Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?/4
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 3 | 5 | ► |
Le antiche vie di comunicazione
attraverso gli elevati valichi alpini
Giustamente il Vaccarone nell’introduzione al suo ben noto studio su «Le vie delle Alpi Occidentali negli antichi tempi» ebbe a dire che «nelle Alpi c’è sì gran numero di tradizioni intorno all’esistenza di vie praticate anticamente ed ora scomparse, che per enumerarle tutte converrebbe scrivere volumi» [90].
Ed in tali vie, alcune delle quali sono ora coperte da ghiacciai e che comunque in generale sono abbandonate dal traffico, si credette di avere la prova sicura per dimostrare che in epoca storica relativamente recente i ghiacciai erano meno estesi di oggidì. Non mancarono tuttavia i critici che negarono tali deduzioni, non potendosi dare a quelle tradizioni alcun maggior valore di quanto si possa attribuire alle comuni leggende. Basti in proposito citare il giudizio che di esse ha dato il Richter [72] il quale così concluse la sua critica scientifica sulle tradizioni relative ad una minor estensione delle masse glaciali anteriormente al XVI secolo: «Es liegt keine einzige wirklich gut beglaublgte Nachricht vor, welche uns nöthigen würde anzunehmen dass in historischer Zeit vor dem 16 Jahrhundert, die Alpengletscher dauernd kliener gewesen seien als jetzt».
Anzi data la scarsità di documenti scritti, il che ci sembra una conseguenza naturale per quei antichi tempi, è invalsa fra gli studiosi la credenza che molti degli elevati valichi, ad esclusione di quei pochi come il Grande e Piccolo S. Bernardo già conosciuti dai romani, non solo non siano stati percorsi dai montanari ma la cui esistenza non era nemmeno ad essi nota.
Una tale affermazione ci sembra inesatta, direi quasi un controsenso, perchè non è ammissibile che presso un popolo possa essere nata la tradizione del passaggio d’un determinato valico senza averne preventivamente conosciuta la sua reale esistenza. Era invece la gente del piano e per essa l’elemento colto in grado di redigere una relazione, che non conosceva affatto le Alpi perchè non le aveva mai percorse. Ben lo comprovano i primi scritti sulle Alpi i cui autori si sono fondati in massima parte sulle informazioni avute dagli stessi montanari nello stendere le loro descrizioni.
Persuasi che le tradizioni dei nostri montanari, anche se talora un po’ esagerate o alterate con l’andar dei secoli, abbiano un fondo di verità riteniamo di poter pienamente condividere l’idea espressa da Coolidge che «les détails relatifs à certaines cols de glacier donnent à penser que, selon toute probabilité, des plus approfondies, avee ici et là des trouvailles heureuses pourraient augmenter le stock de nos connaissances sur ce chapitre. Ils rendent très vraisemblable en outre que les montagnards ont connaitre de longue date un nombre de cols de glacier beaucoup plus grand qu’on ne le croit communément» [15].
Aggiungeremo che i montanari dovevano indubbiamente conoscere e praticare sopratutto i valichi che mettevano in diretta comunicazione i centri di testata delle rispettive valli opposte del crinale alpino, perchè si ha ragione di ritenere che — data la mancanza delle attuali grandi vie di comunicazioni che hanno complicato e deviato il movimento dei traffici — le relazioni commerciali fra i detti centri dovevano essere assai attivi appunto perchè effettuabili per la via più diretta, più rapida e più sicura anche se questa presentava qualche difficoltà.
Del resto le valli alpine verso lo sbocco non presentavano condizioni di viabilità più comode essendo pur esse dotate di semplici mulattiere, poco dissimili dai sentieri che valicavano i colli; per conseguenza come ben dice il Vaccarone «non ci andò molto a comprendere che per passare da una valle in un’altra contigua, la via più breve non era quella di scendere al loro sbocco ma di rimontare i torrenti fino alle sorgenti».
Ma a parte la questione della conoscenza e dell’uso dei valichi da parte dei montanari, sulla quale non ci dev’essere alcun dubbio, rimane a risolversi il ben più grave problema se l’abbandono delle antiche vie praticate attraverso i valichi nel medio-evo è da considerarsi unicamente come un fenomeno antropogeografico, come crede il Kinzl, in dipendenza della apertura delle grandi vie di comunicazioni che col facilitare i traffici transalpini ne modificarono poco per volta le relative direttrici, o se invece esse andarono gradatamente in disuso per l’aumentare delle difficoltà di transito in conseguenza dell’estendersi dei nevai e delle masse glaciali.
Non è da escludersi che in qualche caso particolare i due fenomeni abbiano potuto concorrervi entrambi contemporaneamente, ma in linea generale si ha ragione di ritenere che il secondo fattore abbia prevalso sul primo e ciò per il semplice fatto che l’aumento delle masse glaciali, essendosi iniziato verso la metà del XVI secolo, ha preceduto di molto la grande trasformazione nell’economia montana i cui primi sintomi si sono avuti soltanto nel corso del XVIII secolo.
