Il bel paese (1876)/Serata XX. - I pipistrelli

Serata XX. - I pipistrelli

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SERATA XX


I Pipistrelli.

Che farne de’ pipistrelli?, 1. — Nè uccello nè topo, 2. — Caratteri zoologici dei pipistrelli, 3. — Squisitezza di tatto, 4. — Costumi dei pipistrelli, 5. — Specie nostrali, 6. — I vampiri, 7. — Il vampiro d’Italia, 8.


1. «Ricordati della sfida», mi gridò la Giannina, appena fui entrato nella sala. «Ci dirai dunque stasera se valga la pena di conservare nel Museo quelle brutte bestie che si veggono volare a cento a cento in una sera d’estate. Poi, che voleva farne quel signor Major di un sacco di nottole?».

«Ecco precisamente quello che ci chiedevano quanti incontravamo per via, e specialmente i curiosi che ci si facevano dattorno quando, arrivati all’albergo, il signor Major prese a numerare le sue vittime, e, pigliandole ad una ad una colle pinzette, le cacciava entro un vaso ad affogarsi nell’alcool, in cui dovevan essere conservate. A vedere quelle povere bestie come si ajutavano delle mani e dei piedi per sottrarsi al loro terribile destino! come figgevano le ugne acutissime nelle mani del carnefice scienziato!... A vedere, sopra tutto, quei rinolofi spalancare spaventosamente la bocca, e mostrare il formidabile apparato di denti che li assomiglia alle fiere più sanguinarie....».

«Dunque non erano solo pipistrelli», interruppe Carlino che aveva notato il nome di rinolofi.

2. «Ecco», gli dissi; «tu rispondi benissimo, senza saperlo, alla domanda della tua cugina. Il volgo ( ed è volgo sempre chi non sa) crede che tutti i pipistrelli siano la stessa cosa. La scienza invece ne riconosce una immensa famiglia, sparsa abbondantemente in tutte le regioni del globo, ricca di generi, ricchissima di [p. 338 modifica]specie, diverse di struttura, d’indole, di costumi, la cui storia, ancor poco conosciuta, è per quel poco interessantissima. Ci scommetto che voi non sapete, così all’ingrosso, che cos’è un pipistrello».

«Non è dunque un uccello?», domandò la Chiarina.

«Che dici?» riprese Carlino; «è un ratto, che vola».

«Ma se vola, mio caro, non è un ratto perchè i ratti non volano; e se è un uccello, diamogli almeno il becco e le penne. Ma voi non siete più innanzi, ma non siete nemmeno più indietro di Aristotele e di Plinio, e di naturalisti assai più mo derni. Abbisognate tuttavia di qualche lezioncina».

«Come!» ripigliò Carlino. «Se ne sapessimo quanto Aristotele e Plinio!...».

«Ne sapreste assai; ma dopo tanti secoli, di certe cose almeno, se ne può sapere un tantino di più. Aristotele e Plinio sono i babbi della storia naturale; ma la scienza non poteva loro rispondere che coi primi vagiti. Aristotele e Plinio, come i naturalisti meno moderni, non iscorsero nelle nottole altro che uccelli di natura singolare; ed è singolare davvero un uccello senza piume, senza becco, armato di denti come un tigre, di orecchi come un asino, coperto di pelo come un topo, che non fa ova, non costruisce nido, e allatta i suoi piccini. Ma che volete? il naturale ribrezzo è da incolparsi certamente in gran parte di tanta lentezza nei progressi della scienza riguardo a questi schifosi animali. Gli antichi pare che andassero a pigliare dai pipistrelli il modello delle lore Arpie, dee della fame, mezzo uccelli e mezzo fanciulle: nel medio evo i pipistrelli erano gl’immancabili compagni delle streghe. Anche l’arte moderna, pigliando a prestanza le piume dei variopinti uccelletti per fornire di ale gli angioli, non seppe trovare pel diavolo altre ale che quelle dei pipistrelli. Conoscete l’Inferno di Dante colle meravigliose illustrazioni del Dorè? Un uomo un po ’ distratto potrebbe pigliarlo per un trattato zoologico sull’ordine dei cheiropteri».

