Il guarany/Parte Seconda/Capitolo VIII

Parte Seconda - VIII. Il braccialetto

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Seconda - VIII. Il braccialetto
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CAPITOLO VIII.


IL BRACCIALETTO.

Quello che vide Cecilia sporgendosi dalla finestra, la gelò di spavento e di orrore.

D’ogni lato sorgevano rettili enormi, che fuggendo dai macigni gettavansi nel bosco; le vipere sguizzavano dalle spaccature della roccia, i ragni velenosi sospendevansi ai rami degli alberi pe’ fili della loro tela.

Dal mezzo dei rumori formati dal sibilar delle serpi e dallo stridere dei grilli, udivasi il canto monotono e mesto del cauam1 che usciva dal [p. 90 modifica]fondo dell’abisso; l’Indiano era scomparso; appena vedeasi il riflesso della facella.

Cecilia pallida e tremante giudicava impossibile che Pery non fosse morto, o per lo meno quasi divorato da quei mostri moltiformi: piangeva già pel suo amico perduto, e balbettava una preghiera, chiedendo a Dio un miracolo per salvarlo.

Alle volte chiudeva gli occhi per non vedere il quadro terribile che gli si presentava dinanzi, e li apriva di nuovo per scrutare quell’abisso e scoprire l’Indiano.

In uno di quegli istanti uno degli animaluzzi, che brulicavano nel mezzo del fogliame smosso, volò, e venne a posarsi sulla sua spalla; era una speranza, uno di quei vaghi insetti verdi, che la poesia popolare chiama Louvadeos.

L’anima, nei momenti supremi di afflizione, appiccasi al più tenue filo di speranza; Cecilia lasciò spuntare un sorriso fra le lagrime, prese l’insetto colle sue dita rosate e l’accarezzò.

Avea bisogno di sperare, e sperò; riprese animo e potè ancora pronunciare una parola con voce tremola e fioca;

— Pery!

Nel breve intervallo che seguì a questa chiamata, la fanciulla fu in preda a un’ansietà crudele; se l’Indiano non rispondeva, era morto; ma Pery parlò:

— Spera, signora!

Ma, non ostante l’allegrezza che le cagionarono queste parole, parve alla fanciulla che fossero [p. 91 modifica]pronunciate da un uomo che soffriva; la voce gli giunse all’udito sorda e rauca.

— Sei ferito? dimandò con inquietudine.

Non udì più risposta; un grido acuto partì dal fondo dell’abisso, ed echeggiò per le roccie; dipoi il cauam cantò di nuovo, e un serpente a sonaglio sibilando orribilmente passò seguito da una nidiata di serpentelli.

Cecilia vacillò; e mandando un gemito profondo cadde svenuta contro il parapetto della finestra.

Un quarto d’ora appresso, allorchè la fanciulla aperse gli occhi, si vide dinanzi Pery che arrivava in quel punto, e presentavate sorridendo una cassettina di velluto scarlatto.

Senza curarsi della cassetta, Cecilia ancora spaventata dall’orribile spettacolo veduto, prese le mani dell’Indiano e gli domandò con ansietà:

— Non sei stato morsicato, Pery?... Non soffri?... dimmi!

L’Indiano guardolla maravigliato per l’affanno che vedea nel suo sembiante; e comprese l’emozione cui era in preda.

— Avesti paura, signora?

— Molto! sclamò la fanciulla.

L’Indiano sorrise.

— Pery è un selvaggio, figlio delle foreste; nacque nel deserto, in mezzo alle serpi; esse conoscono Pery e lo rispettano.

L’Indiano dicea il vero; quello che testò avea fatto, era la cosa più semplice del mondo; era [p. 92 modifica]la sua vita d’ogni giorno in mezzo ai boschi: non portava il minimo pericolo.

Eragli bastata la luce della sua facella, e il canto del cauam ch’egli imitava e che poc’anzi udimmo, per ischivare tutti gli animali velenosi che sono divorati da quell’uccello, e fuggono da lui e dal fuoco.

Con questo semplice spediente, di cui si giovano ordinariamente i selvaggi quando attraversano le foreste di notte, Pery era sceso a basso, ed era stato sì fortunato da trovare intricata nei rami di una campanella la cassettina di velluto scarlatto piena di gioie, che tosto indovinò esser l’oggetto datole da Alvaro.

Mise allora un grido di gioia, che Cecilia scambiò per un grido di dolore; così pure avea preso l’eco del precipizio per una voce cava e sorda.

