Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?/5

Lo sviluppo dei ghiacciai alpini in epoca storica e le relative oscillazioni

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Lo sviluppo dei ghiacciai alpini in epoca storica e le relative oscillazioni
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Lo sviluppo dei ghiacciai alpini in epoca storica

e le relative oscillazioni.

Nella seconda metà del secolo scorso era prevalsa l’idea che gli attuali ghiacciai rappresentassero gli ultimi relitti della glaciazione wurmiana e che per conseguenza corrispondessero precisamente ad uno stadio di ritiro postdauniano. I molteplici studi recenti sul contenuto in polline dei depositi torbosi alle testate delle valli alpine prossime alle regioni degli attuali ghiacciai verrebbero invece a comprovare che nel post-dauniano vi è stato un interglaciale a clima caldo con notevole innalzamento del limite climatico del bosco; in conseguenza l’attuale glaciazione risulterebbe del tutto separata dalla glaciazione del periodo dauniano e post-dauniano.

È indiscutibile che in tutta la regione interposta tra i depositi dauniani — per lo più complessi e molto imponenti — ed i grandi apparati morenici laterali, che accompagnano e che si spingono talora per oltre un chilometro a valle delle fronti attuali ricollegandosi ai relativi archi morenici frontali non esistono in genere sistemi di morene che presentino qualche importanza degna di rilievo.

I depositi morenici degli attuali ghiacciai — le cui conoscenze sono state ottimamente riassunte e discusse dal Kinzl nel suo magistrale studio più volte citato — sono di età relativamente recente e tutti riferibili ai grandi progressi del 1602-1644, del 1820 e del 18551. I rarissimi casi di morene più antiche non riferibili ai predetti massimi e che si trovano più a valle, con tutta probabilità non devono considerarsi come preistorici ma precisamente post-dauniani e per conseguenza distinti dall’attuale glaciazione.

Possiamo quindi concludere che i ghiacciai alpini non hanno mai subito in epoca storica dei progressi maggiori a quelli verificatisi negli ultimi 350 anni.

I tre grandi massimi del 1602-1644, 1820 e 1855, per quanto poco differenti fra di loro nei rispettivi sviluppi, in modo particolare i due primi, [p. 33 modifica]non furono per tutti i ghiacciai uguali e decrescenti dal primo all’ultimo. Nè pare, per quanto è dato di desumere dai numerosi studi sui varii ghiacciai, che si sia verificata un’assoluta prevalenza di uno sugli altri due massimi. Ciò nondimeno in genere lo sviluppo verso il 1820 fu quello che maggiormente si distinse per la sua grandiosità sia in lunghezza che in potenza.

Per molti ghiacciai i massimi di sviluppo del 1602-16442, del 1820 e del 1855 furono regolarmente decrescenti con un distacco maggiore in genere fra i due ultimi. Talora gli sviluppi frontali del 1644 e del 1820 furono uguali come ad esempio per il ghiacciaio di Tour in Savoia, o quasi uguali come per i ghiacciai della valle di Bagnes e del Miage al Monte Bianco. La regolare decrescenza è stata desunta non solo dalla potenza delle relative morene laterali ma, come in modo particolare per i ghiacciai d’Argentière e du Bois in Savoia, di Grindelwald superiore e del Rodano, dai rispettivi archi morenici frontali e fronto-laterali dei quali quello del 1820 si presenta di consueto, ma non sempre, più potente rispetto agli altri due.

È indubitato che il progresso del 1820 si presentò per molti ghiacciai — come ad esempio per quelli di Tour, Bosson, Bionnassay, Trient, Brenwa, Lys, Verra, Allalin, Fee, Findelen, Inferiore di Grindelwald, Morterasch per non citare che i più importanti — d’uno sviluppo così imponente quale la storia non ricorda. Le fronti raggiungendo o sopravanzando i limiti del massimo del 1602-1644 ricoprirono nel primo caso o distrussero nel secondo caso i corrispondenti depositi morenici. In conseguenza, come ben si osserva per i ghiacciai di Tour, Bosson, Unter Grindelwald, nelle rispettive regioni frontali compaiono soltanto due ordini di morene: quelle più esterne e più potenti del 1820 ed internamente quelle del successivo progresso del 1855. Queste ultime non compaiono sempre perchè talora parzialmente rimaneggiate come è avvenuto per i ghiacciai Grande di Verra e del Lys al Monte Rosa.