Ma al riguardo riteniamo di fare un altro rilievo di interesse ancor maggiore ai fini delle nostre indagini. In tutte le opere dei primi autori che trattano delle Alpi in genere e comparse nel XVI secolo (Tschudi [86], Stumpf [83], Munster [65], Simler [79], ecc.), troviamo ricordati e descritti anche dettagliatamente parecchi valichi anche i più elevati come le dirette vie di comunicazione fra le valli contigue; altrettanto si può desumere dagli antichi documenti principalmente del XIII secolo a tutto il XVI. Ma, nè nei primi nè nei secondi, è fatto cenno che i passi siano stati abbandonati o che comunque fossero poco praticabili.
Si è soltanto nel XVII secolo con l’Arnod [5] e nel XVIII con Scheuchzer [75], Tillier [84], Gruner [44], De Saussure [23] che vengono specificatamente rilevate per la prima volta le non poche difficoltà di transito attraverso molti valichi per l’aumento delle masse glaciali.
Ma è sopratutto nella letteratura della prima metà del secolo scorso col Durandi [28], Schott [78], Engelhardt [29], Fröbel [36], Forbes [31, 32], La Sarraz [37], Schiner Hildebrand [76], Desor [25], Agassiz [1, 2], Godeffroy [39], Wyss [97] ed in particolare col Venetz [92] che noi vediamo riportate qua e là le varie tradizioni locali sulla maggior frequenza di transito in epoca passata attraverso molti valichi resisi impraticabili in seguito all’aumento dei ghiacciai.
E molte di quelle vie attraverso i colli erano anche dotate di ottime mulattiere in parte lastricate come comprovano le relative vestigie, che, nonostante l’enorme distruzione operata dal gelo e disgelo nel corso di tanti secoli, si sono conservate qua e là. Così dicasi delle mulattiere che dalle valli di Lanzo per i colli dell’Alteretto e d’Arnas conducevano alla Moriana, quella attraverso il Colle della Seigne, quelle che da Ollomont e da Prarayé comunicavano rispettivamente per il Colle di Fenètre e per il Col di Collon con la valle di Bagnes e con Evolena in Val d’Herens, nonchè quelle, per non citare che le più importanti, che per il Colle del Teodulo e per il Monte Moro portavano rispettivamente dalla Valtournenche e dalla Valanzasca nelle Valli di Zermatt e di Saas.
Il traffico attraverso il Monte Moro (2862 m.) doveva essere molto attivo nel medio-evo come risulta da un titolo del 1219 che lo dimostra già frequentato in quest’epoca [37] e dalla pergamena del 30 maggio 1403 [6], epoca in cui venne decretata la ricostruzione della strada del Monte Moro fra gli abitanti della Valanzasca e del Vallese, tenendosi a Macugnaga (Pecetto) dal 16 al 31 agosto una fiera per antichissima concessione, fiera assai frequentata specialmente dagli abitanti del finitimo Vallese, il quale vantava dei diritti su di essa probabilmente perchè vi era stata trasferita dalla valle del Visp. Alla pergamena del 30 maggio 1403, citata dal Belli, verosimilmente si riferisce pure, per quanto non vi sia perfetta concordanza di data, Peter Joseph Zurbruggen (= Zurbriggen) nella sua cronaca «Die Geschichte des Thales Saas aus etlich hundert Schriften zusammengetragen». Dice questa cronaca: «1440 wurde von den Saasern und denen von Antrona die uralte Strasse über den Berg hergestellt: beide mussten ihren Teil erhalten bis auf den Gipfel des Berges». E più oltre: «Auf Antrona und Makugnaga passirte man vor Zeiten häufig mit Pferden, mit allerhand Vieh und vielen Kaufmannswaren, und wurden schon im Jahr 1440 uralte Pässe genannt».
L’intenso traffico anche di merci, citato dal Zurbriggen, verrebbe anche comprovato dalla informazione datami dal cav. Pala di Macugnaga, appassionato studioso di quella regione, che ancora oggidì a ponente del Tannbach, nel punto in cui la strada del nostro colle raggiunge il fondo valle, esiste una roccia chiamata Ross Tschiuke ( = roccia dei cavalli), perchè ivi sostavano le bestie da soma sia nell’andata che nel ritorno per il colle.
Attualmente, per quanto i ghiacciai risultino in così forte regresso come non si era mai verificato da molti secoli, sarebbe già di per sè un’impresa non facilmente attuabile il far transitare anche isolatamente un bovino oppure un mulo col proprio carico. Per conseguenza se si pensa che per contro dal XIII secolo fino certamente a tutto il XV vi transitavano centinaia di capi di bestiame e diecine di bestie da soma, non si può fare a meno di ritenere che le condizioni climatiche di allora fossero sensibilmente diverse.
