Il guarany/Parte Prima/Capitolo III
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CAPITOLO III.
LA BANDIERA.
Era mezzodì.
Un drappello di cavalieri, composto al più di quindici persone, costeggiava la riva destra del Parahyba.
Erano tutti armati dal capo ai piedi; oltre la gran spada di guerra che batteva sui fianchi del cavallo, ciascuno di loro portava alla cintola due paia di pistole, un pugnale nella tasca delle brache, e un moschetto ad armacollo sopra la spalla sinistra.
Poco innanzi, due uomini a piè stimolavano alcune bestie cariche di casse ed altri oggetti, coperti d’un tralicio impeciato, che li riparava dalla pioggia.
Quando i cavalieri, che seguivano a trotto concitato, vincevano la piccola distanza che li separava dai somieri, i due pedoni, per non perder cammino, montavano in groppa alle bestie, e guadagnavano di nuovo il dinanzi.
A que’ dì davasi il nome di bandiere a quelle carovane di avventurieri, che s’internavano nei deserti del Brasile in busca d’oro, di brillanti e smeraldi, o per iscoprire fiumi e terre ancora sconosciute.
Quella che ora costeggiava la sponda del Parahyba era di questa specie; e tornava dal Rio de Janeiro, ove era stata a vendere i prodotti della sua spedizione nei terreni auriferi.
In una di quelle congiunture che i cavalieri si accostavano ai somieri, di pochi passi più innanzi, un giovane di vent’otto anni, di bell’apparenza, e che marciava alla testa del drappello maneggiando il suo cavallo con molto garbo e gentilezza, ruppe il silenzio generale.
— Andiamo, buona gente! diss’egli con aria allegra ai pedoni; un po’ di buon volere, e arriveremo per tempo. Non ci restano che quattro leghe!
Uno dei cavalieri, all’udire queste parole, diè di sprone al suo cavallo, e avanzando di alcune braccia si collocò allato al giovane.
— A quanto pare, avete fretta di giunger presto, signor Alvaro de Sà? diss’egli accentuando un poco queste ultime parole, e lasciando trasparire un mezzo sorriso, la cui espressione di ironia era dissimulata da una benevolenza sospetta.
— Di certo, signor Loredano; nulla è più naturale a chi viaggia, che il desiderio di arrivare alla fine del suo cammino.
— Non penso il contrario; ma confesserete che nulla è tanto naturale a chi viaggia, quanto il risparmiare le sue bestie.
— Che volete dir con ciò, signor Loredano? domandò Alvaro con un certo moto d’impazienza.
— Voglio dire, signor cavaliere, rispose l’altro in tuono di derisione, e misurando cogli occhi l’altezza del sole, che arriveremo oggi poco prima delle sei.
Alvaro arrossì.
— Non veggo ragione che ciò abbia ad infastidirvi; a qualche ora ben dobbiamo arrivare; ed è meglio che sia di giorno che di notte.
— Per l’appunto, come è meglio che sia di sabbato, che in ogni altro dì? replicò Loredano sullo stesso tuono.
Un nuovo rossore tinse la faccia d’Alvaro, che non potè dissimulare il suo imbarazzo: ma riavendosi tosto, scoppiò in una risata, e rispose:
— In verità, signor Loredano, mi parlate così a fior di labbra e a parole mozze, che in fede di cavaliere non v’intendo.
— Così ha da essere. Dice la Scrittura che non vi ha peggior sordo di quello che non vuole udire.
— Oh! stiamo sulle sentenze! Metterei il prezzo che le apprendeste or ora in San Sebastiano: fu qualche vecchia bacchettona, o qualche laureato in diritto canonico che ve l’insegnò? rispose il cavaliere scherzando.
— Nè l’una nè l’altro, signor cavaliere: fu un commerciante della via de’ Mercanti, che pur mi mostrò broccati costosi, e bei vezzi di perle ben acconci al presente di un gentil cavaliere alla sua dama.
Alvaro arrossì la terza volta.
Decisamente il sarcastico avventuriere col suo spirito mordace trovava modo di affibbiare a tutte le domande del giovane un’allusione che lo disagiava; e ciò nel tuono il più naturale del mondo.
Alvaro volle troncare a questo punto la conversazione; ma il suo compagno di viaggio proseguì colla più amabile disinvoltura:
— Non entraste per caso nella bottega del mercatante, che or menzionai, signor cavaliere?
— Non me ne ricordo; e credo di no, perchè appena ebbi il tempo di dar sesto alle nostre faccende, e non me ne avanzò per vedere coteste delicature di dame e nobili donzelle; disse il giovane freddamente.
