Il guarany/Parte Seconda/Capitolo VII
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CAPITOLO VII.
IL PRECIPIZIO.
Pery si era arrestato per vedere Cecilia da lungi.
Ayres Gomes levossi in piedi, corse dietro all’Indiano, e lo prese per un braccio.
— Alla fine ti ho arrivato, don cacico dalla faccia tinta! Che sia lodato il cielo! Qua dunque!... disse lo scudiero respirando.
— Lasciami! rispose l’Indiano senza muoversi.
— Lasciarti! Un fico! Dopo aver battuto tutta questa boscaglia per trovarti! Vorrei vederla!
In fatti donna Lauriana, che desiderava quanto prima veder l’Indiano fuori di casa, avea spedito lo scudiero in busca di Pery, per condurlo al cospetto di don Antonio de Mariz.
Ayres Gomes, esecutore fedele degli ordini de’ suoi superiori, già da due buone ore correa per la foresta; tutti i malanni più singolari, possibili o immaginabili, eransi presentati come di proposito sul suo cammino.
Or era un alveare di vespe che istizziva col cappello, e che faceagli battere un’onorata ritirata e dar di gambe a tutta furia; altra volta era alcuno di quei rettili di coda lunga, che, calpesto, arroncigliavasi improvvisamente, e poscia gli s’attorceva alle gambe dandogli una stretta terribile.
E tutto ciò senza parlare delle ortiche, degli spini, delle percosse di capo e delle cadute, che faceano rinnegare le stelle al degno scudiero, e maledire la selvatichezza d’una tal terra, che stava venti volte al di sotto dei dumi e delle grillaie della sua patria.
Ecco perchè Ayres Gomes non volea lasciarsi fuggir l’Indiano, causa di tutte le tribolazioni patite; ma sventuratamente Pery non era dello stesso parere.
— Appartati, già tel dissi! sclamò Pery cominciando a indispettirsi.
— Abbi la santa pazienza, delizia dell’anima mia! Affè di Ayres Gomes non è possibile; e tu ben sai che quando io dico che non è possibile, è come se la nostra madre Chiesa... Che diavolo stava per dire?... Ah che chiamai senza volerlo la madre Chiesa del diavolo! Grande eresia! Chi si pone a cianciar di santi con questa genìa di pagani... Cianciar di santi!... Vergine santissima! Sono incapace! Chiuditi, bocca! Chiuditi per sempre!
Nell’atto che lo scudiero snocciolava questo discorso, per metà soliloquio, in cui eravi almeno il merito della franchezza, Pery neppur lo udiva; perocchè era tutto intento a guardare la finestra: dipoi si voltò, e spigliandosi dalla mano che gli assicurava il braccio, continuò il suo cammino.
Ayres accompagnollo, orma per orma, coll’impassibilità di un automa.
— Che vieni a fare? gli dimandò l’Indiano.
— Ancor questa! A seguirti e a condurli a casa; tale è l’ordine.
— Pery va lontano!
— Ancorchè andassi in capo al mondo, è lo stesso, figliuol mio.
L’Indiano gli si volse con un gesto risoluto.
— Pery non vuole che tu le segua.
— Quanto a ciò, indemoniato, sprechi il tuo tempo: per forza nissuno rattenne ancora il figlio di mio padre, che, devi sapere, era un eccellente uomo di daga e sprone.
— Bada che Pery non comanda due volte.
— Nè Ayres Gomes guarda indietro quando eseguisce un ordine.
Pery, l’uomo della devozione cieca, riconobbe nello scudiero l’uomo dell’obbedienza passiva; e si accorse che non ci avea modo di convincere questo fedele esecutore; e però risolse liberarsi di lui con un mezzo decisivo.
— Chi ti diè quest’ordine?
— Donna Lauriana.
— Perchè?
— Per condurti a casa.
— Pery va solo.
— Lo vedremo!
L’Indiano trasse il suo pugnale.