Frattanto Cecilia, che non sapea comprendere come un uomo potesse passar in mezzo a tanti animali velenosi senza essere offeso, attribuì la salvezza dell’Indiano a un miracolo, e considerava quell’azione semplice e naturale come un eroismo ammirabile.

La sua gioia in veder Pery fuor d’ogni pericolo, e trovarsi fra le mani il dono di Alvaro, fu tale che dimenticò quanto era accaduto, e provò un piacere indicibile.

La cassettina contenea un semplice braccialetto di perle; ma erano del più puro smalto e bellissime; ben dimostravano che erano state scelte dall’occhio d’Alvaro e destinate al braccio di Cecilia. [p. 93 modifica]

La fanciulla le guardò un istante con quel sentimento di vanità che è innato nella donna, e che le serve di settimo senso; pensò che dovea starle bene quel braccialetto. Mossa da questa idea se lo cinse al braccio; e lo mostrò a Pery che la contemplava soddisfatto di se stesso.

— A Pery rincresce una cosa?

— Quale?

— Di non aver oggetto più prezioso di questo per darti?

— E perchè ti rincresce?

— Perchè ti accompagnerebbe sempre.

Cecilia sorrise; e volle fargli una gentilezza.

— Adunque saresti contento se la tua signora, invece di portar questo braccialetto, recasse un presente tuo proprio?

— Sì, molto.

— E che vuoi darmi che mi aggradisca? dimandò la fanciulla scherzando.

L’Indiano girò gli occhi attorno di sè, e diventò triste; potea dar la sua vita, che a nulla valea; ma ove andrebbe egli, povero selvaggio, a cercare un ornamento degno della sua signora!

Cecilia ebbe compassione del suo imbarazzo.

— Va a prendermi un fiore, che la tua signora intreccerà ne’ capelli, in luogo di questo braccialetto, che giammai metterà al suo braccio.

Queste ultime parole furono dette con un tuono di energia, che rilevò la fermezza di carattere di questa fanciulla; chiuse un’altra volta il braccialetto nel suo astuccio, e si fece un istante malinconica e pensierosa. [p. 94 modifica]

Pery tornò recando uno dei più vaghi fiori silvestri che trovò nel giardino; era una parassita di velluto, d’un bello scarlatto.

La fanciulla intrecciò il fiore nei capelli, contenta di aver soddisfatto ad un innocente desiderio di Pery, che solo vivea per soddisfare ai suoi; e avviossi alla stanza di sua cugina, occultando il meglio che potè la cassettina di velluto.

Isabella, presa a pretesto un’indisposizione, non avea abbandonato la sua stanza dopo uscita da quella di Cecilia; rammaricavasi d’aver tradito il suo segreto.

Le lagrime che sparse, non furono come quelle di sua cugina, di sollievo e conforto; ma di quelle lagrime ardenti, che invece di refrigerare il cuore, lo bruciano col fuoco della passione.

Talvolta i suoi neri occhi, ancora umidi di pianto, brillavano d’un fulgore straordinario; e pareva che un pensiero, come di delirio, passasse rapidamente nel suo spirito disordinato.

Allora inginocchiavasi, e facea un’orazione, nel mezzo della quale di nuovo le lagrime le scorrevano per le guancie.

Quando Cecilia entrò, stava seduta sulla sponda del letto, mezzo abbandonata sul fianco, cogli occhi rivolti alla finestra, donde vedeasi un lembo di cielo.

Era bella di quella maninconia e languidezza, che prostrava il suo corpo in una specie di incanto seduttore, che facea risaltare le linee armoniche de’ suoi graziosi contorni. [p. 95 modifica]

Cecilia accostossi senza esser veduta, e stampò un bacio sulla fronte bruna di sua cugina.

— Già ti dissi che non voglio vederti triste.

— Cecilia!... sclamò Isabella trasalendo.

— Che è ciò? Ti faccio paura.

— No... ma...

— Ma che dunque?

— Nulla...

— So che vuoi dirmi, Isabella; giudicasti che conservassi un risentimento contro di te. Confessalo!

— Giudicai, disse la giovane balbettando, che mi era resa indegna della tua amicizia.

— E perchè? Mi facesti forse qualche male? Non siamo due sorelle, che dobbiamo amarci sempre?

— Cecilia, quello che dici non è quello che senti! sclamò Isabella maravigliata.

— Già t’ingannai altra volta? replicò Cecilia accorata.

— No; perdonami; ma è che...

La giovane non continuò; il suo sguardo terminò il suo pensiero, ed espresse lo spavento che cagionavale il procedere di Cecilia. Ma d’improvviso un’idea presentossi al suo spirito.

