Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 33 — |
di una coltre di damasco azzurro, che nelle sue larghe pieghe modellava sopra il candore trasparente dei lini quei contorni puri e armonici.
Eravi pertanto in quella creatura addormentata un’espressione impossibile a descriversi, un non so che di casto e innocente, che l’avvolgea nel suo sonno tranquillo, e parea fugasse qualunque pensiero profano.
Giunto alla sponda di quel letto, un uomo si sarebbe prostrato come ai piè di una santa, anzi che osar di toccare un lembo di quei bianchi lini che proteggevano l’innocenza.
Loredano vi si accostò con tremore, pallido e anelante; tutta la forza di quella tempra vigorosa, tutta quella volontà potente, irresistibile, vedeasi qui vinta, soggiogata, avanti una fanciulla addormentata.
Quello che provò, quando il suo occhio ardente cadde sul letto, è difficile a dirsi, e fors’anco malagevole a comprendere. Fu ad un tempo una suprema ventura e un supplizio orribile.
La passione brutale lo divorava, scaldandogli il sangue nelle vene e facendogli battere il cuore; e frattanto l’aspetto di quella fanciulla, che non avea per sua difesa altro che la sua castità, lo incatenava.
Sentiva che il fuoco bruci a vagli il petto; sentiva che le sue labbra erano assetate di piacere; e tuttavia la mano gelata e inerte non poteva sollevarsi, e il corpo era come paralitico: appena l’occhio scintillava, e le nari dilatate aspiravano