Il genio buono e il genio cattivo/Atto IV

Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Piazza in Tripoli di Barbaria con veduta in prospetto della moschea con porta chiusa nel mezzo, che poi si apre. Due Guardie turche, una di qua, una di là della porta della moschea.

Il Genio Cattivo travestito ed Arlecchino
col suo abito naturale.

Arlecchino. Dove semio, sior mercante? Che zente xe quella con quelle sàbole1 e quei turbanti?

Genio Cattivo. Noi siamo in Tripoli di Barbarla.

Arlecchino. Barbaria? M’avè menà in Barbaria? (con timore)

Genio Cattivo. Qual apprensione vi reca questo nome di Barbaria? Credete che siano barbari i popoli di questa nazione? [p. 124 modifica] V’ingannate. Così si chiama questa parte dell’Affrica che contiene più regni; però si rispetta qui pure l’umanità e la giustizia.

Arlecchino. Andemo via, che quei mustacchi me fa paura.

Genio Cattivo. Perchè volete partir sì tosto? Perchè volete privarvi del bel piacere di vedere il mondo, di esaminar nuovi popoli, di apprendere delle nuove leggi, di conoscere dei novelli costumi? Non avete desiderato voi stesso di veder l’Affrica e l’Asia? Non mi avete pregato a Londra di accompagnarvi? Non mi avete voi condotto per aria in virtù del vostro magico anello?

Arlecchino. Xe vero. Desperà d’aver perso la mia cara muggier, no saveva a qual partìo abbandonarme. El cuor me diseva: torna a Bergamo, torna alle to vallade, torna alla to capanna, e za era per tornar. Se vegnù vu, m’avè conseggià a seguitar a viazar! M’ho lassa persuader, ma ve zuro che son pentìo.

Genio Cattivo. (Tardo è il tuo pentimento. Imparerai, o sciocco, a credere al Cattivo Genio che sotto questi abiti non riconosci). (da sè)

Arlecchino. Ma come che semo vegnui, poderessimo andar; presto fazzo a voltar l’anello.

Genio Cattivo. Caro amico, se avete la facoltà di partire quando volete, di che avete paura? Perchè non profittate dell’occasione di divertirvi? Ah se vedeste le donne di Barbaria! se vedeste qual grazia, qual beltà regna in questa nazione! Voi col favore di questo anello potete penetrare nei bagni, nei serragli, nelle moschee, da per tutto. Potete voi solo vedere a faccia scoperta quelle bellezze che si tengono qui con tanta gelosia custodite.

Arlecchino. Cospetto de mi! ghe xe delle belle donne? Le posso veder liberamente? Posso intrar in ti bagni, in ti serraggi, in te le moschee?

Genio Cattivo. Così è; questa fortuna è sol per voi riservata.

Arlecchino. Co l’è cussì, no vago via per adesso.

Genio Cattivo. Vi consiglio di profittare dell’occasione.

Arlecchino. E se m’arriva qualche accidente? Se i me trova, se i me scoverze? [p. 125 modifica]

Genio Cattivo. Se vi trovano, se vi scoprono...

Arlecchino. Gnente paura. Volto l’anello, e chi s’ha visto, s’ha visto.

Genio Cattivo. Così è, l’anello potrà salvarvi. (Ma non lo possederai lungamente). (da sè)

Arlecchino. Oh caro anello! oh caro spirito! oh che bella cossa!

Genio Cattivo. Veramente è una cosa rara.

Arlecchino. Cossa diseu? Nol darave per centomila milioni.

Genio Cattivo. Come mai può rinchiudersi in un piccolo anello una virtù sì possente?

Arlecchino. Mi nol so gnanca mi.

Genio Cattivo. Lasciate un po’ vedere per curiosità.

Arlecchino. Oh sior no, sior no. No me lo cavo dal deo.

Genio Cattivo. Non pretendo che lo caviate. Mi basta vederlo nel vostro dito.

Arlecchino. Tolè, vardèlo; ma no sperè de cavarmelo dalle man.

Genio Cattivo. Bellissima questa pietra. (tocca l’anello, e subito si spezza e cade per terra e sparisce.)

Arlecchino. El mio anello?

Genio Cattivo. Eccolo, eccolo. Non v’inquietate. (finge di levarlo dì terra e gliene dà un altro simile.)

