giungono o sono portati qui colla carne straziata e non un lamento esce dalle loro labbra. I feriti addominali conservano una coscienza lucidissima. Una sera, sullo Jaworcek, mi fu portato un ferito che aveva una gamba frantumata dallo scoppio in pieno di una bomba. Fu lui che mi disse: — Dottore, tagli! — Gli feci un’iniezione e gli tagliai la gamba. Quel ferito, di cui ricordo ancora il nome, Fumagalli, se ne andò come era venuto, senza un lamento. Le ferite più gravi sono quelle prodotte dallo scoppio di granate, specie se di grosso calibro. Quelle di pallottola — fucile, mitragliatrice, shrapnel — sono spesso intelligenti. —
Oggi, primo giorno d’inverno, secondo l’astronomia, si annuncia con un sole scialbo. Verso il mare c’è una cortina di nubi temporalesche. Da qualche giorno l’artiglieria nemica è inoperosa. La nostra, invece, è sempre attivissima. Sono centinaia e centinaia di granate che cadono quotidianamente sulle posizioni nemiche.
Pare ormai sicuro che l’avanzata è sospesa. Se si fosse potuto dare all’Austria una risposta sul genere di quella data dalla Francia alla Germania!
22 Dicembre.
Gli austriaci ci bombardano regolarmente tutte le sere con cannoncini da trincea, che gettano bombe dallo scoppio formidabile come di un 305.
Tempo nebuloso, ma non piove. Nella mattinata, silenzio delle artiglierie. Anche la nostra tace. Le bombe di ieri sera (ne hanno lanciate oltre trecento) hanno fatto alcune vittime.
23 Dicembre.
All’una stanotte siamo stati svegliati da un improvviso e vivace fuoco di fucileria nella nostra trincea di avamposti. E’ durato una diecina di minuti. Falso allarme. Mattinata nebbiosa. Malgrado ciò, azione intensa delle nostre artiglierie. Nel pomeriggio abbiamo seppellito — profittando della nebbia — un soldato del 21° fanteria. Apparteneva alla classe dell’86, sardo. Nelle tasche aveva un piccolo coltello e una lettera ricevuta che diceva:
«Spero presto di rivederti in licenza invernale...».
Sera di pioggia e di malinconia.
Una visita graditissima rompe la monotonia della sera piovigginosa.
Mi sento chiamare. Esco dalla tana e riconosco Benedetto Fasciolo, il redattore del Popolo e ora capitano di artiglieria, in compagnia di Amilcare De Ambris, sotto-capo di marina. I miei ospiti si allogano alla meglio nel mio sontuoso hótel, illuminato da un mozzicone di candela. Sono venuti a trovarmi. Stanno al di là dell’Isonzo. Apprezzo come si merita questo gesto di viva amicizia. Si parla di tante cose vicine e lontane... Dopo alcune ore di conversazione, li accompagno sulla strada maestra che conduce a Doberdò.
E’ notte alta. Sul costone di quota 144, i tedeschi lanciano i soliti barilotti di esplosivo. Uno sprizzare di scintille, uno scoppio formidabile che finisce in un gemito alto e sottile:
— Qui è la guerra! — mi dice Fasciolo, stringendomi la mano.
24 Dicembre.
La mia giornata. Al mattino non c’è «sveglia» in trincea. Il sonno non è misurato da un regolamento come in guarnigione, perchè la sua maggiore e minore durata dipende dagli... eventi. Ore otto, piccola colazione. Poi leggo i giornali. Scrivo qualche «franchigia». A mezzogiorno, cucina grassa: ventresca, formaggio, frutta. La proporzione della frutta eccola: un arancio, due mele, quattro fichi, sei castagne. A turno, si capisce. Dimenticavo: un limone, e questo quasi tutti i giorni. Nel pomeriggio, niente. Se c’è la nebbia, me ne vado attraverso il campo di battaglia. Si fanno delle «trouvailles» spesso interessanti. Il cannone ci accompagna fino a sera. Rancio. Silenzio. Notte interminabile. All’indomani... è la stessa cosa.
Vigilia di Natale. Chi ci pensa, fra noi? Cielo plumbeo, nebbia che piove adagio adagio. Lungo la trincea è tutto un picchiettare sui bossoli delle granate esplose, per ricavarne i braccialetti di rame da portare ai paesi... E’ lo «chic» delle trincee! Pomeriggio di tranquillità. L’argomento «pace» e in ribasso. Ognuno capisce e intuisce che non è suonata quell’ora...
Il capitano mi ha dato l’incarico di portare una lettera di auguri al colonnello. Il colonnello è andato nelle trincee avanzate. Lo attendo al ritorno. Agli auguri del capitano aggiungo i miei. Il colonnello mi dice:
— Sono stato in trincea a fare gli auguri ai bersaglieri. Ma il miglior augurio è che il reggimento faccia sempre bene... — All’accampamento ho trovato una certa animazione. Sono giunti dei regali di Natale. Vedo delle bottiglie di barbera, adorne del tricolore, e pacchi di biscotti. E’ un Comitato che manda...
Approfittando della nebbia bassa, anche oggi i bersaglieri si sono sparsi sul campo di battaglia, tra prima e seconda linea, a frugare il terreno. Si è trovato un po’ di tutto. Longo ha trovato una maschera nuovo modello, austriaca, una piccola tromba per segnali, un pacco di lettere spedite e da spedire. Cercherò di decifrare il tedesco di quell’ignoto austriaco. Il bersagliere Spera ha trovato un binocolo da campo. L’ho comperato. Da tanto tempo cercavo un binocolo. La strenna natalizia mi è venuta da un ufficiale austriaco che si «ritirava» un po’ in fretta, evidentemente, verso Jamiano. Sarà ancora vivo o sarà morto? Su questo campo di battaglia, i segni della precipitosa fuga austriaca sono evidenti e abbondanti. Zaini, tascapane, coperte e una quantità inverosimile di munizioni. Poi baionette, foderi di baionette, bombe, carte e stracci. E dovunque buche e dappertutto disseminati a centinaia e centinaia i bossoli degli shrapnels. Le piogge hanno fatto crescere il lago. Alcuni dei nostri ricoveri sono quasi sommersi dall’acqua. L’artiglieria austriaca non ha sparato un sol colpo. Anche la nostra ha sparato pochissimo.