I ghiacciai che ebbero la loro massima lunghezza verso il 1855 (Gorner, Zmutt, Arolla, Ferpècle, Zinal, Aletsch, Unteraar, Forno, ecc.) distrussero a loro volta i depositi morenici frontali dei precedenti sviluppi, dimodochè gli archi più esterni corrispondono a quest’ultimo grande massimo. Non ha mancato di verificarsi qualche volta che detto massimo si rilevasse uguale a quello del 1602 oppure a quello precedente del 1820, talora in tutte le parti altre volte soltanto parzialmente; in conseguenza, dove si è verificato il contatto, è ben riconoscibile la sovrapposizione dei nuovi materiali più freschi su quelli basali più antichi visibili soprattutto nelle parti marginali esterne, come ad esempio appare in diversi punti nella grande morena laterale di sinistra dei ghiacciai del Lys e Grande di Verra. [p. 34 modifica]

E così nella regione frontale del Fieschergletscher — il cui massimo del 1855 è stato inferiore a quello del 1602 ma superiore al massimo del 1820 del quale distrusse la corrispondente morena — si hanno due ordini di depositi frontali di cui quello più esterno è indubbiamente da ascriversi al primo massimo del principio del XVII secolo e quello immediatamente successivo al massimo della metà del XIX.

Nei complessi apparati morenici dei ghiacciai del Miage e di Macugnaga di origine plurisecolare, perchè depositatisi con varie alternative nel corso delle diverse oscillazioni succedutesi tra la fine del XVI secolo a tutt’oggi, non sempre in ogni parte è possibile determinare l’età delle singole dorsali moreniche. Per il ghiacciaio di Macugnaga le due morene più esterne, comprese fra le due diramazioni frontali, sono certamente del massimo del 1820, con qualche parziale sovrapposizione superficiale dei materiali del successivo massimo del 1860 che fu leggermente inferiore. Il complesso delle morene più interne è invece più antico e riferibile al massimo del XVII secolo — che fu il maggiore di tutti — ed alle varie oscillazioni succedutesi fino al massimo del 1820. Nulla esclude però che nello zoccolo vi possa esistere qualche residuo di materiale dauniano.

Parlando di massimi di sviluppo è d’uopo far distinzione fra estensione in senso longitudinale ed in senso trasversale: quest’ultimo in certo qual modo comprende anche lo sviluppo in potenza. I tre massimi dei quali abbiamo parlato riguardano gli sviluppi in senso longitudinale, che, per quanto un po’ diversi da un ghiacciaio all’altro, si sono manifestati nel complesso entro limiti molto ristretti.

Gli sviluppi in larghezza pare che abbiano avuto luogo con maggiore regolarità nel senso d’una decrescenza dal primo al terzo massimo nelle rispettive estensioni delle parti superiori e mediane delle lingue glaciali. Anzi tale diminuzione si sarebbe maggiormente manifestata nello sviluppo del 1820 rispetto a quello del 1602. Non è questa una semplice supposizione, ma la logica deduzione che si deve trarre dal fatto che per quasi tutti i ghiacciai, salvo rare eccezioni, si constata la presenza su uno o su entrambi i fianchi d’una duplice o triplice serie di morene laterali riferibili dall’esterno all’interno rispettivamente ai tre massimi del 1602-1644, 1820 e del 1855. Così in particolare nei ghiacciai del Lys, Brenwa, Unter Aarr, Unter Grindelwald, Zinal, Findelen, Aletsch e Bionnassay si osservano ben distinte le morene del 1602 da quelle del 1820.

Mentre le morene frontali del massimo del 1820 si presentano in genere più potenti di quelle del 1602, le laterali sono invece minori. Da tutto ciò si può dedurre che nei secoli precedenti i ghiacciai furono per la maggior parte più larghi e più potenti, ma in genere si espansero meno verso valle che durante i due successivi massimi. Al riguardo merita d’esser segnalata la particolare caratteristica presentata dal progresso del 1855 in cui, mentre [p. 35 modifica]le fronti glaciali nella loro rapidissima discesa raggiunsero sovente i limiti del 1820 se pur non li sopravanzarono, d’altra parte, come ben si osserva ad esempio per il ghiacciaio del Lys, le potenze delle lingue glaciali furono assai minori non raggiungendo sui fianchi le creste delle morene laterali del precedente massimo. Questa maggiore estensione in lunghezza è forse da collegarsi al fatto constatato per parecchi ghiacciai che i progressi del 1820, ma particolarmente del 1855 furono piuttosto di breve durata ma estremamente rapidi, raggiungendo talora anche una discesa di 150 m. all’anno.