Arlecchino. Caro el mio caro anello! no lo lasso più veder, nè toccar da nissun. (se lo mette al dito)

Genio Cattivo. (Compito è il disegno. La sua perdita è certa. Il suo cattivo genio trionfa). (da sè)

Arlecchino. Chi xe quella zente? (verso la scena)

Genio Cattivo. Oggi è giorno di solennità fra la gente turca. Le donne, scortate dagli eunuchi neri, vanno alla moschea principale.

Arlecchino. Oh quante donne! Ma le xe coverte.

Genio Cattivo. Questo è l’uso della nazione.

Arlecchino. Se scoverzirale?

Genio Cattivo. Si scopriranno nella moschea.

Arlecchino. Volterò l’anello e anderò invisibile in te la moschea.

Genio Cattivo. é vero, lo potreste fare, ma non vi consiglio. Quantunque invisibile, non sarete meno palpabile, e in un luogo dove vi sarà molta gente, potreste cagionar dei disordini. [p. 126 modifica]

Arlecchino. Come oggio donca da far? Moro da voggia de veder ste bellezze de Barbaria.

Genio Cattivo. Il colore del vostro viso potrebbe farvi passar per un nero, e potreste entrare liberamente.

Arlecchino. Ma co sto abito...

Genio Cattivo. È vero; l’abito vi potrebbe tradire, vi ho pensato. Venite meco. Vi condurrò da un mercante di schiavi che io conosco. Comprerete un abito ed entrerete col seguito degli eunuchi.

Arlecchino. Bravo, andemo subito: e se nasce qualcossa, volto l’anello, e bona notte patroni. (parte)

Genio Cattivo. L’anello è inutile, e tu sarai la vittima della tua inclinazione. (parte)

SCENA II.

Al suono di tamburini e trombette turche ed altri strumenti, vengono le Donne turche, coperte dai loro veli, scortate dagli Eunuchi neri che precedono e chiudono la marcia. Si aprono le porte della moschea. Fanno il giro del teatro ed entrano per ordine nella moschea.

Nel tempo che fanno il giro, verso la fine, comparisce Arlecchino in abito di eunuco nero con un tamburino. Seguita anch’egli la marcia, ed entra con gli altri nella moschea.

SCENA III.

Entrati tutti, si chiudono le porte e cambia subito la sinfonia della marcia in un’altra sinfonia più dolce, al suono della quale discende una nuvola a terra, sparisce e vedesi

Corallina seduta ed addormentata sopra un sedile
laterale di pietra.

Corallina. (Destandosi a poco a poco) Dove sono? dove mi trovo? Vedo due guardie turche. Sarebbe questa per avventura la città di Tripoli? Non ardisco di domandarlo, poichè quelle figure mi mettono in apprensione. Ma credo certamente di [p. 127 modifica] essere in Tripoli. Mi ricordo che in Londra stanca, affaticala e disperata di aver perduto il mio caro marito, mi addormentai. Mi ricordo che in sogno mi comparve un giovinetto, e mi disse: Va in Tripoli, se vuoi esser contenta. So certo, e non m’inganno sicuramente, che risvegliatami mi parve il sogno stravagantissimo, che lo presi per una illusione, e che lontana dal voler passare in Turchia, mi raccomandai al cielo di cuore per ritrovare il mio caro, il mio adorato Arlecchino. Ma mi pare, se non m’inganno, di essermi addormentata di nuovo con questo pensiere, e parmi di aver novamente sognato ed avermi sentito dire: se sei pentita, il cielo ti aiuterà; tuo marito è in Tripoli, va in Tripoli e lo ritroverai. Non so se svegliata o dormendo, parmi di aver voltato l’anello... Sì, eccolo ancor voltato. L’ho fatto dunque, o dormendo o vegliando, ed il pensiere che ha accompagnato l’azione, mi ha quivi condotta. Sono in Tripoli sicuramente. Ma qual ragione ho io di sperare di qui ritrovare Arlecchino? Qual avventura potria qui averlo condotto? Ah che il cuor mi ha tradito. Ho preso un’illusione per un consiglio, e trovomi sempre più lontana dal mio Arlecchino e dalla speranza di ritrovarlo. Che farò io qui, poverina, sola, abbandonata, in terra de’ Turchi, esposta ai pericoli ed agl’insulti? E che! Mi scordo io del poter dell’anello? Non posso io voltarlo ed andar altrove? Sì, sì, voltiamolo e andiamo.... Ma dove? dove? A Bergamo, all’antica mia abitazione, a rinvenire la pace, la quiete che ho abbandonata. Ma qual pace poss’io sperar senza mio marito? Mi saranno quei luoghi più orribili, più dolorosi. Ma qui non posso, qui non deggio restare. Sì, ecco un partito disperato, ma opportuno al mio caso. Voltisi l’anello, e che mi porti lo spirito in una selva disabitata dove finisca i miei giorni, piangendo la perdita del mio caro marito, dove pagar io possa la pena della mia debolezza passata e della mia cattiva condotta. Animo, coraggio, andiamo... Ma se qui fosse Arlecchino? Se qui si trovasse il mio caro marito? Oh cieli! son fuor di me. Non so a qual partito appigliarmi. [p. 128 modifica]

SCENA IV.

