Il cappello del prete/Parte seconda/I
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I.
La mano della giustizia.
Il barone di Santafusca, messo il cuore in pace, poteva dormire felicemente, ma i guai e le tribolazioni cominciarono invece per l’altro colpevole, voglio dire (se non avete indovinato) per don Antonio.
Il povero prete una mattina sull’alba non aveva ancora finito un bel sogno (cioè che l’arcivescovo era venuto a Santafusca, con molto seguito di prelati in mitra, che la chiesa era tutta splendente di lampade d’argento, che egli cantava messa con una mitra in testa....) quando Martino bussò con fracasso all’uscio.
— Che c’è? — esclamò il vecchio, alzando la testa e portando la mano al berretto da notte, che gli stringeva un poco la fronte. — Non è ancora l’ora della messa.
— Non è la messa, don Antonio. Venga giù. C’è, c’è.... un delegato della polizia con.... con....
Si sentiva che Martino non era troppo padrone della sua voce. Don Antonio avrebbe scommesso che gli tremavano le gambe.
— Un delegato della po....li....zia?... che roba è questa? È uno sbaglio.
Don Antonio buttò la mitra.... ovverosia il berretto da notte sul letto, e cacciò fuori le gambe.
— Che cosa vuole da me questo signor delegato?
— Non lo dice. Venga giù presto.
— Vengo. Un delegato? che conti ho io colla polizia? certo un errore giudiziario. A meno che non si tratti della faccenda di Leila, che ha dato una coltellata a Guasco. Sempre il coltello in mano quei.... quei.... quei....
E su queste parole, che andava ripetendo meccanicamente, scese a basso, senza collare, colla veste in disordine, e cogli occhi ancora pieni di nebbia.
Trovò nel salottino, dove soleva d’estate studiare le sue prediche e fare un sonnellino tra un punto e l’altro, un signore serio, vestito tutto di nero, con due baffi neri, in compagnia di un grande carabiniere, forse il maresciallo, che toccava colla punta del suo cappello il soffitto.
Il prete fece tre o quattro inchini prima di poter trovare la voce.
Il signore vestito di nero s’inchinò anche lui, mentre il signor maresciallo andava a chiudere la porta.
— In che cosa posso servire questi bravi signori? — disse con un gran condimento di tenerezza il povero vecchietto tutto spaventato.
— Devo farle alcune dimande e darle forse qualche seccatura. Ella è don Antonio Spino?
— Per servirla. Prego si accomodi.
— Ella ha scritto giorni fa una lettera a un certo Filippino Mantica, cappellaio in Napoli.
— Precisamente.
— La lettera accompagnava....
— Una scatola...., sissignore.
— Con un cappello....
— Precisamente, con un cappello, sissignore....
— Benissimo! Potrebbe ora favorirmi qualche spiegazione su questa lettera?... La riconosce per sua?
Il signor delegato presentò un foglio spiegato.
— È la mia scrittura...., è quella, — balbettò don Antonio, che non sapeva ancora in quali acque navigava.
— Ella qui dice che il cappello fu trovato «nei dintorni». Ebbene: importa molto al procuratore del re di sapere la località precisa ove il cappello è stato trovato, chi l’ha trovato, da quanto tempo è stato trovato, per quali mani è passato.... e ciò s’intende nel miglior modo possibile, perchè si tratta...., ma dirò poi di che cosa si tratta.
A ognuna di queste parole, don Antonio cadeva di meraviglia in meraviglia, e il suo spirito si smarriva. Si ricordava di non essere stato troppo preciso nella sua lettera, e veramente la cosa era andata diversamente. Ecco che cosa significa non dire tutta la verità. — Ecco, — diceva la coscienza, — tu hai voluto nascondere il tuo peccato, e il tuo peccato è venuto a galla da sè. Chi non ha voluto confessarsi innanzi a Dio, deve oggi confessarsi davanti al signor delegato e al signor carabiniere.
Queste meditazioni passarono tutte insieme in un volo rapido e confuso. Poi disse:
— Sarò sincero, mio bravo signore, e racconterò esattamente come quel cappello sia venuto nelle mie mani e perchè l’abbia inviato al signor Filippino.
— Badi che intanto io prendo nota della sua deposizione e che la signoria vostra potrebbe essere chiamata in giudizio pubblico a confermarla.
— In giudizio pubblico? o anime divine! ma, ma, si fa questione di processo? Dove sono io? io non sono colpevole che d’un piccolo peccato d’avarizia e d’un po’ di pigrizia. Posso aver mentito una volta, dicendo che l’avevo comperato co’ miei denari, e un’altra volta ho velato un poco la verità scrivendo una frase generica, ma non vedo, scusi, non vedo che ci possa essere materia di penale....
— Si calmi, don Antonio, ed esponga tranquillamente tutto ciò che ella sa su questo fatto. Il signor maresciallo non ha nessuna intenzione di arrestarla.
Il signore vestito di nero sorrise un poco, e ciò rinfrancò un po’ l’animo sbigottito del povero prete, che prese il suo coraggio colle due mani e cominciò un racconto lungo lungo, minuto, preciso, senza trascurare la minima circostanza. Disse il giorno, l’ora, il minuto in cui Martino era venuto a chiamarlo per correre in aiuto di Salvatore, lo scambio del cappello avvenuto nella camera del morto, e come avesse perduto il suo. Confessò i suoi dubbii, i suoi scrupoli, i discorsi fatti con Martino, la lettera scritta a monsignor vicario, e presentò la risposta di monsignore. Disse come scoprisse il nome del cappellaio, mostrò la polizza rilasciata dal capostazione per «scatola con cappello» (ci aveva rimesse anche le spese di spedizione), insomma vuotò, rovesciò tutta la sua coscienza, come si fa col sacco della farina, allorchè è sul finire. Non si era confessato con tanto ardore e con tanta compunzione la vigilia della sua prima messa.