Ma prescindendo da tutte queste particolarità rimane oramai accertato che i tre progressi del 1602-1644, 1820 e del 1855 furono i massimi assoluti verificatisi tra il XVII ed il XIX secolo. Nè pare che tra gli uni e gli altri si siano avuti dei notevoli regressi degni di rilievo. In conseguenza tutto il lungo periodo che va dalla seconda metà del XVI secolo a oltre la meta del XIX, avrebbe corrisposto ininterrottamente un grande sviluppo glaciale quale la storia non aveva mai registrato in precedenza.

Evidentemente si ebbe anche un notevole abbassamento del limite delle nevi permanenti determinando in conseguenza anche la formazione di nuove masse glaciali in zone che ne erano state prive: così il Venetz dice che a partire dal 1811 nella località detta Büdumynen si è formato un nuovo ghiacciaio sotto il Galenhorn nella valle di Sas la cui esistenza non era mai stata prima conosciuta. Lo stesso dicasi del ghiacciaio di Rothelsch sopra il Sempione e quello di Thaleit ricordato dallo Schlagintweit [77].


Nei secoli immediatamente precedenti i ghiacciai furono molto meno espansi? Le antiche cronache non registrano fatti dai quali si possa desumere che i ghiacciai risultassero più espansi o che comunque abbiano progredito. D’altra parte secondo le tradizioni delle popolazioni montanare è universale la credenza su tutta la catena alpina che i ghiacciai fossero un tempo molto meno sviluppati.

Tale credenza veniva d’altra parte in certo qual modo convalidata dalle centinaia di casi in cui i ghiacciai nei progressi del 1602-1644, del 1820 e del 1855 abbatterono grossi alberi talora anche di 200-300 anni e frequentemente distrussero anche delle costruzioni. Citiamo alcuni dei tipici esempi dei quali parecchi erano già stati ricordati dal Venetz e dall’Heim nel suo trattato di glaciologia [45].

Durante il progresso del XVII secolo del ghiacciaio Superiore di Grindelwald si dovettero abbandonare 2 case e 5 fienili [24]. Il progresso del 1820 distrusse pure una vecchia foresta [56]. Anche il ghiacciaio Inferiore di Grindelwald sulla fine del XVI secolo e al principio del XVII, che già ebbe a ricoprire la cappella di S. Petronilla, invase pascoli e zone coltivate e costretto per il suo sopravanzare ed evacuare molti fienili e 4 case [97]. [p. 36 modifica]

Informa Mercanton [59], parlando dell’arco morenico esterno costruito dal ghiacciaio del Rodano durante il progresso del 1602, che quando venne tagliata detta morena per la costruzione della ferrovia della Furka, furono trovati alla base della medesima una mezza dozzina di grossi alberi di 55 cm. di diametro e dell’età di circa 260 anni. Come ben dice il Mercanton bisogna ammettere che tutto il piano interno dell’arco fosse rimasto libero per lungo tempo prima che la fronte del ghiacciaio sopravanzasse e costruisse la detta morena. Non è possibile dire donde provenissero precisamente detti alberi, ad ogni modo da una regione a monte ed almeno per tre secoli non occupata dal ghiacciaio permettendo il regolare sviluppo di un bosco.

Dalle accurate ricerche compiute dal Mougin [60, 61] su documenti conservati negli archivi comunali di Chamonix sappiamo che i ghiacciai del versante settentrionale del Monte Bianco durante i progressi del 1602-1610 e del 1644 abbatterono secolari boschi, invasero larghe zone a campi coltivati, a prati e a pascoli distruggendo talora anche interi villaggi.

Abbiamo già veduto che il ghiacciaio di Zmutt a monte di Zermatt ha presentato il suo massimo assoluto verso il 1855. La fronte durante detto progresso distrusse e sopravanzò un’antica morena frontale tutta ricoperta da secolari larici. I tronchi abbattuti e rigettati alla fronte erano così numerosi come i blocchi morenici [27]. Già il Venetz ebbe a ricordare nel 1821 la presenza di questa morena che giustamente giudicò molto antica per la presenza dei secolari larici.