Pantalone e la suddetta.

Pantalone. Olà! una donna Europea! sola! in sto liogo! come mai? che stravaganza, che novità!

Corallina. Chi mai è questo buon vecchio che mi guarda con attenzione? All’abito non mi par turco.

Pantalone. Patrona riverita.

Corallina. Serva devota.

Pantalone. La compatissa se m’avanzo troppo. La mia curiosità no xe senza rason.

Corallina. Favorite dirmi, signore, qual paese è questo.

Pantalone. No la lo sa?

Corallina. Non lo so.

Pantalone. Semo in Tripoli de Barbaria.

Corallina. (Non mi sono ingannata. Ho secondato il sogno senza volerlo). (da sè)

Pantalone. Ma come xela qua, senza saver dove che la sia?

Corallina. Favoritemi in grazia. Siete voi di questo paese?

Pantalone. No, la veda; son un mercante italian che navega in sti mari, e gh’ho qua el mio negozio e i mi magazzeni.

Corallina. Sono consolatissima d’incontrarmi in un italiano. Di qual paese siete, signore?

Pantalone. Venezian per servirla.

Corallina. Oh incontro per me fortunato! Io non son veneziana, ma ha avuta la fortuna di nascere sotto un sì dolce, sotto un sì glorioso governo.

Pantalone. In che paese, patrona?

Corallina. In una delle più belle e delle più feconde valli del Bergamasco.

Pantalone. Me ne consolo infinitamente. Semo, se pol dir, patriotti. Se posso servirla, la me comanda. Son bon venezian; amigo de tutti, amigo delle donne principalmente, e amigo sviscerà delle patriote. [p. 129 modifica]

Corallina. Ditemi, per carità, avreste sentito per avventura in questo paese mentovar il nome di un certo Arlecchino delle vallate di Bergamo.

Pantalone. No, in verità, no l’ho mai sentìo nominar.

Corallina. (Eh lo diceva, è inutile ch’io me ne lusinghi).(da sè)

Pantalone. Xelo qualche so parente?

Corallina. È mio marito, signore. (sospirando)

Pantalone. Coss’è sta? l’alo lassada? xelo andà per mar? xelo stà fatto schiavo?

Corallina. Con più comodo vi narrerò la serie delle mie sventure. Per ora vi supplico di procurarmi un asilo.

Pantalone. La vegnirà con mi, la starà con mi. Son cognossù, son respettà in sto paese, e no l’averà gnente da dubitar.

Corallina. IL cielo ricompensi la vostra bontà.

Pantalone. Ma la me compatissa, avanti che m’impegna per ella, xe ben giusto che la me diga chi la xe, come che la se trova in sto liogo, chi l’ha menada, chi l’ha conseggiada, e cossa che la pensa de far.

Corallina. È giusto quel che voi domandate. Sappiate, signore, ch’io sono.... (si sente rumore nella moschea)

Pantalone. Coss’è sto strepito?

Corallina. Che rumore è questo?

Pantalone. Andemo, retiremose qua in sta bottega. La me conterà la so istoria. Intanto vederemo cossa che nasce, e se el passo sarà libero, andaremo a casa da mi. (la prende per la mano)

Corallina. Oh cieli! La mia disgrazia mi seguita per tutto.(partono)

SCENA V.

Si spalancano le porte della moschea, escono i Mori furiosi, due de’ quali tengono per le braccia Arlecchino. Si uniscono le due Guardie ed accorrono al rumore. Altri Soldati da varie parti.

Arlecchino. (Dimenandosi con forza, tenta di liberarsi dai Mori, ma questi lo tengono forte ed i Soldati minacciano di ammazzarlo. Lui vorrebbe avere le mani in libertà per girare l’anello, sperando che [p. 130 modifica] avrebbe la facoltà di farlo sparire) Mo via, feme sta grazia, lassème un momento in libertà. (Se podesse doperar l’anello, no i me vederave più). (da sè) Mo via, lassème. (i Soldati non vogliono lasciarlo, ed ei freme e si sforza.)