— È vero! riprese Loredano con un’ingenuità simulata; questo mi fa sovvenire che dimorammo soli cinque giorni al Rio de Janeiro, quando le altre volte non eran meno di dieci o quindici.
— Ebbi ordine di tornare colla massima prontezza; e credo, signore (continuò gittando sull’avventuriere un’occhiata severa), che non debbo conto delle mie azioni se non a quelli cui diedi il diritto di chiederlo.
— Per bacco, cavaliere! Prendete le cose al rovescio. Nessuno vi domanda per qual motivo fate quello che vi aggrada; ma però troverete giusto che ciascuno pensi alla sua maniera.
— Pensate quello che volete! disse Alvaro alzando le spalle e facendo avanzare il passo alla sua cavalcatura.
La conversazione fu interrotta.
I due cavalieri, un po’ innanzi al rimanente del drappello, camminavano silenziosi l’uno a paro dell’altro.
Alvaro aguzzava qualche volta lo sguardo entro il bosco, come per misurare la distanza che ancora avea da percorrere, e tal’altra sembrava pensieroso e preoccupato.
In tali occasioni Loredano gettava sopra di lui qualche occhiata furtiva, piena di malizia e d’ironia; dipoi continuava a zufolare tra i denti una canzonetta de’ condottieri, di cui egli rappresentava il vero tipo.
Una faccia bruna, coperta da lunga barba nera, entro cui un sorriso sdegnoso facea brillare la bianchezza de’ suoi denti; occhi vivi, fronte larga, scoperta pel cappello abbandonato che cadeagli sopra le spalle; statura alta e una costituzione forte, agile e muscolosa, erano i lineamenti principali di questo avventuriere.
La piccola cavalcata avea lasciato il margine del fiume, che non forniva più alcuna strada, e si era messa per uno stretto sentiero aperto nella foresta.
Quantunque non fossero che le due o poco più, solo un incerto chiarore regnava sotto quelle folte e ombrose vôlte di verzura: la luce, insinuandosi in quel denso fogliame, decomponeasi interamente; neppur uno schietto raggio di sole penetrava in quel tempio della creazione, cui servivano di colonne i tronchi secolari degli acari e degli araribà.
Il silenzio della notte, co’ suoi rumori vaghi, indeterminati, co’ suoi echi tramortiti, dormiva nel fondo di quella solitudine, ed era appena interrotto un istante dal passo delle bestie, che faceano crepitare le foglie secche.
Parea che fossero le sei della sera, e che il giorno, tramontando, involgesse la terra nelle ombre scolorate del crepuscolo.
Alvaro de Sà, ancorchè avvezzo a cotesta illusione, non potè non trasalire un istante, quando riavendosi dalla sua meditazione videsi d’improvviso in mezzo al chiaroscuro della foresta.
Levò involontariamente il capo per veder se traverso quella cupola di verzura scopriva il sole, o per lo manco qualche scintilla di luce che gl’indicasse il chiaro del giorno.
Loredano non potè reprimere una risata sardonica, che gli corse sulle labbra.
— Non datevi pensiero, signor cavaliere; prima delle sei saremo al luogo che desiderate: ve lo dico io.
— Il giovane voltossi verso l’avventuriere, corrugando il sopracciglio:
— Signor Loredano, è la seconda volta che pronunciate questa parola in un tuono che mi dispiace: sembra che vogliate dar ad intendere alcuna cosa; ma vi manca l’animo di proferirla. Una volta per sempre; parlate apertamente, e Dio vi guardi di toccare ad oggetti che sieno sacri.
Gli occhi dell’avventuriere gettarono una scintilla; ma il suo volto si conservò calmo e sereno.
— Ben sapete che vi devo obbedienza, cavaliere, e che non ci verrò mai meno. Desiderate che parli apertamente; ma, quanto a me, parmi che nulla possa essere più chiaro di quello che ho detto.
— Quanto a voi, non ne dubito, ma questa non è certo una buona ragione che lo debba essere per gli altri.
— Ora ditemi, signor cavaliere, non vi par chiaro dal poco che n’udiste, che indovinai il vostro desiderio di arrivare il più presto possibile?
— Quanto a ciò, già ve l’ho confessato; non ci ha gran merito a indovinarlo.
— Non vi par chiaro altresì, che mal non m’apposi quando notai che faceste cotesta spedizione colla maggior fretta, di modo che in meno di venti giorni già ne siamo al termine?
— Già vi dissi che tali erano i miei ordini, e credo che nulla ci avrete ad opporre.