Il ghiacciaio del Gorner, che ebbe pure il suo massimo verso il 1865, invase pascoli, campi coltivati e abbattè non solo fienili, ossia i così detti stadel, ma distrusse anche alcune case di una borgata [42, 77]. Secondo Tyndal le case distrutte dal ghiacciaio dopo il 1800 sarebbero state ben 44 [88].

Nel medesimo bacino anche il ghiacciaio di Findelen nel 1849 invase con la sua fronte un’antica foresta [56], fatto che ebbe pure a verificarsi alla stessa epoca nelle rispettive regioni frontali per opera del ghiacciaio di Bois, e dei Fieschergletscher e Unteraargletscher [51]. Del resto il ghiacciaio di Bois già durante i progressi del 1602 e del 1644 aveva rovinate parecchie case e fienili, ricoprendo ricche praterie che anche dopo il ritiro del ghiacciaio rimasero del tutto sterili per l’abbondanza del materiale detritico abbandonato.

E così ancora Heim dice che il ghiacciaio di Aletsch in epoca non ben determinata prima del 1850 raggiunse e distrusse sul fianco destro verso Bellalp alcune vecchie case, fatto pure ricordato dall’Hogard [51], e nel 1849 sul fianco sinistro abbattè un bosco con vecchi alberi di 200-300 anni.

Ricorda il Venetz che sul fianco destro del ghiacciaio del Miage verso il lago Combal all’epoca del grande progresso del 1820 i materiali [p. 37 modifica]morenici rigettati dal ghiacciaio distrussero il secolare bosco che era cresciuto sul lato esterno. Lo stesso autore informa pure che nel 1821 il ghiacciaio Dent de la Forclaz nel Vallese copriva per intero una specie di ponte in pietra che secondo sicure testimonianze era stato veduto completamente libero ancora una ventina d’anni prima. Secondo alcuni questa antica costruzione doveva servire di acquedotto per condurre l’acqua ai pascoli dell’alpe di Chamosenze: secondo altri, era un vero ponte costruito per condurre il bestiame dall’alpe Chamosenze ai pascoli, successivamente ricoperti dal ghiacciaio che esistevano sull’opposta sponda del torrente glaciale. Qualunque sia stato l’uso a cui dovette servire questo ponte è certo che se esso è stato costruito non si doveva ritenere che il ghiacciaio potesse un giorno distruggerlo e per conseguenza la fronte doveva essere molto arretrata.

Il ghiacciaio della Brenva all’epoca del grande aumento del 1820, oltre ad ostruire la strada che risale la val Veni, aveva abbattuto sul fianco destro degli enormi larici che secondo Venetz avevano un età non minore di 300 anni comprovando che il ghiacciaio da almeno 2 o 3 secoli non aveva più avuto un così grande sviluppo. Il ghiacciaio per di più premendo fortemente contro lo stesso fianco vallivo aveva disturbata la compagine delle roccie calcaree sulle quali era costruita la Capella di N. D. de Guérison, determinando la sua caduta in rovina [94].

E così ancora, il Castiglioni ricorda a proposito del ghiacciaio Malavalle nelle Alpi Breonie che «una descrizione omonima apparsa nel suo Tirorelboten 1825», nel dare notizie del progresso del secondo decennio del secolo scorso dice che mentre «nella parte alta rimanevano sommersi dal ghiacciaio, sempre più gonfio, vari spuntoni di roccia e passaggi ben noti ai cacciatori di camosci», più a valle «era andato distrutto da più di cento anni tutto il magnifico alpeggio per vacche e pecore chiamato die Schöne» [13].

Tutti i fatti sopraricordati vengono ampiamente a confermare che nei secoli immediatamente precedenti i ghiacciai dovettero mantenere uno sviluppo alquanto minore a quello verificatosi durante i citati progressi. Del resto i già menzionati scoprimenti di grossi ceppi avvenuti in quest’ultimo cinquantennio presso le fronti glaciali vengono a loro volta pienamente a comprovare che le masse glaciali anteriormente al XVII secolo dovettero avere uno sviluppo ancor più piccolo di quello attuale che pur si presenta già tanto ridotto rispetto all’enorme sviluppo avutosi anteriormente alla metà del secolo scorso.


