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l’usuraio 159


luna sorgente, si dibattevano ancora contro i vetri.

Il prete sudava, per il caldo afoso della camera chiusa e per il calore che gl’infondeva la mano del malato. D’un tratto provò un senso di vertigine, gli parve d’avere la febbre anche lui e si sentì gelare il sudore. Uno sportello dell’armadio si era aperto cigolando, e dentro era apparso come un fantasma: una donna che dava le spalle alla stanza, con la gonna nera pieghettata, il giubboncino a falde, il fazzoletto frangiato ricadente fin sugli omeri: Alessandra Madau quale la si vedeva nei giorni di festa, quando andava in chiesa a passi misurati calma e composta come una nobile dama.

Un tremito cominciò a scuotere il malato; il suo viso tornò a farsi brutto, contraendosi come quello d’un neonato che vuol piangere e ancora non sa piangere; e un gemito sottile, un lamento non umano, che rassomigliava al cigolio dello sportello, gli uscì dai denti stretti. Per alcuni momenti lottò contro questo turbamento di cui pareva provasse un’angosciosa umiliazione: poi si lasciò vincere: lagrime e lagrime gli bagnarono il vi-