SCENA VI.

Alì con Soldati, e detti.

Alì. Cos’è questo? che cosa è accaduto?

Moro. Questo forastiere temerario ha avuto l’ardire di entrare travestito nella moschea.

Alì. Chi sei? Perchè in quell’abito? Come e perchè ti sei introdotto? Parla, rispondi, e avverti di non mentire.

Arlecchino. Ho le parole ligade, no posso parlar. Ch’i me lassa un poco di libertà, e allora le se desligarà e dirò tutto.

Alì. Lasciatelo, e ritornate nella moschea. (ai Mori) E voi circondatelo, e badate che non vi fugga. (ai Soldati)
(I Mori arrabbiati maltrattano Arlecchino, lo lasciano con dispetto, e partono)

Arlecchino. (Adesso me la sbigno. Presto a Bergamo). (gira l’anello, e batte il piede)

Alì. Presto, dimmi chi sei. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Sior sì, subito. (A Bergamo) (da sè, battendo il piede, e gira l' anello.)

Alì. Vuoi parlare? vuoi tu finirla?

Arlecchino. Adesso, sior, un momento per carità, (torna a girar l'anello e a batter il piede) Ah poveretto mi, l’anello no me vol ubbidir... Spirito maledetto, ti m’ha burlà... Genio malandrin, ti m’ha sassinà... (smaniando qua e là per la scena. Le Guardie credendo che voglia fuggire, lo seguono.)

Alì. O parla, o ti faccio tagliar la testa.

Arlecchino. Son desperà, no gh’è più remedio per mi. Prima ho perso quel poco de giudizio che aveva, po la muggier, po lo spirito dell’anello, e dopo tutto, la speranza. No gh’è più caso, bisogna perir. (al Cadì) La me impicca, la me impala, [p. 131 modifica] la me mazza, la me scortega, la fazza de mi un tamburo, vôi morir, ma no vôi parlar.

Alì. S’arresti quel temerario. S’incateni, conducasi alla giustizia, e a forza di tormenti si costringa a parlare. (i Soldati incatenano Arlecchino)

SCENA VII.

Corallina correndo affannata verso Arlecchino.
Pantalone la seguita.

Pantalone. Fermève, cossa feu? Vegnì qua. (tentando di trattener Corallina.

Corallina. Arlecchino, (gridando con affanno, e procurando accostarsi)

Arlecchino. Corallina. (con affanno e sorpresa)

Pantalone. Coss’è sta cossa? (sorpreso)

Corallina. Mio marito. (come sopra, e voltandosi a Pantalone)

Arlecchino. Mia muggier. (come sopra, volgendosi ai Turchi)

Alì. Arrestate costei. (ai Soldati che la circondano)

Pantalone. Sior Bassà, la prego...

Alì. Conduceteli entrambi al Cadì. (parte)
(I Soldati conducono a forza Arlecchino e Corallina, e partono)

Pantalone. Povera donna, povera zente! Presto: voggio andar; li voggio agiutar. (parte dietro gli altri)

SCENA VIII.

Si aprono le porte della moschea. Escono le Donne custodite dai Mori, colla marcia medesima come sono entrate, fanno il giro e partono.

SCENA IX.

Cortile del luogo di giustizia con palo, palco, foco, e vari Ministri di esecuzione. La torre delle prigioni da un lato, in fondo la scena, con una scalinata che scende dalla porta della torre al cortile.

Il Cadì e Ministri di esecuzione, e Guardie; poi Arlecchino.

Cadì. Fate venire quell’europeo. (alle Guardie le quali montano la scalinata, aprono la porta, e fanno scendere Arlecchino incatenato e sempre in agitazione e disperazione. [p. 132 modifica]

Cadì. Chi sei? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Mia muggier? (forte e con affanno)

Cadì. Come ti chiami?

Arlecchino. Corallina. (chiamandola con disperazione)

Cadì. Corallina è il tuo nome?

Arlecchino. Corallina xe mia muggier.

Cadì. E tu chi sei?

Arlecchino. Maledetto spirito! maledetto mercante! maledetta curiosità!

Cadì. Parla, o ti faranno parlare i tormenti.

Arlecchino. Feme impalar, feme scortegar.

Cadì. Perchè t’introducesti nella moschea?

Arlecchino. El diavolo, el spirito, el Cattivo Genio.

Cadì. Qual era il tuo disegno?