Altre notizie già menzionate da diversi autori meritano ancora di essere enumerate se pur succintamente perchè i relativi fatti non potrebbero venire giustificati se non ammettendo una molto minor estensione nei ghiacciai. [p. 38 modifica]

Il ghiacciaio del Lys, dopo il grande progresso del 1820 s’era ritirato tanto da mettere allo scoperto la sbarra rocciosa di Roos nella quale — sebbene non sia mai stata libera da ghiaccio a memoria d’uomo secondo la testimonianza fatta dallo Zumstein al Forbes nel 1842 [31, 32], — erano stati trovati segni evidenti di buchi per la ricerca dell’oro. Poichè dopo XVII secolo, come s’è detto più volte, i ghiacciai mantennero sempre uno sviluppo piuttosto grande e di molto superiore all’attuale, bisogna ammettere: 1) che le ricerche aurifere siano state fatte in epoca anteriore al 1600; 2) che la fronte del ghiacciaio si trovasse allora talmente arretrata da rendere sicure le predette ricerche.

La fronte dell’Hufigketscher a cominciare dal 1780 ebbe talmente a progredire da ricoprire tre ripiani di successive sedi estive per l’alpeggio. Anche in seguito al grande ritiro operatosi tra il 1850 ed il 1880 è ricomparso soltanto il ripiano della sede inferiore, e, com’è naturale, del tutto ricoperto da materiale morenico sparso, mentre il ghiacciaio nascondeva ancora le due sedi superiori [45].

Nella valle d’Herens il ghiacciaio di Ferpècle dovette avere anteriormente al XVII secolo e per lungo tempo uno sviluppo molto ridotto. Due fatti vengono a confermarlo. Prima di tutto la presenza delle casere dell’alpe Ferpècle la cui costruzione presuppone l’esistenza nelle immediate vicinanze di adeguati pascoli per il mantenimento del bestiame. Tuttora invece la regione circostante è ricoperta da abbondante detrito morenico sparso e soltanto scarsamente erbosa dimodochè le casere risultando sempre abbandonate sono andate in rovina [34]. Vuole infatti la tradizione locale che il ghiacciaio di Ferpècle non sia molto antico: e che il «recouvrerait un alpage, partie prarie et partie forèt, ou les tropeaux restaient plus tard en autonome que dans tous les autres alpages de la commune d’Evolène». (Da una lettera indirizzata dal curato di Evolena Berclaz a Coolidge [20].

Appare quindi quanto mai fondata la notizia comparsa nel Journal de Lausanne del 1791 [4, 26] e successivamente ricordata anche dal Fröbel [36], dell’esistenza in Evolena di un atto di permuta dal quale risulterebbe che verso il 1400 un appezzamento di prato della frazione di Hauderes — la cui regione è ancora oggidì fra le più fertili di Evolena — è stato dato in cambio di un altro di quasi uguale estensione situato a Manzette e che sul finire del XVIII secolo era occupato dal ghiacciaio. Notiamo che la località chiamata oggidì Manzette trovasi sull’ultima morena della sponda destra del ghiacciaio di Ferpècle a monte dei pascoli di Bricolla. Evidentemente le condizioni di fertilità dei due appezzamenti dovevano essere pressochè uguali, se le superfici erano pure pressochè uguali, poichè oggidì tale permuta si presenterebbe illogica data l’aridità dei pascoli di Manzette, in parte ricoperti dalla morena; per conseguenza bisogna dedurre che la massa glaciale si trovasse e si sia mantenuta molto lontana per lungo tempo. [p. 39 modifica]

Qualche cosa di simile, sebbene non perfettamente analogo, si è verificato a Macugnaga sotto il Belvedere. È notorio, e vari documenti notarili la comprovano, che tutta la regione cosidetta delle Burcke era coltivata a prati ed a campi. È bensì vero che quanto non distrusse il ghiacciaio durante il progresso del 1820, lo fece in scala molto maggiore la grande alluvione del 1868, ad ogni modo la loro esistenza comprova indirettamente che le fronti del ghiacciaio di Macugnaga dovevano trovarsi in precedenza molto più lontane di quanto non siano oggidì.