— Olà!... gridò lo scudiero; la conversazione viene ora a questi termini? Se il signor don Antonio non mi avesse proibito espressamente, io t’insegnerei! Ma.... puoi ammazzarmi, ch’io non m’arretro d’un passo.
— Pery non ammazza che il suo nemico, e tu non lo sei; ostinati, e Pery ti legherà.
— Come?... Che vuoi dir con ciò?
L’Indiano cominciò a tagliare colla massima calma un di quei lunghi cipò1, che si inerpicano per gli alberi delle nostre vergini foreste; lo scudiero, mezzo spaventato, sentiva venir la bizza, e stava quasi, anzi era deciso di gettarsi sopra il selvaggio.
Ma l’ordine di don Antonio era formale, e vedeasi obbligato a rispettare l’Indiano; il più che il degno scudiero poteva fare, era difendersi valentemente.
Quando Pery ebbe tagliato un dieci braccia di cipò che si attortigliò al collo, ringuainò il pugnale, e si volse allo scudiero sorridendo.
Ayres Gomes, senza trepidare, trasse la spada, e si pose in guardia secondo le regole della nobile e liberal arte della scherma, che professava fin dalla più tenera età.
Era un duello originale e curioso, che il simigliante non s’era mai veduto; un combattimento in cui il ferro lottava contro l’agilità, e la spada contro un vimine.
— Mastro cacico, disse lo scudiero corrugando il sopracciglio, tienti da parte; perchè, parola di Ayres Gomes, se ti accosti, ti passo colla durindana!
Pery stese il labbro inferiore in segno di noncuranza; e cominciò a volteggiare rapidamente intorno allo scudiero, in un circolo di cinque passi, che lo ponea fuori del tiro della spada: era sua intenzione assaltarlo alle spalle.
Ayres Gomes, appoggiato a un debole arbusto, e obbligato a dar volta sopra sè stesso come un arcolaio per difendersi alla schiena, sentì girarsi il capo e vacillò.
L’Indiano si giovò del buon punto; si gettò sopra di lui, lo prese per le spalle, gli afferrò le braccia, e si pose a legarlo al medesimo tronco della pianta, cui era appoggiato.
Quando lo scudiero si riebbe dalla vertigine, una fune di cipò lo legava al tronco dal ginocchio alle spalle; e l’Indiano proseguiva il suo cammino placidamente.
— Demonio maledetto! Cane d’inferno! gridava il degno scudiero, tu me la pagherai ben cara!...
Pery, senza far la menoma attenzione alla litania di nomi ingiuriosi, di cui lo gratificava Ayres Gomes, accostassi alla casa.
Vide Cecilia, che colla faccia sostenuta dalla mano guardava tristamente il fosso profondo, che aprivasi sotto la sua finestra.
La fanciulla, dal primo istante di stupore in cui indovinò la rivalità d’Isabella e il suo amore per Alvaro, riuscì a dominarsi.
Avea la nobile alterezza della castità, e non volea lasciar vedere a sua cugina ciò che provava in quel momento; era anche buona, amava Isabella, e non desiderava contristarla.
Perciò non le disse una parola di rimprovero, nè di risentimento; al contrario la rialzò, la baciò con tenerezza, e le chiese che la lasciasse sola.
— Povera Isabella! mormorò fra sè; come deve aver sofferto!
Dimenticavasi di sè per pensare a sua cugina; ma le lacrime che le spuntarono sugli occhi, e un singhiozzo che le gonfiò il seno, la chiamarono alla sua propria sofferenza.
Ella, la fanciulla gaia e faceta, che solo sapea sorridere; ella, l’angelo del piacere, che spargeva un incanto sovra tutto ciò che la circondava, trovò un conforto ineffabile nel pianto.
Quando si ebbe asciugate le lagrime, soffriva meno, si sentì alleviata e potè allora riflettere sopra quanto era accaduto.
