Il guarany/Parte Terza/Capitolo III

Parte Terza - III. Angelo e demonio

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Terza - III. Angelo e demonio
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CAPITOLO II.


ANGELO E DEMONIO.

Erano le undici della sera.

Il silenzio regnava nell’abitazione e ne’ suoi dintorni; tutto era tranquillo e cheto. Alcune stelle brillavano nel firmamento, e un lieve alito di vento susurrava tra le frondi.

I due uomini di sentinella, appoggiati all’archibugio, inclinavansi sull’orlo del precipizio, aguzzando lo sguardo nel raggio d’ombra nera che involgeva la falda della roccia.

La figura maestosa di don Antonio de Mariz passò lentamente sullo spianato, e disparve nell’angolo della casa. Il fidalgo facea la sua ronda notturna, come un generale la sera che precede una battaglia.

Passati alcuni istanti, udissi cantare un gufo nella valle vicino alla scala di pietra; una delle [p. 26 modifica]sentinelle si chinò, e prendendo due sassolini li lasciò cadere a basso un dopo l’altro.

Il lieve suono che produsse la loro caduta sugli alberi sottoposti, fu quasi impercettibile: sarebbe stato difficile distinguerlo dal rumore del vento tra le foglie.

Un momento dopo un uomo ascese cautamente la scala, e si riunì ai due che facevano la guardia notturna.

— Tutto è preparato?

— Non aspettavamo che voi.

— Andiamo! non ci ha tempo a perdere.

Scambiate queste parole rapidamente fra il nuovo arrivato e una delle sentinelle, tutti e tre si incamminarono con gran precauzione al luogo ove abitava la banda degli avventurieri.

Quivi, come nel rimanente della casa, tutto era cheto e tranquillo; solo vedeasi splendere sulla soglia della camera di Ayres Gomes il chiaro di una lampada.

Uno dei tre, giunto all’entrata dello stanzone, rasentò la parete e si perdè nell’oscurità dell’interno.

Gli altri due avviaronsi verso l’estremo della casa, e quivi nascosi dall’ombra e dall’angolo formato da un largo pilastro dell’edifizio, cominciarono un dialogo breve e concitato.

— Quanti? dimandò quello che era arrivato.

— Venti in tutto.

— Restano?

— Diciannove. [p. 27 modifica]

— Bene! La parola convenuta?

— Argento.

— E il fuoco?

— Pronto.

— Dove?

— Ai quattro angoli.

— Quanti uomini eccedono?

— Due soltanto.

— Saremo noi.

— Avete bisogno di me?

— Sì.

Vi fu una breve pausa, in cui uno dei due avventurieri parve riflettesse profondamente, intanto che l’altro aspettava: alla fine il primo alzò la testa:

— Ruy, mi siete voi ben fido?

— Ve ne diedi la prova.

— Ho bisogno di un amico verace.

— Contate sopra di me.

— Obbligato.

Lo sconosciuto strinse la mano del suo compagno.

— Sapete che amo una donna?

— Mel diceste.

— Sapete che è più per questa donna, che per quel tesoro favoloso, che concepii il disegno orribile che abbiamo alle mani?

— No; nol sapea.

— Non è perciò men vero; poco m’importa la ricchezza; siedi amico mio; servimi lealmente, e avrai la parte maggiore del mio tesoro. [p. 28 modifica]

— Parlate; che volete ch’io faccia?

— Un giuramento; ma un giuramento sacro, terribile.

— Quale? Dite!

— Oggi questa donna mi apparterrà; frattanto se per qualche accidente io dovessi morire, voglio che...

Lo sconosciuto esitò:

— Voglio che nessun uomo possa amarla, che nessun uomo possa godere la felicità suprema che può dare.

— Ma in qual modo?

— Uccidendola!

Ruy si sentì correre un brivido per l’ossa.

— Uccidendola, acciocchè la medesima sepoltura riceva i nostri due corpi; non so perdio, ma sembrami che quantunque cadavere il contatto di questa donna debba apportarmi un godimento supremo.

— Loredano!... sclamò il suo compagno come preso da orrore.

— Siate mio amico, e sarete mio erede! disse Loredano afferrandolo convulsivamente pel braccio. È la mia condizione; se ricusate, un altro accetterà quel tesoro immenso che rigettate!

L’avventuriere era in lotta con due sentimenti contrari; ma l’ambizione violenta, cieca, delirante, soffocò il debole grido della coscienza.

— Giurate? dimandò Loredano.

— Giuro!... rispose Ruy colla voce nella strozza.