Il can. Rivaz (Documents diplomatiques) ha trovato negli archivi del Comune di Bagnes l’atto di un processo tra il detto Comune e quello di Liddes relativo ad una foresta, situata nel territorio di Bagnes e del quale Liddes rivendicava la proprietà. Questa foresta non esiste più. Sembra che la relativa località sia ora occupata dal ghiacciaio.

Ancor più interessante è il caso ricordato da Heim di alcune miniere d’oro e d’argento negli Alti Tauri, già citate da Polibio, la cui coltivazione, che era fiorentissima nel Medio Evo andò di molto scemando nel XVI secolo perchè l’entrata delle gallerie superiori era stata ostruita dal ghiacciaio. Una di queste entrate nel 1570 trovavasi già coperta per 20 m. dal ghiacciaio e nel XVIII secolo da 100, ed ancora da 40 nel 1875 allorchè il ghiacciaio aveva già di molto diminuito. Anche le relative costruzioni vennero ricoperte dal ghiacciaio ricomparendo in parte, ma per poco, nel 1770. Soltanto dopo la grande diminuzione della seconda metà del secolo scorso alcune di esse ritornarono a giorno, ma altre risultarono sempre nascoste

Un fatto analogo si sarebbe verificato nella valle di Chamonix dove il paese di Argentière avrebbe preso il nome da una miniera d’argento successivamente ricoperta dal ghiacciaio. Riferisce Bourrit [8, 9] che secondo le vecchie tradizioni 200 anni prima del 1600 la fronte del ghiacciaio trovavasi ancora molto lontana dal paese e non avrebbe ancora del tutto ricoperta la miniera.

Deduzioni non meno interessanti si possono pure trarre sull’anteriore stato del ghiacciaio dell’Unteraar da uno schizzo pubblicato dall’Altmann [3] e dovuto al medico Cappeler che lo disegnò probabilmente sul principio del XVIII secolo; nonchè da una relazione — pubblicata dal Wäber [95, 96] — che il Märki fece nel 1721 sulla scoperta della grotta dei cristalli avvenuta 3 anni prima. Da essi si deduce che il ghiacciaio ebbe nella prima metà del XVIII secolo uno sviluppo molto ridotto. E se tale sviluppo fu allora minore nonostante il ben noto grande progresso del XVII secolo, bisogna ammettere, come ben dice il Kinzl, che esso fosse più ridotto ancora nei secoli precedenti. A tale conclusione si è anche condotti perchè i nativi avevano assicurato al Cappeler che il ghiacciaio era sempre andato aumentando senza alcuna interruzione abbattendo un bosco, ricoprendo anche parecchi bei pascoli sì da costringere a portare più in basso le casere. [p. 40 modifica]Kasthofer [53] che visitò la grotta nel 1821, allorchè il ghiacciaio non aveva ancora raggiunto il suo massimo sviluppo, dice di aver dovuto raggiungere l’entrata attraversando il ghiacciaio. Se ciò avessero dovuto fare anche i precedenti visitatori, evidentemente lo avrebbero detto. In conseguenza la fronte glaciale dovette trovarsi molto più atterrata.

La distruzione del villaggio di S. Jean de Purtud in Val Veni sopra Courmayeur viene attribuita al grande progresso del ghiacciaio della Brenwa verificatosi dopo il XVI secolo. Pare che da documenti del XIV e XV secolo risulti comprovata l’esistenza d’un villaggio chiamato S. Jean de Purtud ove oggi si estende la grande morena laterale destra del ghiacciaio della Brenwa il quale l’avrebbe distrutto in un successivo progresso [94]. In proposito tornano interessanti certi scavi fatti nel piano alluvionale che hanno messo a giorno del carbone [91].

Lasciando a parte lo sfondo religioso che la tradizione ha voluto attribuire al progresso del ghiacciaio, rimane però il fatto — a quanto pare assodato — che la chiesa di S. Jean de Purtud è stata eretta molto prima di quella di Courmayeur. Dirò incidentalmente al riguardo che la preesistenza dei centri alle testate delle valli rispetto a quelli maggiori più a valle di oggidì è un fatto abbastanza comune e che va quasi generalizzandosi con i nuovi dati forniti dall’esame dei vecchi documenti degli archivi. Così è certo che Pecetto nell’alta Valanzasca preesistette a Staffa: nel Vallese Zmutt è più antico di Zermatt e così ancora Orsia rispetto a Tachen nell’alta valle di Gressoney. Tutto ciò ci sembra che possa giustificarsi soltanto ammettendo un sensibile innalzamento del limite climatico e per conseguenza una notevole riduzione delle masse glaciali.

