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156 | l’usuraio |
fatto il giro degli altri ammalati: non aveva fretta, anzi camminava più a stento del solito, appoggiandosi al suo grosso bastone da pastore, e nel salire la scaletta dell’usuraio si fermava stanco ad ogni scalino e col viso basso faceva qualche smorfia di disgusto.
La casa era povera, scura; una casa antica con scalini su e giù ad ogni uscio, le stanze basse, i pavimenti di legno che scricchiolavano. Il caldo torrido di quella sera d’agosto la rendeva più triste. Anche nella camera da letto il mobilio non dimostrava le favolose ricchezze attribuite all’usuraio. Era insomma ancora l’umile abitazione di una ragazza orfana di buona famiglia decaduta, presso la quale, quarant’anni prima, arrivando al paesetto con due o tre pezze di tela e di scarlatto sulle spalle e il metro in mano, da mercante girovago qual’era, l’usuraio aveva preso in affitto una stanzetta sulla strada, per pochi giorni, cioè finchè durava la festa del patrono del villaggio, fermandovisi poi per tutta la vita.
Il vecchio prete riconosceva bene quella camera: era la camera dell’antica padrona; il letto di legno, con una coltre di lana gialla