— No per certo; un ordine è un dovere, e un dovere si compie con soddisfazione quando il cuore non vi è estraneo.
— Signor Loredano! disse il giovane portando la mano all’impugnatura della spada e raccogliendo le redini.
L’avventuriere fece mostra di non accorgersi di quel gesto di minaccia; e proseguì:
— Perciò il tutto si spiega agevolmente. Riceveste un ordine; fu, senza dubbio, di don Antonio de Mariz?
— Non so chi altri possa arrogarsi il diritto di darmelo; replicò il giovane con alterezza.
— Naturalmente, in forza di quest’ordine, continuò Loredano con cortesia, partiste dal Paquequer in dì feriale, mentre quello designato cadeva in domenica.
— Ah! badaste anche a ciò? chiese il giovane mordendosi le labbra per dispetto.
— Bado a tutto, signor cavaliere; così non lasciai pur di osservare, che sempre in forza di quest’ordine faceste ogni possa per arrivare appunto prima di domenica.
— E non osservaste altro? dimandò Alvaro con voce tremante, e facendo uno sforzo per contenersi.
— Non mi sfuggì neppure un piccolo accidente, di cui già vi parlai.
— E qual è, se vi piace?
— Oh! non vale la fatica di ripeterlo; è cosa di poco conto.
— Proseguite pure, signor Loredano; nulla va perduto fra due persone che s’intendono; replicò Alvaro con una guardatura minacciosa.
— Giacchè lo desiderate, è d’uopo soddisfarvi. Osservo che l’ordine di don Antonio (e Loredano accentuò bene questa parola) vi ingiunge di arrivare al Paquequer un po’ prima delle sei, in tempo di ascoltare la preghiera.
— Possedete un talento ammirabile, signor Loredano: il danno è che lo sprecate in cose futili.
— In che volete che un uomo occupi il suo tempo in questo deserto, se non in osservare i suoi simili, e badare a quello che fanno?
— In verità è una buona distrazione.
— Eccellente. Ben lo vedete. Notai circostanze che seguirono alla presenza degli altri, e di cui nessuno si accorse, perchè non si suol dar la fatica di attendervi come faccio io; disse Loredano colla sua aria di finta semplicità.
— Raccontatelo, ha da esser ben singolare.
— Al contrario, è la cosa più naturale del mondo; un giovane che coglie un fiore, un uomo che passeggia la notte alla luce delle stelle; vi può esser cosa più semplice?
Alvaro questa volta si fece pallido.
— Sapete una cosa, signor Loredano?
— La saprò, cavaliere, se mi farete l’onore di dirmela.
— Vo riflettendo che la vostra abilità di osservatore vi trasse molto innanzi, e che state facendo nè più nè meno che il mestiere di spia.
L’avventuriere rizzò la testa con un gesto altiero, portando al tempo stesso la mano al capo di un largo pugnale che teneva alla cintola: ma al punto medesimo represse questo moto, e riprese la sua consueta bonomia.
— Avete voglia di scherzare, signor cavaliere?...
— V’ingannate, disse il giovane pungendo il suo cavallo e accostandosi a Loredano, vi parlo sul serio; siete un’infame spia! Ma giuro al cielo, che alla prima parola che proferite, vi spacco la testa come ad una serpe velenosa.
La fisonomia di Loredano non alterossi, ma conservò la stessa impassibilità; appena la sua aria d’indifferenza e sarcasmo fu velata da un’espressione di energia e tristizia, che diè risalto ai suoi vigorosi lineamenti.
Gittando un’occhiata feroce sopra il cavaliere, e stringendogli il braccio, rispose:
— Giacchè prendete la cosa in questo modo, signor Alvaro de Sà, permettete che vi dica che a voi non s’appartiene minacciare; fra noi due, dovete sapere a chi tocca di aver timore!...
— Dimenticate a cui favellate? disse il giovane fieramente.
— No, signore, mi ricordo di tutto; mi ricordo che siete mio superiore, ed altresì (aggiunse con voce sorda) che posseggo il vostro secreto.
E frenando il cavallo, l’avventuriere lasciò che Alvaro proseguisse da solo nella fronte, e mescolossi co’ suoi compagni.
La piccola cavalcata continuò il suo corso traverso il bosco, e avvicinossi a uno di quei vani delle foreste vergini, che somigliano a un gran tempio di verzura.
In quel momento un ruggito spaventoso fece rintronar la foresta, e riempì la solitudine del suo eco stridente.
I pedoni impallidirono e si guardarono l’un l’altro; i cavalieri approntarono i moschetti e proseguirono a passo lento, guardando cautamente sui rami degli alberi.