— Avanti dunque! [p. 29 modifica]

Loredano aprì la porta della sua cameruccia, e tornò poco dopo con un asse lungo e stretto, che collocò sopra l’abisso a guisa dì ponte aereo.

— Fate di assicurar questa tavola, Ruy. Pongo la mia vita nelle vostre mani, vi do con ciò la maggior prova di fiducia. Basta un po’ di moto a far ch’io rovini in fondo alla roccia.

Loredano trovavasi allora nel medesimo luogo che la notte dell’arrivo, poche braccia distante dalla finestra di Cecilia; che non potea vedere a cagione dell’angolo formato dalla roccia e dalla casa.

La tavola fu collocata nella direzione della finestra; la prima volta eragli bastato il suo pugnale; ora abbisognava di un appoggio sicuro e del libero moto delle sue braccia.

Ruy montò sopra un’estremità della tavola, e assicurandosi a un trave del pian terreno mantenne immobile sul precipizio quel ponte pensile, su cui Loredano andava ad avventurarsi.

Il quale, senza esitare, si spogliò delle armi per essere più leggiero, si scalzò, strinse fra i denti il suo lungo pugnale, e pose il piè sopra l’asse.

— Aspettatemi dall’altro lato, disse Loredano.

— Sì, rispose Ruy con voce tremante.

La ragione per cui la voce di Ruy tremava, si era che un pensiero diabolico cominciava a fermentare nel suo spirito; rifletteva che Loredano e il suo secreto stavano nelle sue mani; che per liberarsi dell’uno e impadronirsi dell’altro, non [p. 30 modifica]occorreva che rimuovere il piè e lasciar inclinare la tavola sull’abisso.

Frattanto esitava, non perchè il rimorso anticipato gli rimproverasse il delitto che stava per commettere; che già si era sprofondato di troppo nel vizio e nella depravazione per indietreggiare.

Ma Loredano esercitava sopra i suoi complici un tal fascino, un’influenza sì possente, che Ruy, in quello stesso istante, non era capace di sottrarvisi.

Stava sospeso sull’abisso per man sua; potea egli salvarlo o precipitarlo giù pel dirupo; e tuttavia in quella stessa posizione facea forza sul proprio animo.

Ruy avea paura: non comprendeva il motivo di quel terrore irresistibile, infondato; ma lo sentiva come un invasamento, un pesaruolo.

In quel mentre l’immagine della ricchezza splendida, brillante, raggiando fasti e grandezze, passava davanti a’ suoi occhi e lo abbacinava; un poco di coraggio, e sarebbe l’unico signore di quel tesoro favoloso, del cui secreto Loredano era depositario.

Ma questo coraggio era appunto la cosa che gli mancava; per due o tre volte l’avventuriere sentì come una tentazione a sospendersi alla trave e lasciar piombare la tavola nell’abisso; ma questa tentazione non passò oltre il desiderio.

Alla fine, in un istante di svagamento, i suoi ginocchi si curvarono, e la tavola fece un’oscillazione sì forte, che Ruy maravigliossi come Loredano avesse potuto tenersi in bilico. [p. 31 modifica]

Allora dimise la paura, e una specie di rabbia e frenesia si impadronì di tutta la sua persona; il primo sforzo gli difede l’ardire, come la vista del sangue eccita il furore della belva.

Una seconda scossa più violenta della prima agitò la tavola, che oscillò sull’orlo della roccia; ma non si udì il tonfo d’un corpo, solo s’intese il percuotere del legno contro il sasso.

Ruy, disperato, attonito, stava per abbandonare l’asse quando giunsegli all’orecchio debole e fioca la voce di Loredano: era tale che a stento distinguevasi nel silenzio profondo della notte.

— Siete affaticato, Ruy?... Potete ritirare la tavola; non ne ho più bisogno.

L’avventuriere rimase come trasecolato; effettivamente quell’uomo era uno spirito infernale, che libravasi sull’abisso, che si beffava del pericolo, e la morte non potea offenderlo.

Ignorava che Loredano, colla sua consueta previdenza, quando entrò nella cameretta, prima di afferrare la tavola, avea avuto la precauzione di passare attorno ad una trave del pian terreno l’estremità di una lunga corda, che cadeva sopra la parte di fuori della parete, a un braccio di distanza dalla finestra di Cecilia.