Un identico confronto si può trarre per il colle del Teodulo (3322 m.) che fin da epoca indeterminata ed in modo certo nel XII secolo [84] e nel XIII [43] fu uno dei più importanti e più frequentati valichi fra la valle d’Aosta ed il Vallese, specialmente per il commercio del bestiame: tanto che, secondo la tradizione un tempo era cosa tutt’altro che rara vedere transitare carovane intere di 25-30 muli [74].
Indipendentemente dai vari oggetti che vi furono trovati, monete, lancie, ferri da cavallo ecc., riportati dal Coolidge [17], vogliamo soltanto far rilevare la profonda differenza di giudizio che sulla sua viabilità ne danno lo Tschüdi e l’Arnod. Lo Tschudi — ben noto per l’esattezza delle sue descrizioni e dalle cui opere attinsero si può dire la maggior parte dei successivi autori — nella sua opera «Gallia Comata» (terminata prima della sua morte nel 1572, ma pubblicata solamente nel 1758) parlando del nostro colle che deve aver visitato verso il 1528, dice che in «estate si può sempre attraversarlo senza timore sia a cavallo che a piedi» [86].
L’Arnod [5] invece nella sua relazione del 1694 afferma che il valico è «trés difficiles à cause des crevasses», ciò nondimeno si può attraversarlo ma «non sans danger à cause de l’intempérie de l’air et des crevasses fréquentes qui obbligent les passants à porter des aix pour le traverser».
Se le due descrizioni sono esatte, ossia corrisposero alle reali condizioni del ghiacciaio dei rispettivi periodi, bisogna dedurre che queste fossero profondamente diverse. Ed infatti, come vedremo in seguito, i ghiacciai raggiunsero un grande sviluppo soltanto dopo la fine del XVI secolo.
Nè in modo migliore dell’Arnod si espresse poco meno di un secolo dopo il Gruner [44] nel 1760 dicendo che per portarsi da Praborna (Zermatt) a Valtournenche bisogna attraversare «un gran campo di ghiaccio che ora monta ed ora discende e che è intersecato da crepacci che sono assai faticosi e pericolosi per i viaggiatori».
Il colle del Teodulo ha avuto anticamente nei rapporti tra il Vallese con la valle d’Aosta una importanza ben maggiore di quanto si potrebbe sospettare essendo stato conosciuto anche dalle popolazioni di quelle valli che non comunicano direttamente con essa. Infatti esso rappresentava per così dire il punto di congiunzione di molte vie tanto dal nord che dal sud. Per esso erano obbligati a passare non solo quelli che provenivano direttamente da Zermatt, ma anche quelli dalla valle d’Herens per il colle omonimo, dalla valle d’Anniviers e dal Turmanntal per il Col Durand. D altra parte dal sud vi convenivano oltre quelli della Valtournenche, anche i montanari della valle d’Ayas per le Cimes Blanches ma sopratutto i tedeschi del Krämertal (= Val di Gressoney) [16].
Ed ora esaminiamo le vicende dei Colli Fenêtre (m. 2812), Collon (m. 3132) e d’Herens (m. 3480) che presentano un interesse del tutto particolare per le deduzioni di notevole importanza che se ne possono trarre. La documentazione che comprova come questi colli fossero in passato molto frequentati e di facile accesso è veramente abbondante ed a mio parere inoppugnabile.
L’Alpe di Chermontana alla testata della valle di Bagnes, ha appartenuto fin dal XIII secolo ai Conti (poi Duchi di Savoia) che la diedero in feudo a diversi Signori della valle d’Aosta i quali a loro volta la subaffittarono a pastori valdostani [18]. Questi per recarsi ad usufruire i pascoli della predetta alpe dovettero necessariamente attraversare col loro bestiame e relative masserie il Colle di Fenêtre e ciò non meno di volte per ogni anno: nell’andata al principio dell’estate ed alla fine per il ritorno ai quartieri d’inverno. I Vallesi, mal sopportando il possesso dell’alpe da parte dei Valdostani, più volte si permisero di utilizzare questi pascoli, donde continue liti — terminate nel 1576 con la rinuncia dei Valdostani al possesso dell’alpe — dimodochè il nostro colle ha dovuto essere abbastanza frequentato dai Valdostani [14] (vedasi in proposito anche il brano di Boccard: Histoire du Valais. pagg. 182-187 riportato «Boll. C.A.I.», n. 65).
Del resto anche le relazioni commerciali fra la valle di Ollomont e quella di Bagnes dovevano essere molto intense come risulta da documenti trovati nell’archivio del comune di Bagnes relativi al libero transito per il colle Fenêtre concesso dai Duchi di Savoia al detto comune (Chan. De Rivaz: Documents diplomatiques). Le dette comunicazioni erano anche facilitate da una grande strada le cui vestigie sul versante di Ollomont sono state trovate e descritte dall’abate Henry [46]. Da tutto ciò bisogna dedurre che le condizioni del terreno si presentassero relativamente facili per il transito attraverso il colle.