L’amore rivelavasi in lei sotto una nuova forma; fino a quel dì l’affezione che provava per Alvaro era appena, come dicemmo, una confusione che la faceva arrossire, e un piacere che la faceva sorridere.
Giammai s’immaginò che cotesta affezione potesse mutare da quello che era; e produrre emozioni più forti di quello che sia un rossore e un sorriso; la gelosia dell’amore, quell’ambizione di far suo, e unicamente suo l’oggetto della propria passione, veniva ad esserle rivelata da sua cugina.
Stette pensierosa lunga pezza; consultò il suo cuore, e conobbe che non amava così; perchè giammai l’affezione che avea per Alvaro, poteva recarla ad odiare sua cugina, che amava come sorella.
Cecilia non comprendea quella lotta dell’amore cogli altri sentimenti del cuore; lotta terribile in cui quasi sempre la passione vittoriosa soggioga il dovere, la ragione e la volontà.
Nella sua ingenua semplicità era convinta che potea accordare insieme perfettamente la venerazione che avea per suo padre, l’affezione che sentiva per Alvaro, l’amore fraterno che consacrava a suo fratello e a Isabella, e l’amistà che tenea per Pery.
Questi sentimenti erano tutta la sua vita; in mezzo a loro sentivasi felice; nulla le mancava, come null’altro ambiva. Finchè potesse baciare la mano di suo padre e di sua madre, ricevere una carezza da suo fratello e da sua cugina, sorridere al suo cavaliere e scherzare col suo schiavo; l’esistenza per lei sarebbe di fiori. Temo pertanto di aver a spezzare alcuno di quegli aurei fili, che tesseano i suoi giorni innocenti e felici; e sofferse al pensiero di vedere in contrasto due delle sue affezioni calme e serene.
Possederebbe un incanto di meno nella sua vita, un’immagine di meno ne’ suoi sogni, un fiore di meno nella sua anima; però non renderebbe alcuno sventurato, e specialmente sua cugina Isabella, che talvolta le sembrava tanto malinconica.
Le restavano le altre affezioni; e con queste Cecilia pensava che la sua esistenza potrebbe ancora esser bella; non dovea dunque mostrarsi troppo avara.
Per pensare in tal modo facea di mestieri essere una fanciulla pura e libera come lei; era d’uopo avere il cuore come una gemma, che ancora non cominciò a schiudersi al primo raggio di sole.
Questi pensieri svolazzavano di nuovo nella mente di Cecilia, nell’atto che guardava pensierosa il fosso, ove di certo era caduto quell’oggetto, che apportava un cangiamento nella sua esistenza.
— Se io potessi riavere quel dono? dicea fra sè; mostrerei a Isabella come l’amo; come desidero che sia felice.
Pery vedendo che la sua signora guardava mesta il fondo del precipizio, comprese parte di ciò che volgeva nell’animo; senza poter indovinare in qual modo Cecilia avesse saputo che l’oggetto era caduto colaggiù, s’accorse che stava in affanno per esso.
Non facea mestieri di tanto per fare che l’Indiano tentasse ogni mezzo di ricondurre l’allegrezza sul bel viso di Cecilia: oltrechè già avea promesso ad Alvaro di addirizzar ogni cosa, come dicea nel suo semplice linguaggio.
Si avvicinò al fosso.
Una cortina di muschi e di campanelle, stendendosi sui margini di quel precipizio, ne copriva il dirupato; in cima eravi un tappeto di un bel verde ridente, su cui aleggiavano le farfalle dai vivaci colori; ma a basso vedeasi un fosso pieno di limo, ove la luce non arrivava.
Alle volte udiansi uscire dal fondo di quell’antro i sibili dei serpenti, i lai tristi di qualche uccello, che magnetizzato correva incontro alla morte; o il rumore di un piccolo sonaglio sopra il masso.
Quando il sole era nel suo apogeo, come allora, vedeansi fra l’erba, sopra il calice di una gran campanella rossa, gli occhi verdi di un serpente a sonaglio e le sue squamose spire d’un bel nero e vermiglio, che avvolgeansi al fusto di una pianta.
