Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 136 — |
udiasi un suono strepitoso, pari allo spezzarsi della cateratta, che si precipita dall’alto delle roccie.
Cecilia dormiva tranquillamente; la sua respirazione leggera mandava quell’armonia dolce e sottile delle foglie di canna, quando stormiscono all’alito dei zeffiri.
Pery gettò uno sguardo di disperazione sulle sponde, che alzavansi a qualche distanza sulla placida corrente del fiume.
Ruppe il laccio cui era legata la piroga, e lanciossi a terra con tutta la forza del remo, che ruppe l’acqua profondamente.
In riva al fiume sorgeva una bella palma, il cui alto tronco era coronato da una grossa e folta vetta, formata dai ventagli delle sue foglie vaghe e graziose.
I cipò e le parassite, abbarbicandosi ai rami degli alberi vicini, scendevano fino a terra, formando festoni e cortine di frondi, che si attaccavano al fusto e ai bracci della palma.
Toccando il margine, Pery saltò a terra, prese fra le braccia Cecilia mezzo addormentata, e stava per recarla nell’interno della vergine foresta, che gli si stendeva dinanzi.
In quel momento il fiume inarcossi alla superficie, come un gigante che gonfia il petto e si torce in convulsioni, e adagiossi di nuovo nel suo letto, mettendo un gemito profondo e cavernoso.
In distanza il cristallo della corrente ondeggiò; le acque s’incresparono, e un lenzuolo di spuma