In seguito a partire dal XVII secolo, e forse prima ancora, esse dovettero mutare di molto, determinando il suo graduale abbandono. Infatti l’Arnod [5], che salì al colle poco prima del 1694 dice: «par ce passage de Fenêtre l’on y va avec des montures à demi charge, mais le glassier se rend toujour plus difficile et dangereux». Dunque il ghiacciaio andava sempre più aumentando e pare anche che ostruisse in parte il valico, fatto che non si verifica più al presente.
Poco meno di un secolo dopo il Bourrit [8, 9] che raggiunse il culmine del colle tra il 1775 ed il 1778 parlando della strada che porta a Chermontana dice che essa non è praticabile «que pendant quinze jours dans toute l’année». Anche Ebel nel 1793 [18] afferma che questo valico è praticabile soltanto quattordici giorni all’anno e che è pericoloso e terribile. Nè in termini migliori si esprime Hildebrand Schiner nella sua Description du Departement du Simplon del 1812 [76].
Se nei secoli precedenti al XVII le condizioni del nostro colle non fossero state realmente più favorevoli a quelle che ci vengono descritte dall’Arnod e dai successivi autori, ci sembra in verità che sarebbe stata superflua la concessione fatta ai Vallesi del libero transito attraverso il colle per il commercio col Piemonte, nè avrebbe avuta alcun fine la costruzione della relativa strada. Tanto meno poi sarebbe stato possibile ai pastori Valdostani di valicare il colle due volte per anno per portarsi all’alpe Chermontana col numeroso bestiame e le altre impedimenta, se il transito avesse potuto effettuarsi soltanto per due settimane, periodo troppo breve per permettere di usufruire interamente dei pascoli dell’alpe.
Al riguardo ci sembra quanto mai significativo il fatto che i Valdostani abbiano lasciato cadere e il processo e le loro pretese sui pascoli di quell’alpe soltanto nel 1576, ossia proprio verso l’epoca dell’inizio del progresso glaciale, che, come vedremo, ebbe un suo primo grande massimo ai primissimi del XVII secolo. Non è quindi da escludersi che le sempre maggiori difficoltà di transito abbiano indotto i Valdostani ad abbandonare i loro diritti sull’alpe.
Ma in proposito è ancor più istruttiva la interessante stona dei colli della testata della Valpelline propriamente detta dei quali si hanno ampie e documentate notizie [18, 19, 66].
Da documenti conservati negli archivi di Evolena in Valle d’Herens risulta che i Conti di Savoia avevano concesso al detto comune, come per quello di Bagnes, libero transito in Piemonte attraverso i colli des Bouquetins (3418 m.) e di Collon (3132 m.) [88]. Ciò vuol dire che vi doveva essere un traffico commerciale abbastanza attivo sia in un senso che nell’altro e per conseguenza doveva pure esservi una strada della cui esistenza, come si vedrà, si hanno anche delle prove documentate. Gli abitanti d’Evolena si recavano per la vendita e l’acquisto di bestiame ad Aosta sul cui mercato avevano un posto fisso chiamato Marché d’Herens [36] come pure a Bionaz per fare riposare il bestiame durante la notte [19]. Anche gli abitanti di Valpelline avrebbero avuto un posto al mercato di Evolena.
Secondo il canonico Marguerettaz [12] esisterebbe nel comune di «Herin un titre» (probabilmente Evolena) nel quale si parla anche d’una grande fiera che si teneva a Prarayé, allora abitato tutto l’anno da numerose famiglie e dove esistevano anche dei campi e dei molini. A questa fiera convenivano col loro bestiame dal nord le popolazioni di Evolena e da sud quelle della Valtournenche e di Torgnon per il colle di Chavacour; i resti di questa mulattiera, in parte pavimentata, sarebbero tuttora conservati qua e là.
Anche da documenti conservati negli archivi vescovili di Sion, si può desumere che detta strada, risalendo il vallone per il Col Collon continuava fino ad Evolena. Era questa non solo una via commerciale ma anche militare. In valle d’Herens l’alpe di Arolla confinante con quella di Prarayé ha appartenuto fin dal XIII secolo ai Conti di Savoia ed è restata ad essi fino al 1475 in cui i Vallesi si sono rivoltati contro i Duchi di Savoia e si sono resi indipendenti. I Conti (e poi Duchi) di Savoia per esercitare il proprio dominio sui loro poco fedeli e turbolenti sudditi Vallesi dovevano necessariamente passare per Prarayé ed il Col Collon e quindi provvedere alla manutenzione della strada per il passaggio delle truppe [66].
Acquistata la propria indipendenza, per impedire o meglio per rendere più difficile il passaggio delle truppe del Duca, nel caso che questi avesse tentata la riconquista dei suoi antichi domini, il 25 gennaio 1517 i Vallesi riuniti in numerosa assemblea a Sion decisero di bloccare e distruggere la strada fino al colle. Ecco il testo della decisione: «Quod transitus ex valle de Hérens per ipsarum alpes et montes ad locum vallis Pellinae tendens versus vallem Augustae debeat removeri, cassari, annullari, ac ruinari, ut nemo ultro illic transire possit». Nel 1525 questa decisione fu nuovamente ricordata a varie riprese dal Consiglio di Stato del Vallese agli abitanti d’Herens ai quali era anche rigorosamente interdetto dall’usare ulteriormente il valico del Collon [19].
