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160 | l’usuraio |
so, gli penetrarono in bocca e nelle orecchie; i denti si aprirono e il prete lo sentì gemere parole insensate.
— Sei lì.... sei ancora lì!... perchè non te ne vai? Vattene, vattene.... sono stanco, non ne posso più.
Poi tacque, si calmò. Si passò le mani sul viso, asciugandosi le lagrime, si palpò a lungo la fronte, le guancie, la bocca, come per rimettere a posto i suoi lineamenti stravolti: non ci riusciva, però, perchè le dita gli tremavano ancora.
Il prete, intanto, per far cessare la causa di tanto dolore, si era alzato e col bastone spingeva lo sportello quasi gli ripugnasse di chiuderlo con la mano; lo sportello però si ostinava a riaprirsi, a ripetere il cigolio, e per mostrarsi solidale, si aprì anche l’altro sportello, con un cigolio diverso, infantilmente beffardo. Il prete allora li spinse tutti e due con le mani, ma appena li lasciò, tutti e due uno dopo l’altro si riaprirono: pareva si divertissero a disobbedire. Incuriosito egli guardò meglio dentro l’armadio; non sentì che un forte odore di canfora e non vide che quel completo costume da donna attaccato