Perciò, appena fece il primo passo sopra quel ponte aereo, Loredano non trascurò di stendere il braccio e afferrare il capo della corda, che tosto legò alla cintola; di tal modo, se mancavagli il sostegno, rimaneva sospeso nell’aria, e ancorchè con più difficoltà, sarebbe del pari riuscito nel suo intento. [p. 32 modifica]

Fu per ciò che le due scosse date all’asse dal suo complice, non ebbero il risultato che questi si attendeva; alla prima Loredano tosto indovinò quello che accadeva nell’animo di Ruy; ma non volendo dargli a capire che penetrava il suo tradimento, si giovò di quel mezzo indiretto per dirgli che si trovava al sicuro, e che era inutile tentar di precipitarlo a basso.

La tavola non fece più un solo movimento, e serbossi immobile; come se fosse saldamente appiccata alla roccia.

Loredano pervenne alla finestra della fanciulla, e colla punta del pugnale sforzando la spranghetta di ferro, l’aperse; le imposte girando sul loro perno divisero le cortine che velavano quell’asilo di pudore e d’innocenza.

Cecilia dormiva, avvolta nei candidi lini del suo letto; il biondo capo risaltava tra le finissime trine dell’origliere, su cui stendeansi le vaghe ciocche de’ suoi dorati capelli.

Il dolce tramortimento di un sonno calmo e sereno velava il suo viso grazioso, come quell’ombre sfumanti che scolorano il sembiante delle vergini di Murillo; il suo sorriso era una specie di estasi.

Lo sparato della sua casacca, aprendosi, lasciava trasparire un collo ben delineato, più candido che neve; per l’ondulazione, che il blando respiro imprimeva al suo petto, disegnavasi sotto i diafani lini il vago suo seno.

Tutto ciò risaltava come un quadro fra le onde [p. 33 modifica]di una coltre di damasco azzurro, che nelle sue larghe pieghe modellava sopra il candore trasparente dei lini quei contorni puri e armonici.

Eravi pertanto in quella creatura addormentata un’espressione impossibile a descriversi, un non so che di casto e innocente, che l’avvolgea nel suo sonno tranquillo, e parea fugasse qualunque pensiero profano.

Giunto alla sponda di quel letto, un uomo si sarebbe prostrato come ai piè di una santa, anzi che osar di toccare un lembo di quei bianchi lini che proteggevano l’innocenza.

Loredano vi si accostò con tremore, pallido e anelante; tutta la forza di quella tempra vigorosa, tutta quella volontà potente, irresistibile, vedeasi qui vinta, soggiogata, avanti una fanciulla addormentata.

Quello che provò, quando il suo occhio ardente cadde sul letto, è difficile a dirsi, e fors’anco malagevole a comprendere. Fu ad un tempo una suprema ventura e un supplizio orribile.

La passione brutale lo divorava, scaldandogli il sangue nelle vene e facendogli battere il cuore; e frattanto l’aspetto di quella fanciulla, che non avea per sua difesa altro che la sua castità, lo incatenava.

Sentiva che il fuoco bruci a vagli il petto; sentiva che le sue labbra erano assetate di piacere; e tuttavia la mano gelata e inerte non poteva sollevarsi, e il corpo era come paralitico: appena l’occhio scintillava, e le nari dilatate aspiravano [p. 34 modifica]le emanazioni voluttuose di cui era pregna quell’atmosfera.

E la fanciulla sorrideva nel suo sonno, vaneggiando per avventura in alcun sogno grazioso, in alcuno di quei sogni azzurri, che Dio sparge come foglie di rosa sopra il letto delle vergini.

Era l’angelo in faccia del demonio; la donna in faccia del serpente; la virtù in faccia del vizio.

Loredano fece uno sforzo supremo, e passandosi la mano sugli occhi come per istrapparne una visione importuna, accostossi a un tavolino e accese una candela di cera color di rosa.

La camera, fin allora rischiarata soltanto da una piccola lampada collocata sopra un cantonale, illuminossi; e l’immagine graziosa di Cecilia apparve circondata da un’aureola.

Sentendo l’impressione della luce sopra gli occhi, la fanciulla fece un movimento, e volgendo un poco il viso dal lato opposto continuò il suo sonno, che neppur fu interrotto.

Loredano passò fra il letto e la parete, e potè allora contemplarla in tutta la sua venustà; non si ricordava più di nulla, avea dimenticato il mondo e il suo tesoro: non pensava più al ratto che stava per effettuare.

La tortorella, che dormiva sopra il cumò nel suo nido di cotone, rizzossi e agitò le ali; Loredano scosso da cotesto rumore s’avvide che già era tardi, e che non avea tempo da perdere.