I fatti suesposti dimostrano che almeno dal XIII secolo fino al principio del XVI le condizioni del nostro colle dovevano essere ben diverse da quelle attuali in cui non solamente il valico, ma anche entrambi i versanti, ed in particolare quello settentrionale, sono coperti da estesi ghiacciai.
Quello che nella prima metà del XVI secolo non fecero o non riuscirono a fare i Vallesi per la distruzione della strada onde impedire le comunicazioni e in particolare la venuta delle truppe Savoiarde, lo compirono poco più tardi i ghiacciai. Infatti l’Arnod nella più volte citata relazione del 1691-94, dopo aver descritta la valle d’Herens continua «Et poursuivant d’environ d’une heure de chemin par des lieux estroits et précipiteux l’on y trouve le mesme grand glassier d’Otemma, par lequel il faut grimper pour venir à la sommité de la traitte de trois heures de chemin, tout par des crevaces, précipices et dangers, en sorte que encor qu’on y passé quelques betail cella n’a pas esté fréquent, et celuy qui s’etoit hasardé une fois n’y retourne pas la seconde, puisque les personnes mesmes ont peine d’en sortir à cause des tours et détours que causent les crevaces et fentes du glacier, et si le mauvais temps s’y donnoit il faudroit y périr. A la sommité qui fait les confins des Estats discontinue le glacier et s’appelle Orein, où l’on a fait une guérite qui est inutile à cause qu’en hiver elle se remplit de neige par le vent, la quelle se rendant en glace au printemps ne se dissipe point en esté. Depuis la sommité recommence le glacier avec une rude descente tirant à droitte contre un gran mont, avec des grands dangers pendant une heure, et depuis le glacier pendant une heure aussy par des mauvais chemin tirant au midy l’on y trouve le village de Prarayé».
Quale profondo contrasto! Se anche anteriormente al XVII secolo le condizioni del colle fossero state uguali a quelle che vengono descritte dall’Arnod ci si potrebbe porre la domanda se sarebbe stato possibile e veramente necessaria, come dicemmo dianzi, la costruzione e relativa manutenzione d’una strada mulattiera e se sarebbe stato fattibile tutto quel gran passaggio di uomini, truppe, bestiame con relativa fiera alla testata d’una valle alpina a 2000 metri d’altitudine, tutt’intorno chiusa da una elevata muraglia coperta in gran parte da ghiacciai e da nevai e per le cui finestre di Collon e des Bouquetins non passano ormai più che alpinisti e... contrabbandieri!
Le conclusioni alle quali siamo pervenuti per il Colle Fenêtre a maggior ragione si debbono trarre per i colli dell’alta Valpelline e per il Col Collon in particolare, che ancora oggidì, pure in così profondo periodo di regresso, è coperto da una ininterrotta massa glaciale e che si raggiunge dal versante settentrionale percorrendo quasi per intero il grande ghiacciaio di Arolla. Non possiamo quindi condividere l’idea del Kinzl (op. cit., pag. 380) che la diminuzione del traffico attraverso questi colli debba considerarsi semplicemente come un fatto antropogeografico, essendo stata imposta dalle difficoltà di transito per l’aumento delle masse glaciali.
In questa zona delle Alpi, ma a nord e leggermente fuori della catena spartiacque principale si trova ancora il Col d’Herens (m. 3480) il più elevato di tutti quelli finora esaminati, completamente ghiacciato mentre immensi ghiacciai si estendono pure su entrambi i versanti. Mentre oggidì è quasi ignorato e percorso soltanto da qualche alpinista, nella storia del medio-evo ebbe invece a rappresentare una parte molto importante, diremo quasi eccezionale, non solo per le dirette comunicazioni tra Zermatt e la vai d Herens, ma anche tra le valli d’Herens e d’Anniviers e persino della Turtmannthal con la Valtournenche come ha ben messo in evidenza il Coolidge in due interessantissimi articoli [16, 20].