Arlecchino. Che dessegno? Son un povero contadin. Mi no so de dessegno.

Cadì. Perchè sei qui venuto?

Arlecchino. Perchè el diavolo me gh’ha portà.

Cadì. Come venisti?

Arlecchino. No so gnanca mi.

Cadì. Per mare?

Arlecchino. Sior no.

Cadì. Per terra?

Arlecchino. Sior no.

Cadì. Per aria dunque? (con sdegno)

Arlecchino. Sior sì.

Cadì. (Non comprendo s’egli sia uno sciocco, o se sia un impostore). (da sè)

Arlecchino. Lassème veder mia muggier. (con affanno)

Cadì. Tua moglie?

Arlecchino. Lassè che la veda, e po feme impalar.

Cadì. Quella donna che hanno arrestato, è dunque tua moglie?

Arlecchino. Sior sì, la xe mia muggier. (sempre con affanno)

Cadì. È venuta con te?

Arlecchino. Sior no. [p. 133 modifica] Cadì. Sei tu venuto solo?

Arlecchino. Sior no.

Cadì. Chi ti ha condotto?

Arlecchino. El diavolo.

Cadì. O parla e confessa la verità, o preparati di soffrire i tormenti.

Arlecchino. Dov’ei sti tormenti? Animo, destrighève. Feme morir, feme tormentar. Presto, vegnì avanti. Corda, palo, fogo, chiodi, spade, spontoni. Son qua, no me movo. Son desperà.

Cadì. (Costui è sciocco senz’altro. Lo farò morire, ma non merita di essere tormentato). (da sè)

SCENA X.

Corallina da una porta laterale sforzando le Guardie, e detti.

Corallina. Lasciatemi entrare, signor giudice, signor Cadì, scusate la mia temerità. Sono una povera moglie afflitta, che viene in traccia di suo marito. S’egli ha fallato, avrà fallato per ignoranza. Vengo a domandare grazia per lui, e s’egli non può sperarla, s’egli deve morire, voglio anch’io morire con lui.

Arlecchino. (SI confonde e s’intenerisce.)

Cadì. Chi siete voi? Chi è vostro marito? Qual ragione vi ha qui condotti?

Corallina. Noi siamo due poveri paesani, lusingati dall’ambizione, sedotti dal Genio maligno, e precipitati dalla mala condotta. Troppo lungo sarebbe il dirvi quali avventure abbiamo passate, e come qui ci troviamo.

SCENA XI.

Pantalone dalla medesima porta laterale, e detti.

Pantalone. Sior Cadì, ghe domando scusa, se me togo la libertà de intrar.

Cadì. Ad un uomo come voi, non è impedito l’ingresso. [p. 134 modifica]

Pantalone. Son qua a pregarla de metter in libertà sta povera donna. So chi la xe, ho conossudo a Bergamo la so fameggia; la m’ha conta i so accidenti, e la merita compassion. No parlo de so mario; el xe un ignorante, el xe un sciocco. Quel che l’ha fatto, son seguro che nol l’ha fatto nè per disprezzo del liogo dove che el s’ha introdotto, nè con anemo de far del mal; ma ciò non ostante l’ha fallà, el merita de esser castigà, e lo abbandono alla so giustizia e alla so pietà. Ghe domando la donna. La xe innocente. La xe protetta da mi, la xe nata sotto i auspici del mio glorioso Lion. Se la me la dà, la farà un atto de giustizia, la me farà una finezza a mi, e la farà cossa grata a tutta la mia nazion.

Cadì. Rispetto la vostra illustre nazione, ho tutta la stima per voi, desidero compiacervi, ma non posso farlo senza un ordine superiore. Per darvi un segno della mia amicizia, monto le scale in questo momento, vado a parlare per voi. Sarò io lo avvocato della vostra protetta, e saprete in brevi momenti la decisione del nostro Bey, che presiede al governo di questi stati.

Pantalone. La ringrazio, la prego, me raccomando.

Cadì. Resti qui la donna ben custodita, e conducete colui nella torre. (alle Guardie, e parte)

SCENA XII.

Pantalone, Corallina, Arlecchino, Ministri e Guardie.

Corallina. Vi ringrazio, signor Pantalone, della vostra bontà, ma non isperate ch’io di qui parta senza il mio caro marito.

Pantalone. Mi no so cossa dir....

Arlecchino. No, Corallina, no te ustinar per mi. Son mi la causa de tutto. No merito la to compassion.

