Il fanciullo nascosto/L'usuraio

L'usuraio

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Il voto La croce d'oro

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L’usuraio.

L’usuraio moriva e le donne avevano mandato a chiamare il prete per confessarlo.

Del resto l’usuraio era stato sempre un buon cristiano; tutti gli anni faceva il precetto pasquale e lo si vedeva spesso in chiesa, inginocchiato sulla panca dei poveri, con gli occhi corrucciati rivolti al grande Crocifisso sopra l’altare: pareva rimproverasse a Cristo di costringerlo a fare quel mestiere. Inoltre aveva preso in casa, facendole venire dal suo paese, un mucchio di nipoti povere, già anziane, superbe, che non trovavano marito perchè quelli che le cercavano erano giovanotti scapestrati o di mala gente, e quelli che volevano loro, nobili spiantati o anche giovani di buona famiglia, pure prendendo denari dall’usuraio, le disprezzavano a causa di questo.

Il vecchio prete andò verso sera, dopo [p. 156 modifica] fatto il giro degli altri ammalati: non aveva fretta, anzi camminava più a stento del solito, appoggiandosi al suo grosso bastone da pastore, e nel salire la scaletta dell’usuraio si fermava stanco ad ogni scalino e col viso basso faceva qualche smorfia di disgusto.

La casa era povera, scura; una casa antica con scalini su e giù ad ogni uscio, le stanze basse, i pavimenti di legno che scricchiolavano. Il caldo torrido di quella sera d’agosto la rendeva più triste. Anche nella camera da letto il mobilio non dimostrava le favolose ricchezze attribuite all’usuraio. Era insomma ancora l’umile abitazione di una ragazza orfana di buona famiglia decaduta, presso la quale, quarant’anni prima, arrivando al paesetto con due o tre pezze di tela e di scarlatto sulle spalle e il metro in mano, da mercante girovago qual’era, l’usuraio aveva preso in affitto una stanzetta sulla strada, per pochi giorni, cioè finchè durava la festa del patrono del villaggio, fermandovisi poi per tutta la vita.

Il vecchio prete riconosceva bene quella camera: era la camera dell’antica padrona; il letto di legno, con una coltre di lana gialla [p. 157 modifica] e nera ricamata come un arazzo e i guanciali di percalle rosso, era lo stesso ch’egli aveva tante volte benedetto, il sabato santo, nel suo giro per le case del paese; l’armadio e la cassapanca gli stessi donde Alessandra Madau prendeva le monete che gettava nel secchio dell’acqua santa e le focacce di pasta gialla che metteva nella bisaccia tenuta dal sagrista. Ma accostandosi al malato, il prete ricordava pure che Alessandra Madau non era morta lì, nel suo letto verginale; l’usuraio, da mercante girovago divenuto proprietario, l’aveva cacciata via dalla casa, comprata da lui, e vi si era messo lui, nel nobile letto, come il gufo nel nido della colomba.

E dava proprio l’idea di un gufo, con quel suo viso perfetto da usuraio, col naso adunco, gli occhi rotondi, sporgenti sul viso pallidissimo, i capelli bianchi arruffati sul cuscino rosso al quale il chiarore di un’antica lucerna d’ottone appesa alla colonna del letto dava un colore di sangue coagulato.

Aveva la febbre alta, ma riconobbe benissimo il sacerdote e gli tese subito la mano come chiedendo aiuto. E il suo viso a poco a poco mutò espressione, a misura che il prete gli [p. 158 modifica] parlava e gli stringeva con più calore la mano: gli occhi si socchiusero, diventarono lunghi, quasi dolci, le labbra, sui denti ancora intatti, ripresero un po’ di colore; il viso bianco si compose, parve una maschera di marmo. Cosa strana: sembrava un altro, quasi giovane, quasi bello.

Il sacerdote lo guardava, senza smettere di stringergli il polso magro dentro il quale pareva scorresse una vena sola, tumultuosa e infocata. E come portati via da quell’onda di febbre mortale anche i pensieri diffidenti e i giudizi aspri del prete si dileguavano: gli rimaneva solo la pietà del cristiano vivo per il cristiano prossimo alla morte.

*

Dopo la confessione l’usuraio tenne ancora stretta nella sua la mano del prete: pareva avesse paura a lasciarlo andare o volesse ancora dirgli qualche cosa.

Di tanto in tanto sollevava un poco la testa bianca, sul cuscino rosso, e guardava verso l’armadio collocato rasente alla finestra ove le mosche, illuse dal chiarore arancione della [p. 159 modifica] luna sorgente, si dibattevano ancora contro i vetri.

Il prete sudava, per il caldo afoso della camera chiusa e per il calore che gl’infondeva la mano del malato. D’un tratto provò un senso di vertigine, gli parve d’avere la febbre anche lui e si sentì gelare il sudore. Uno sportello dell’armadio si era aperto cigolando, e dentro era apparso come un fantasma: una donna che dava le spalle alla stanza, con la gonna nera pieghettata, il giubboncino a falde, il fazzoletto frangiato ricadente fin sugli omeri: Alessandra Madau quale la si vedeva nei giorni di festa, quando andava in chiesa a passi misurati calma e composta come una nobile dama.