Già nella prima metà del XVI secolo lo Tschudi nella sua Gallia Comata e lo Stumpf nella sua Chronik ricordano in modo ben chiaro, senza dargli un nome specifico, il Col d’Herens come il passaggio più diretto per recarsi dalla valle d’Aosta attraverso il Colle del Teodulo e Zermatt nella valle d’Herens e a Sion. Nel XV secolo il transito per esso doveva essere ancora assai frequente come ebbe ad affermare un anonimo autore di un articolo comparso nel Journal de Lausanne del 1791: «Dans le quinzième siècle encore, les alliances mutuelles entre ceux de la Vallée de Viége et d’Ivolena étaient si fréquentes que le curé de St. Martin était obligé d’entretenir un Recteur allemand, et Ivolena compte encore aujourd’hui plusieurs familles sorties de Zermatt» [4, 26]. Le citate emigrazioni attraverso il Col d’Herens di famiglie tedesche di Zermatt stabilitesi nei dintorni di Evolena devono essersi verificate certamente dal principio del XIV secolo, perchè nei documenti conservati negli archivi parrocchiali di S. Martin i nomi di casati di Zermatt compaiono ad Evolena per la prima volta nel 1358 e successivamente nel 1585 [74]. Nel 1443 un’intera colonia di Zermattesi col proprio bestiame e relative masserizie andò a stabilirsi alla frazione Villa di Evolena. Il Ruden nella sua citata opera informa ancora che le famiglie tedesche di Zermatt nella valle d’Herens erano talmente numerose che il vescovo di Sion, in seguito a loro domanda scritta in data 14 aprile 1364, ebbe ad ordinare al curato di S. Martin — come risulta da un documento in data 19 giugno 1455 al quale probabilmente ebbe a riferirsi l’autore del sopracitato articolo comparso sul Journal de Lausanne — di provvedere che sia nominato un capellano che conosca la lingua tedesca e che doveva risiedere oltre Evolena1.
Una interessante conferma sulle dirette comunicazioni di Zermatt e la valle d’Herens risulterebbe ancora dai pelligrinaggi che gli abitanti di Zermatt facevano ogni anno a Sion. Trascriviamo le informazioni date al riguardo dal curato Ruden e riportate pure dal Coolidge nel suo studio sul Colle d’Herens. «Secoli fa la vallata di Zermatt ha assai sofferto per tempeste e tormenti. Gli abitanti di Zermatt dunque fecero un voto d inviare ogni anno a Sion il curato ed otto uomini per visitarvi tre chiese, a ciascuna delle quali essi dovevano fare un’offerta in denaro. Ma siccome questa processione non si potè fare che con le più grandi difficoltà, il vescovo di Sion e le genti di Zermatt fecero un accordo (datato col 20 maggio 1666) secondo il quale la processione si sarebbe fatta ogni anno solamente fino al casale di Täsch (borgata situata a 6 km. a valle di Zermatt) dove diversi canoni dovevano esser pagati, e ancora una certa somma alle tre chiese di Sion».
È da ritenersi che la via seguita sia stata quella per il Colle d’Herens, come ammette il Venetz, perchè la più diretta per portarsi a Sion. A tale conclusione si deve inoltre logicamente pervenire per l’accenno fatto nell’accordo sulle grandi difficoltà che comportava il viaggio da Zermatt a Sion, perchè in verità non si saprebbe immaginare quali «difficoltà» potevansi incontrare percorrendo invece la valle fino a Visp e di là a Sion. Le cause che hanno per così dire determinato la stipulazione del predetto accordo vengono per altre considerazioni a confermare che la via seguita in tale pellegrinaggio sia stata realmente quella per il Colle d’Herens.
Se soltanto nel 1666 si venne al predetto accordo perchè il pellegrinaggio «non si potè più fare che con le più grandi difficoltà» bisogna dedurre che queste non esistessero in precedenza e che le medesime non possano certamente esser sopravvenute lungo la valle del Visp ma soltanto attraverso il colle. Ora la sola causa verosimile che può aver determinata una maggiore difficoltà di transito dev’essere stato un eccezionale aumento delle masse glaciali.
È risaputo che i ghiacciai ebbero un primo grande massimo ai primissimi del XVII secolo e per conseguenza circa un cinquantennio prima dell’avvenuto accordo. Ciò ha indotto il Kinzl a negare alcun valore a questo pellegrinaggio a favore dell’ipotesi d’un precedente più facile accesso al Col d’Herens. Non condivido l’idea del Kinzl. È assai probabile che per molti anni, allorchè si fecero troppo grandi le difficoltà per attraversare il colle, i Zermattesi abbiano compiuto il pellegrinaggio soltanto saltuariamente, interrompendolo in seguito del tutto. Tale interruzione ed in particolar modo la mancata offerta di denaro, avrà indotto il vescovo di Sion a fare le dovute rimostranze. E così tra discussioni, sopraluoghi e preleminari accordi fino alla stipulazione dell’accordo definitivo, possono benissimo esseri trascorsi una sessantina d’anni e forse anche più, che invero non sono poi molti per quell’epoca. Del resto quante controversie si sono trascinate anche per secoli prima della loro risoluzione!
Il Fröbel [36] racconta di aver saputo dalla guida che nel 1839 l’accompagnò nell’alta valle d’Herens che al ghiacciaio di Ferpècle erano stati trovati dei ferri di cavallo e delle punte di alabarda. Tali ritrovamenti se realmente avvenuti, verrebbero a comprovare direttamente la frequenza e la facilità di transito del valico. Vuolsi anzi che fosse già conosciuto dai Romani che vi passarono con le loro legioni e ciò in base ad una moneta romana che sarebbe stata trovata da un turista all’Alpe Bricolla alla testata della val d’Herens (notizia che il Fröbel dice di aver avuta dalla stessa guida), nonchè dall’iscrizione pure romana col nome di Catullo rinvenuta nel 1790 presso la morena destra del ghiacciaio di Ferpècle a monte della medesima alpe Bricolla [4]. Facciamo però notare che questa iscrizione, la cui autenticità è stata messa in dubbio, non fu mai più rivista da alcuno.