Corallina. Ma come sei in questo stato? Dimmi... l’anello... non ti ha servito l’anello?

Arlecchino. Nol val più gnente. L’ho voltà cento volte; el diavolo xe tornà a casa soa. [p. 135 modifica]

Corallina. (Se potessi aiutarlo col mio!) (da sè) Dammi la mano. (vuol prendere Arlecchino per mano, le Guardie l’impediscono) Perchè non volete ch’io tocchi la mano a mio marito? (le Guardie non vogliono)

Pantalone. Via, permettèghe almanco sta piccola consolazion. (alle Guardie le quali ricusano, e trascinano a forza Arlecchino verso la scalinata per condurlo nella torre.)

Corallina. Voglio seguitarlo ancor io. (in atto di seguirlo)

Pantalone. Fermève. (arrestandola)

Corallina. Invano mi trattenete. Sappiate che, s’io volessi, potrei in un momento partire e liberarmi da ogni pericolo.

Pantalone. Lo so; m’avè dito che gh’avè un anello....

Corallina. Ma no, amo meglio morire con mio marito che vivere senza di lui. (le Quardie strascinando a forza Arlecchino sulla scalinata, arrivano alla porta della torre e l’aprono per metterlo dentro. Corallina monta anch’essa la scalinata.)

Pantalone. Torna el Cadì. Guardie, fermève, e sentimo l’ordine del Bey. (forte alle Guardie)

SCENA XIII.

Il Cadì e detti.

Pantalone. E cussì, sior Cadì, che bone nove me portela?

Cadì. Il Bey mio signore ha accettato le vostre suppliche, ed ecco quel ch’ei m’impone di dirvi. Rispetta egli la vostra illustre nazione, ammira lo zelo ond’ella s’interessa per i sudditi suoi, con cui favorisce il commercio, mantiene la tranquillità fra’ suoi popoli e la buona corrispondenza co’ suoi alleati. Desidera egli conservare la sua amicizia, ed in prova di ciò, non solamente rende a voi la donna innocente, ma vi regala generosamente anche il colpevole.

Pantalone. Evviva! evviva! Son pien de giubilo e de consolazion. L’assicura el Bey della mia vera riconoscenza, e che scriverò al mio paese, e che in ogni occasion el sia seguro de trovar una simile corrispondenza. [p. 136 modifica]

Cadì. Lasciate il reo in libertà. (alle Guardie, le quali sciolgono Arlecchino e discendono.)

Pantalone. Animo. Vegnì zoso, vegnì a ringraziar el sior Cadì, e mi farò el mio dover col Bey. (a Corallina ed Arlecchino)

Arlecchino. Presto, andemoli a ringraziar. (vuol discendere)

Corallina. Fermati, Arlecchino, e dammi la mano, (lo prende per mano e parla forte dalla scalinata) Ringrazio il Bey, il Cadì, e il signor Pantalone. Ringrazio il cielo che ci ha salvati, che ci ha liberati. Domando scusa, se non discendo. Sono impaziente di riveder la mia patria. Mi servo ora, in compagnia di Arlecchino, di quel potere che senza di lui non curava. Addio, signor Pantalone. Venite a Bergamo, e ci rivedremo. (Batte il piede. Attacca subito la sinfonia piena con trombe e timpani. La scena si cambia in porto di mare, e la torre delle prigioni si cangia in una fortezza che difende il porto. Si vedono vari bastimenti. Arlecchino e Corallina si vedono trasportati in una nave europea, che a vele gonfie parte. Tutti attoniti e sorpresi, facendo maraviglie, partono. Escono da varie parti dei Turchi ballando, e conducendo dei2 Schiavi e delle Schiave in catene con delle Guardie. Dopo qualche piccola danza, viene una Guardia turca a parlare all’orecchio dei Turchi ballerini. Essi corrono al porto. Osservano in mare e fanno maraviglie, come se vedessero un’armata, e mostrano qualche apprensione. Mandano la Guardia alla torre, e dalla torre si fanno alcuni tiri di cannone, e si espone bandiera bianca turca. I Turchi ballerini montano in una saicca turca e vanno in mare. Intanto gli Schiavi e le Schiave in catena ballano fra di loro, custoditi da Guardie.
 Torna poi la saicca turca, e sbarcano i Turchi che invitano i Veneziani armati a discendere. Discesi che sono, e bene accolti dai Turchi, fanno questi sciogliere gli Schiavi, e li presentano ai Veneziani. Segue il ballo allegro, e con questo

Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Sciabole.
  2. Così nel testo.