Il signor delegato, che aveva pescato in fondo ad una tasca un calamaio d’osso e una penna, scrisse tutto sopra un cartolare in presenza del signor carabiniere, che ascoltava colle braccia incrociate sul petto e riempiva con le sue spalle tutto lo stanzino.
Si fece consegnare la lettera di monsignore, la polizza della «scatola con cappello», che allegò in numero A, B, all’incartamento, poi disse:
— Da tutto ciò che ella mi ha detto, reverendo, vedo che ella ha agito in perfetta buona fede: ma non sarà mia colpa se io dovrò darle di nuovo qualche disturbo. Noi siamo forse alla presenza di un delitto.
— Un delitto! — esclamò don Antonio col viso spaventato.
Martino, che stava ascoltando dietro l’uscio coll’occhio alla serratura, dovette appoggiarsi colle mani alle ginocchia.
— Questo cappello del diavolo, come ella lo ha giustamente chiamato, apparteneva a un vecchio sacerdote da una ventina di giorni scomparso da Napoli, senza che nessuno abbia mai saputo dar notizia di lui. Siccome c’è ogni ragione per credere ch’egli sia stato assassinato, così è necessario che don Antonio offra ogni suo sussidio, affinchè la giustizia sia illuminata nelle sue ricerche.
Don Antonio non fece che aprire un poco le mani e rimase immobile sulla sua sedia colle labbra aperte, inerte come un uomo assiderato. I sensi del povero vecchio erano rimasti come inchiodati alla spaventosa immagine di un cappello che era stato in testa a un fratello assassinato, un cappello che egli aveva portato sulla testa con maledetta presunzione, ch’egli aveva collocato presso gli altari....
Altro che la mitra sognata! Altro che il cappello cardinalizio promesso da Martino! Questo era un cappello rosso, ma rosso di sangue cristiano...., di sangue consacrato....
— Ella ha detto, don Antonio, di aver lasciato in luogo del cappello rosso incriminato il suo vecchio cappello....
Don Antonio disse di sì col capo. La lingua era gelata in bocca.
— E sarebbe venuto un giovinotto che sta alla Falda a portar via il cappello colla roba?
Don Antonio tornò a dir di sì col capo.
Il delegato tirò in disparte il signor maresciallo e gli parlò a lungo sottovoce. Pare che combinassero di mandar subito due uomini alla Falda per arrestare l’oste del «Vesuvio» che nella mente del bravo funzionario appariva come intricato in questa oscura faccenda. Il valente funzionario cominciava a rallegrarsi d’aver in mano un filo conduttore. Càpita a pochi (se ben si considera) di andare in cerca d’un cappello e di trovarne due.
Fu chiamato subito anche Jervolino il segretario e fu sentito in paragone di Martino il campanaro. Jervolino aveva avuto la chiave della villa, ma ora questa l’aveva «u barone».
*
Il delegato riflettè un momento se doveva aspettare nuovi ordini da Napoli prima di far scassinare il cancello della villa; ma poi pensò che il paese era già in subbuglio, che i camorristi hanno segreti alleati e che ogni ora perduta poteva far perdere le traccie del prete.
Si mandò subito in cerca di un fabbro che aprisse il cancello.
Il signor delegato si assumeva sulla sua responsabilità di rispondere in faccia ai giudici e al barone di Santafusca.
Non senza qualche fatica fu scassinata la vecchia e rugginosa serratura del cancello verso le scuderie, mentre la gente, messa in agitazione da Martino, veniva a riempire le strade e la piazzuola coll’animo disposto a difendere il suo pastore, il vecchio patriarca dell’antico testamento.
Tutti parlavano di questo cappello, e un ragazzo, guardiano di pecore, uscì a dire d’aver veduto un giorno un certo prete salire alla villa per il viale degli ulivi; ma nessuno volle badare a ciò che diceva un ragazzo.
Condotti dal curato e dal campanaro, delegato e guardie invasero la stanzuccia di Salvatore, di cui fu stesa una breve descrizione.
— Il cappello nuovo era sul canterano, ella dice?
— Signor sì.
— E il cappello vecchio sulla sedia?
— Sulla sedia precisamente.
Il delegato notò nel processo verbale anche canterano e sedia, e poichè gli pareva di aver compiuto tutto il suo dovere, lasciò un soldato di guardia al cancello coll’ordine di tener lontano i ragazzi e le donne spettinate, e colla corsa delle undici partì per Napoli.
Don Antonio non disse quel giorno la sua solita messa.
Quasi invecchiato di trent’anni, si trascinò fino a casa e si buttò sulla poltrona a gemere e a sospirare.
— O Signore, — diceva, — pietà di questo vostro vecchio servo che fu troppo punito del suo peccato. Voi che scrutate le reni e i cuori, pesate colla bilancia della vostra misericordia il mio peccato e sentenziate nella vostra giustizia. Se vi pare che la mia morte basti a lavare la menzogna e la debolezza di spirito di un’ora sciagurata, fatemi morire adesso e chiamatemi a riposare nel vostro grembo. O se volete che questi tormenti siano l’espiazione terrena di un vecchio peccatore, benedetta la vostra mano che castiga, o Signore.
Una grande tristezza pesò quel giorno sul paese di Santafusca, come se l’ombra malinconica e triste del cappellaccio coprisse la chiesa e le case.