Ciò nondimeno torna interessante in proposito la notizia data dal curato Berclaz di Evolena al Coolidge [20] che una strada doveva passare in quella regione perchè sussiste ancora nei pressi di La Sage a monte di Evolena un pezzo di strada che porta il nome assai significativo di «Via Antiqua».
Abbiamo già ricordato, come risulta da documenti conservati negli archivi parrocchiali di Evolena, che i Conti di Aosta avevano concesso a quel Comune la libertà di transito commerciale con la valle d’Aosta per il Col Collon ed il Col d’Herens (passando successivamente il Colle del Teodulo come abbiamo detto sopra). Se all’epoca della concessione il valico d’Herens fosse stato ghiacciato su entrambi i versanti come tutt’ora una tale concessione sarebbe incomprensibile.
Anche il vicino Col Durand (m. 3474) alla testata della valle d’Anniviers pare che fosse pure frequentato prima dell’avvenuto aumento dei ghiacciai e non tanto per le dirette comunicazioni con la valle di Zermatt quanto in particolare per i rapporti col Piemonte passando successivamente il Colle del Teodulo. Dice in proposito lo Studer [81, 82] di aver appreso nel 1835 da pastori dell’alpe Arpitetta, posta alla testata della valle d’Anniviers (Zinal), che «negli antichi tempi era praticato un passaggio per il ghiacciaio di Durand che conduceva ad Aosta»; (senza dubbio dopo il Col Durand passando il Colle del Teodulo). Nel 1839 il Fröbel racconta che la guida che l’accompagnava nella sua visita alla valle d’Anniviers ebbe a dirgli che «i ghiacciai si sono avanzati molto in questi ultimi anni poichè un tempo si poteva portarsi facilmente da questa valle in Italia» [36].
Anche Ruden, il curato di Evolena già più volte citato, ricorda che secondo la tradizione le comunicazioni tra la valle di Zmutt con quella d’Anniviers e d’Herens erano un tempo meno difficili; che i montanari d’Anniviers con le loro bestie da soma hanno attraversato la cresta a NE della Dent Blanche e si sono portati nella valle d’Aosta per procurarsi delle provvisioni. A conferma ricorda che alla montagna Schönbühl, posta sotto il Col Durand sul versante di Zmutt, esiste una località che ancora oggidì si chiama balma degli Anniviardi.
Ancora il Jegerlehner, nella sua piccola Guida della valle d’Anniviers del 1904, riferisce che a più riprese i vecchi d’Anniviers gli ebbero a dire che in altri tempi mercanti di bestiame con vitelli erano venuti dalla Valtournenche nella valle d’Anniviers (evidentemente passando prima il Colle del Teodulo e poi per il Col Durand).
In tutte queste tradizioni della valle d’Anniviers appare singolarmente interessante e degno di particolare rilievo il fatto che si accenni sempre a dei rapporti con una valle che non confina direttamente con essa ma che si può raggiungere soltanto dopo aver attraversato il Colle del Teodulo. Ora tutto ciò, oltrechè confermarci sotto certi rispetti la fondatezza di tali rapporti, fa dubitare che molto probabilmente dopo il passaggio del Col Durand ci si portava al Colle dei Teodulo e quindi alla Valtournenche tenendosi molto alti ossia senza scendere a Zermatt.
Se si pensa che i Colli d’Herens e Durand sono tutt’ora dei veri valichi glaciali di accesso tutt’altro che facile e che ciò nondimeno furono realmente, come pare probabile, conosciuti e praticati negli antichi tempi, non dovrebbero poi sembrare tanto assurde e da relegarsi del tutto fra le leggende anche le tradizioni relative al transito del colle del Gigante (m. 3323) al Monte Bianco tra Courmayeur e Chamonix, del Felikjoch (m. 4068) tra Gressoney e Zermatt [63] ed il Colle delle Loccie (m. 3353) al Monte Rosa tra Alagna e Macugnaga [28]. E così dicasi ancora del Mönchsjoch (m. 3560) tra Grindelwald e Fiesch nel Vallesc già citato dal Venetz e riesaminato dallo Studer [81].
Il Venetz ricorda pure che dalla valle di Lötsch a Gaster nell’Oberland Bernese anticamente esisteva una strada mulattiera — successivamente ostruita in parte dalla massa glaciale — della quale erano state trovate le relative vestigie. E così ancora nella Turtmannthal sarebbero stati scoperti grandi tratti di una strada pavimentata che dai maggenghi di Gruben e Meiden di detta valle conduceva alla contigua valle del Visp attraverso l’Augstbordpass, ora coperto su entrambi i versanti da ghiacciai morenici o rocciosi che dir si voglia.