Pensò che Cecilia non avesse rivalità per lei, perchè la giudicava indegna di meritare un solo sguardo di Alvaro; questa riflessione la fece sorridere amaramente.

— Quindi resta convenuto, disse Cecilia con leggerezza, che nulla è accaduto fra noi; non è vero? [p. 96 modifica]

— Tu lo vuoi!

— Sì, lo voglio; nulla è accaduto; siamo le stesse, colla differenza, aggiunse Cecilia arrossendo, che d’or innanzi non devi aver secreti per me.

— Secreti! Ne aveva uno che già ti è noto! mormorò Isabella,

— Perchè l’indovinai! Non è così che voglio; preferisco udirli dalla tua bocca; voglio consolarti quando sarai tutta addolorata come adesso, e rider teco quando sarai contenta. Non è così?

— Oh! giammai! Non mi chiedere una cosa impossibile, Cecilia! Tu ne sai di soverchio, non obbligarmi a morire di vergogna a’ tuoi piedi.

E perchè ciò ti cagionerebbe vergogna? E se tu mi ami, non puoi anche amare un’altra persona!

Isabella nascose il volto fra le mani, per occultare il rossore che diffondeasi sulle sue guancie; Cecilia un po’ commossa guardava sua cugina, e comprendea in quel momento perchè ella stessa arrossiva al vedere gli occhi di Alvaro affisarsi ne’ suoi.

— Cecilia, disse Isabella facendo uno sforzo supremo; non illudermi, cugina mia; tu sei buona, tu mi ami, e non vuoi contristarmi; ma non adirarti della mia fralezza. Se sapessi come soffro!

— Non t’illudo, già tel dissi; non desidero che soffra, e meno ancora per causa mia; intendi? [p. 97 modifica]

— Intendo; e giuro che saprò far tacere il mio cuore; che, occorrendo, lo farò ammutolire, prima di darti un’ombra di tristezza.

— Nò, sclamò Cecilia, tu non mi comprendi; non è questo che ti chiedo, al contrario voglio che... sii felice!

— Che sia felice! dimandò Isabella repentinamente.

— Sì: rispose la fanciulla abbracciandola e parlandole sotto voce all’udito; che ami lui e me pure.

Isabella alzossi pallida e in forse ancora di quello che avea udito; Cecilia ebbe forza bastante per rinfrancarla con un sorriso, con uno de’ suoi sorrisi divini.

— No, è impossibile! Tu vuoi farmi impazzire, Cecilia?

— Voglio ritornarti lieta, rispose la giovane accarezzandola; voglio che lasci quel sorriso malinconico, e mi abbracci come tua sorella. Non lo merito?

— Oh! sì, sorella mia; tu sei un angelo di bontà, ma il tuo sacrifizio è inutile; io non posso esser felice, Cecilia.

— Perchè?

— Perchè egli ti ama! mormorò Isabella.

La fanciulla arrossì.

— Non dir ciò; è falso.

— È vero anche troppo.

— Egli tel disse?

— No, ma l’indovinai prima di te stessa. [p. 98 modifica]

— Ebbene t’ingannasti; nè più parlarmi di ciò. Che m’importa di quello che sente a mio riguardo?

E la fanciulla accorgendosi che l’emozione si impadroniva di lei, fuggì, ma giunta alla porta tornò indietro.

— Ah! dimenticava di darti una cosa che recai per te.

Trasse fuori la cassettina di velluto, e aprendola cinse il braccialetto di perle al braccio d’Isabella.

— Come ti sta bene! Come si affa al tuo sì vago color bruno! Esso ti renderà lieta!

— Questo braccialetto!...

Isabella fu tosto presa da un sospetto.

La fanciulla se n’accorse; e pronunciò una bugia, che fu la prima nella sua vita.

— Fu mio padre che me lo diè ieri; fece comprarne due, uno per me e l’altro che gli chiesi per te. Quindi non hai motivo a ricusarlo, altrimenti vado teco in collera.

Isabella abbassò il capo.

— Non toglierlo; io vado a pormi il mio, e saremo sorelle. A rivederci tosto.

E accostando, le dita alle labbra, mandò un bacio a sua cugina e corse alle sue stanze.

La festività e la giovialità della sua indole già avean dissipate le tristi impressioni del mattino.



Note

  1. Il cauam è un uccello che divora le serpi, da cui perciò fuggono. Gl’Indiani, secondo afferma Ayres do Casal, imitavano il suo canto, quando andavano di notte pei boschi, e di tal modo si preservavano dai loro morsi.