Pery poco si curava di cotesti inquilini del fosso, e dell’accoglienza che gli farebbero nella loro dimora; ciò che lo inquietava era la tema di non aver luce bastante nel fondo, colla quale rinvenire l’oggetto di cui andava in cerca, e che neppur sapea qual si fosse.
Tagliò un ramo di uno di quegli alberi, che per la loro proprietà i coloni chiamarono candela2; lo accese, e cominciò a discendere con questa facella.
Fu soltanto in quell’istante che Cecilia, astratta ne’ suoi pensieri, vide rimpetto alla finestra l’Indiano che scendeva al basso.
La fanciulla rammaricossi; la presenza dell’Indiano le ricordò d’improvviso ciò che era seguito il mattino; era un’affezione di più perduta.
Due lacci spezzati al tempo stesso, due affetti sfrondati l’uno appo l’altro, noverano poca cosa; due lacrime le bagnarono le guancie, come se ciascuna fosse versata dalle corde del cuore che cessavano di vibrare.
— Pery!...
L’Indiano alzò gli occhi verso di lei.
— Tu piangi, signora? diss’egli trasalendo.
La fanciulla sorrise; ma d’un sorriso che straziavale l’anima.
— Non piangere, signora! disse l’Indiano supplichevole; Pery va a renderti ciò che desideri.
— Ciò che desidero?
— Sì; Pery lo sa.
La fanciulla crollò il capo.
— È colaggiù; e accennò al fondo del precipizio.
— Chi tel disse? dimandò la fanciulla maravigliata.
— Gli occhi di Pery.
— Lo vedesti?
— Sì.
L’Indiano continuò a discendere.
— Che vai a fare? sclamò Cecilia impaurita.
— A prendere ciò ch’è tuo.
— Mio!... mormorò mestamente.
— Egli te lo diede.
— Chi egli?
— Alvaro.
La fanciulla arrossì; ma la paura soffocò quel moto dell’animo; abbassando gli occhi sul precipizio, avea visto un rettile strisciar per entro il fogliame, e udito quel mormorio confuso e sinistro che sorgeva dal fondo dell’abisso.
— Pery, disse facendosi pallida, non iscendere; torna indietro!
— No: Pery non ritorna senza recarti ciò che ti fa piangere.
— Ma tu vai a morte!... E se tu morissi....
— Non aver paura.
— Pery, disse Cecilia con severità, la tua signora ti comanda di non discendere.
L’Indiano arrestossi indeciso; un ordine della sua signora era fatale per lui; adempivasi, non v’era da illudersi.
Fissò nella fanciulla uno sguardo timido: in quel momento Cecilia vedendo Alvaro all’estremità dello spianato vicino alla capanna del selvaggio, ritiravasi dalla finestra arrossendo.
L’Indiano sorrise.
— Pery disobbedisce alla tua voce, signora, per obbedire al tuo cuore.
E l’Indiano disparve sotto le campanelle, che coprivano il precipizio.
Cecilia mandò un grido, e si sporse sul davanzale della finestra.
Note
- ↑ La natura, nel Brasile, produce alcuni arbusti a somiglianza di una corda molto forte, che nascono a piè degli alberi e si arrampicano fin sulle loro cime, chiamati cipò, con cui gl’Indiani e i Bianchi, che non ponno far di meglio, legano il legname delle loro case. La quantità infinita di cipò e una delle singolarità delle foreste brasiliane, che destò l’ammirazione dei naturalisti stranieri che le visitarono.
- ↑ Vi ha un albero mezzano chiamato ibiriba, che gl’Indiani riducono in fili e poi in fascetti, di cui, accesi, si servono per pescare e andar di notte; e ancorchè sia verde e tagliato di fresco, prende fuoco come una resina. Il vento non lo spegne. In casa gl’Indiani si servono delle scheggie di questo legno a guisa di candele.