Un tremito cominciò a scuotere il malato; il suo viso tornò a farsi brutto, contraendosi come quello d’un neonato che vuol piangere e ancora non sa piangere; e un gemito sottile, un lamento non umano, che rassomigliava al cigolio dello sportello, gli uscì dai denti stretti. Per alcuni momenti lottò contro questo turbamento di cui pareva provasse un’angosciosa umiliazione: poi si lasciò vincere: lagrime e lagrime gli bagnarono il vi[p. 160 modifica]so, gli penetrarono in bocca e nelle orecchie; i denti si aprirono e il prete lo sentì gemere parole insensate.

— Sei lì.... sei ancora lì!... perchè non te ne vai? Vattene, vattene.... sono stanco, non ne posso più.

Poi tacque, si calmò. Si passò le mani sul viso, asciugandosi le lagrime, si palpò a lungo la fronte, le guancie, la bocca, come per rimettere a posto i suoi lineamenti stravolti: non ci riusciva, però, perchè le dita gli tremavano ancora.

Il prete, intanto, per far cessare la causa di tanto dolore, si era alzato e col bastone spingeva lo sportello quasi gli ripugnasse di chiuderlo con la mano; lo sportello però si ostinava a riaprirsi, a ripetere il cigolio, e per mostrarsi solidale, si aprì anche l’altro sportello, con un cigolio diverso, infantilmente beffardo. Il prete allora li spinse tutti e due con le mani, ma appena li lasciò, tutti e due uno dopo l’altro si riaprirono: pareva si divertissero a disobbedire. Incuriosito egli guardò meglio dentro l’armadio; non sentì che un forte odore di canfora e non vide che quel completo costume da donna attaccato [p. 161 modifica] con tanta cura che pareva indossato da un corpo umano.

Finalmente riuscì ad accostare gli sportelli, che a dire il vero non avevano più nè ganci nè serratura, e diede su di essi anche un colpettino col bastone per castigarli: poi tornò verso il letto e si chinò per congedarsi dall’usuraio.

Questi però gli riafferrò la mano, con una stretta tenace.

I suoi occhi guardavano implorando. Infine, che voleva? Aveva tanta paura e tanto rimorso?

— Infine, calmatevi! Che volete? Su, mettetevi in pace con Dio.

— Con lui sono in pace, — mormorò allora il malato; e d’improvviso si alzò sulla schiena e scivolò dal letto.

Il prete se lo sentì addosso, nudo, scarno, tremante e caldo, e lo sostenne sforzandosi a non gridare per non spaventare le donne, di là nelle camere attigue.

— Ma infine.... ma infine?...

— Conducetemi, — pregava il malato; e più che condurlo, il prete si lasciò spingere da lui verso l’armadio. [p. 162 modifica]

Al tremolio dei passi gli sportelli si riaprirono, riapparve il vestito, e l’usuraio senza lasciare di appoggiarsi con una mano al prete con l’altra prese il lembo della gonna e lo baciò, poi se lo passò sul viso, poi cadde in ginocchio e con la fronte battè sul ripiano dell’armadio e parve voler morire così, ai piedi del fantasma.

Il prete lo tirò su, lo riprese fra le braccia e piano piano, sudando, con un senso di ripugnanza e quasi di terrore, e anche con una certa rabbia, lo ricondusse e lo rimise come meglio potè a letto.

L’armadio rimaneva aperto; ed era lui adesso a guardare, a pensare, cercando di rivivere in un tempo lontano. Seguendo il filo dei suoi pensieri domandò infine con velata curiosità:

— Che cosa dunque ci fu tra voi due?

L’usuraio, col capo di nuovo affondato sul cuscino rosso, aveva chiuso gli occhi e pareva tranquillo, ormai in pace con tutti.

— Siamo davanti al mondo della verità, — mormorò. — È stata mia amica, sì. Amica sì, moglie no, non ha voluto. Si vergognava di me. Ero un mercante venuto con le pezze [p. 163 modifica] di tela sulla spalla.... e lei era una nobile! Io le davo denari: per orgoglio lei mi pagava gl’interessi. Poi cominciarono le liti. Lei si vergognava di me. Amica sì, moglie no: poi m’insultava. Io le dissi: ti ridurrò povera, mendicante, così mi sposerai. Fu lei ad andarsene; e più diventava bisognosa più mi disprezzava: poi non volle vedermi più. Io speravo che lei tornasse qui: le tenevo pronto il vestito da sposa. Poi è morta. Così è stato: e nessuno lo ha mai saputo. Ma io.... io sono sempre lo stesso: e lei è sempre stata la padrona qui....

*

Quando se ne andò, il prete chiuse di nuovo l’armadio; ma gli sportelli si riaprirono subito, uno dopo l’altro, e l’odore della canfora uscì come da una porta aperta sul giardino dei morti.