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194 | benito mussolini |
23 Dicembre.
All’una stanotte siamo stati svegliati da un improvviso e vivace fuoco di fucileria nella nostra trincea di avamposti. E’ durato una diecina di minuti. Falso allarme. Mattinata nebbiosa. Malgrado ciò, azione intensa delle nostre artiglierie. Nel pomeriggio abbiamo seppellito — profittando della nebbia — un soldato del 21° fanteria. Apparteneva alla classe dell’86, sardo. Nelle tasche aveva un piccolo coltello e una lettera ricevuta che diceva:
«Spero presto di rivederti in licenza invernale...».
Sera di pioggia e di malinconia.
Una visita graditissima rompe la monotonia della sera piovigginosa.
Mi sento chiamare. Esco dalla tana e riconosco Benedetto Fasciolo, il redattore del Popolo e ora capitano di artiglieria, in compagnia di Amilcare De Ambris, sotto-capo di marina. I miei ospiti si allogano alla meglio nel mio sontuoso hótel, illuminato da un mozzicone di candela. Sono venuti a trovarmi. Stanno al di là dell’Isonzo. Apprezzo come si merita questo gesto di viva amicizia. Si parla di tante cose vicine e lontane... Dopo alcune ore di conversazione, li accompagno sulla strada maestra che conduce a Doberdò.
E’ notte alta. Sul costone di quota 144, i tedeschi lanciano i soliti barilotti di esplosivo. Uno sprizzare di scintille, uno scoppio formidabile che finisce in un gemito alto e sottile:
— Qui è la guerra! — mi dice Fasciolo, stringendomi la mano.