Secondo un’antica «Cronaca» di Galtur nella valle di Paznaun, una strada portava da Guarda nell’Engadina all’alpe Vermunt attraverso il passo omonimo (m. 2789). Nel 1622 la popolazione dei Grigioni la manomesse onde rendere difficile il passaggio alle truppe austriache. Dice la cronaca che una tale fatica poteva essere risparmiata poichè poco dopo la strada ed il passo vennero ricoperti dal ghiacciaio che, come è noto, ancora attualmente si estende per circa 4 km. dal colle di Vermunt verso l’alpe omonima. Il traffico attraverso il passo doveva essere molto attivo, prima che il ghiacciaio lo ostruisse. Esiste ancora una località detta Schweizerboden dove annualmente, prima dell’ostruzione del valico, si teneva una grossa fiera di bovini e di cavalli; nelle vicinanze esisteva pure una locanda della quale sono ancora visibili gli avanzi [45].
Del resto si sa che Galtur [15] soltanto nel 1383 fu autorizzato di avere un proprio prete per il servizio della chiesa costruita nel 1359 mentre fino allora esso dipendeva dalla parrocchia di Ardez nell’Engadina. La ragione di questa separazione fu dovuta alla difficoltà delle comunicazioni tra le due località durante l’inverno attraverso il passo di Futschöl, pur esso ora ghiacciato e che avendo un’altitudine di m. 3773, risulta soltanto di pochi metri meno elevato di quello di Vermunt.
Prima di chiudere questo capitolo mi sembra ancora opportuno di ricordare una convenzione citata dal Durandi [28] del 31 agosto del 1270 tra Ibleto Visconte di Aosta e Signore di Challant per sè ed i suoi uomini e la Curia superiore ed inferiore e gli uomini della Valsesia, conclusa in particolar modo per difendersi dalle depredazioni e dalle violenze che gli uomini della Valanzasca commettevano sui villaggi e sulle alpi della contigua Valsesia spingendosi anche nelle valli del Lys e di Challant. In detta convenzione i Valsesiani s’impegnavano di catturare i predoni e di ritogliere loro la refurtiva «salvo tamen» che i medesimi passassero sopra «Molera Alagnae, et sicut confinit Casera Versi et Acoreae2 insuper versus montem» e non fossero discesi a valle, nel qual caso cessava il loro impegno.
Da tutto ciò, come giustamente fece già rilevare il Giordani [38] bisogna desumere: 1) che nella valle di Bors esisteva un fortilizio con la relativa guarnigione, dal che bisogna a sua volta ammettere che il passaggio era già da parecchio tempo molto frequentato e che per esso doveva passare la strada di comunicazioni tra la Valanzasca e la valle d’Aosta attraverso il Col d’Olen e della quale il Giordani dà il probabile tracciato sulla scorta delle relative traccie; 2) che necessariamente doveva pure esistere una strada più elevata attraverso i ghiacciai del Monte Rosa, strada praticata dai predoni e per la quale, secondo la convenzione, cessava da parte dei Valsesiani l’impegno della sorveglianza.
Il Durandi ritiene, come pure il Bianchetti [7] che i predoni si portassero dall’alpe Pedriola al Colle delle Loccie (m. 3353) «ormai inaccessibile forra» tutta ghiacciata su entrambi i versanti, mentre ancora nel tredicesimo secolo «usavano gli uomini di Macugnaga ed altri di Valanzasca varcar per questo stretto e sorprender quelli delle due terre di Gressoney e massime i costoro pastori innoltrati in su per quelle alpi». (Durandi, op. cit., pag. 82).
E poichè i predoni per esser sicuri di non venir sorpresi dovevano tenersi più in alto dell’alpe Bors, il Giordani opina che una strada — con qualche traccia visibile — passasse attraverso gli attuali ghiacciai delle Vigne e della Sesia ed il promontorio di Piowe e successivamente per l’Ubelgtoneberg ed il ghiacciaio di Bors al colle delle Pisse.
Qualunque sia stata la via seguita dai predoni della Valanzasca posso accertare, perchè conosco molto bene quelle aspre zone, che oggidì una tale impresa sarebbe non solo difficile ma direi quasi pazzesca! Se i predoni della Valanzasca potevano riportare nella loro valle la refurtiva ed anche il bestiame rubato nella valle di Gressoney, senza punto scendere nel vallone di Bors, come comproverebbe la sopracitata convenzione, bisogna logicamente ammettere che in quell’epoca i ghiacciai del Rosa fossero meno estesi e per conseguenza sensibilmente diverse le condizioni climatiche.
E così parimenti per le medesime ragioni dovevano essere più frequentati e di più facile accesso tutti gli altri valichi anche i più elevati, come abbiamo dimostrato. Le relative tradizioni, contrariamente alle opinioni espresse dal Richter e dal Kinzl sono quindi da presumersi non solo verosimili ma abbastanza fondate da molte e varie circostanze.