Se ancora nel XV secolo esisteva il villaggio di Purtud nella parte della Val Veni ora occupata dal ghiacciaio della Brenwa e dalle sue morene verosimilmente dovevano esservi dei prati e dei campi come nell’attuale regione d’Entrèves, che, in seguito ai grandi progressi della seconda metà del secolo XVI e del XVII, vennero completamente distrutti e coperti dalla grande massa glaciale sopravanzante.

La medesima tradizione aggiunge ancora che sul versante del Mont Noir du Pétéret, che guarda il ghiacciaio della Brenwa, esistevano pure alcuni châlets detti de Pertuis e che lo stesso ghiacciaio avrebbe distrutto nel suo progresso portando in basso frammisti al materiale morenico le tavole lavorate dei detti châlets.

Non è da escludersi che la distruzione di questi châlets sia stata operata, anzichè dal normale progresso del ghiacciaio, da una frana di ghiaccio e roccia uguale a quella che nel 1717 si rovesciò sui pascoli e sui casolari di Triolet e d’Ameyron in Val Ferret oppure a quella del 1920 che si abbattè sul ghiacciaio della Brenwa cagionando non pochi danni agli attuali châlets del Purtud. [p. 41 modifica]

La tradizione della scomparsa del villaggio di S. Jean de Purtud presenta molta analogia con la leggenda relativa all’esistenza della città di Felik che sarebbe stata sommersa dal ghiacciaio del Lys nell’alta valle di Gressoney [63].

Così pure vuole la tradizione che nell’alta valle d’Ayas esistesse prima del grande progresso dei ghiacciai, il villaggio di Vera dipendente dalla parrocchia di Praborna (Zermatt) nel Vallese, ed in appoggio di questa asserzione i vecchi d’Ayas si ricordavano d’aver veduto un piccolo tratto di mulattiera che andava a perdersi sotto il ghiacciaio [40].

Il prof. Ulrich [89] dice che al posto del ghiacciaio di Zmutt nell’alta valle del Visp doveva prima trovarsi il villaggio di Tiefenmatten circondato da prati e campi.

D’altra parte gli abitanti di Grindelwald e di Lauterbrunnen assicurano che i ghiacciai ancora attualmente coprano ampie regioni delle loro valli che un tempo erano ricche di pascoli, fatto che sarebbe comprovato da documenti autentici.

Un po’ dappertutto, dal Vallese e dall’Oberland al Tirolo si riscontrano fra le popolazioni montanare tradizioni di tal genere, molte delle quali coll’andar del tempo sono state alterate dando ad esse uno sfondo religioso dimodochè sono da relegarsi fra le leggende vere e proprie. Ciò nondimeno non è da escludersi che lo spunto iniziale abbia un fondo di verità collegata ai grandi progressi glaciali, poichè le tradizioni e le leggende che ne sono nate non sono altro che il riflesso di quelle avanzate.

Abbiamo veduto infatti che i ghiacciai anche durante i grandi progressi del secolo scorso invasero regioni abitate, pascoli, abbatterono boschi secolari e non poche volte distrussero anche degli abitati. A maggior ragione e da ritenersi che fatti consimili — donde l’origine delle tradizioni e delle leggende — si siano verificati nella seconda metà del XVI secolo e nella prima del XVII. Anzi aggiungeremo quasi certamente ancora su più larga scala, non solo perchè i ghiacciai raggiunsero una potenza non inferiore a quella dei successivi massimi, se pur non la superarono, ma sopratutto perchè il progresso di quell’epoca — che segnò l’inizio di quel grande sviluppo glaciale che caratterizzò il periodo che va dalla seconda metà del XVI a quella del XIX secolo — fu veramente la prima grande invasione glaciale che la storia ricordi e per conseguenza dopo un lungo periodo in cui le masse glaciali erano rimaste molto piccole.

  1. Non intendiamo punto dire che per tutti i ghiacciai i rispettivi massimi si siano verificati proprio nei predetti anni, ma soltanto l’epoca in cui presumiamo ebbero luogo.
  2. Per i ghiacciai della Savoia secondo gli studi del Mougin [60] i progressi del 1644 sono stati superiori a quelli del 1602.