«Ma come c’entrano», disse Carlino tornando alla carica, «codesti cheiropteri coi pipistrelli?».

«Via, è il nome che i moderni naturalisti danno a quest’ordine svariatissimo d’animali; e lo compongono, come sogliono fare, di due parole greche, la prima che significa mano, la seconda che vuol dire ala1. Vedete che questo nome è tratto dal [p. 339 modifica]carattere principale che è questo appunto; di avere le membra anteriori, ossia le mani in forma di ala».

«Come?» esclamò la Marietta; «i pipistrelli volano colle mani?».

«Certamente.... Ma vediamo.... se ci fosse quì ancora quel mal capitato pipistrello dell’altro giovedì....».

«Tonino», saltò su a dire l’Annetta, «l’ha preso e l’ha messo entro lo spirito di vino in un vasetto di vetro».

«Beh! che sporco!!!» fece inorridita la mamma di Tonino. Lui si taceva come chi sia côlto in fallo, e non sa ripigliarsi; ma io sorsi in sua difesa.

«Tonino sarà un naturalista. Tonino; va a prendere il vasetto».

«Sì, sì», gridano alcuni, curiosi di vedere. «No, no!» gridano altri facendo atto di fuggire.

«Ma in fine», diss’io un po ’ vivamente, «bisogna anche avvezzarci a vincere il ribrezzo, sopratutto se è così irragionevole. Ricordatevi che il vincere la ripugnanza per le cose schifose può divenire talvolta un dovere di carità sacrosanto. Vinciamola oggi per la scienza, e la vinceremo domani più facilmente per medicare una piaga».

Questo argomento persuase anche le mamme più schifiltose. Tonino comparve col suo vasetto, prese bravamente il pipistrello per l’estremità di un’ala colla punta delle dita, e me ’l recò penzoloni che pareva una rondine. Fattomi recare una tavoletta di legno ve lo distesi supino, come fanno i naturalisti, assicurandone le estremità con degli spilli.

3. «Eccolo; gli è appunto un rinolofo a ferro di cavallo; quello che ci voleva; una delle specie più interessanti. Vedete; è proprio un quadrupede come gli altri. Ma il distintivo principale dell’ordine a cui appartiene è per l’appunto questo; che le membra, destinate al camminare per gli altri mammiferi, sono per lui disposte a volare. Eccovi anteriormente due braccia, che terminano in due mani mostruosamente grandi. Osservate che lunghezza di dita.... Ma alla fine son dita come le nostre, divise in un certo numero d’articolazioni o falangi: se non che le nostre dita sono libere tutte e tutte armate dell’ugne; quì il solo pollice è libero e provvisto d’ugna acutissima. Le altre dita sono riunite da una membrana, formata da una doppia, sottilissima pelle, tesa sulla ossatura delle braccia e delle mani, come la seta sulle stecche di un’ombrello. L’armatura dell’ombrello però non è [p. 340 modifica]ancora completa. A compirla servono le gambe e la coda, riunite anch’esse dalla stessa membrana. Il pipistrello vola, agitando le braccia, come gli uccelli volano agitando le ale che sono infine le loro braccia. Come vi hanno specie variissime di pipistrelli, così varia è la forma delle loro ale; è varia per conseguenza la loro attitudine al volo. Vi hanno specie ad ale lunghe e slanciate che nella rapidità vorticosa del volo imitano le rondini; altre specie, munite di ale larghe e corte, vi ricordano, volando, le pesanti e impacciate galline. Al privilegio delle ale aggiungono i pipistrelli una straordinaria squisitezza di tatto. Osservate la sera come volano rapidi, a ruota, a vortici, a mosse brusche e impensate; entrando e uscendo dai porticati, dalle finestre, senza Rinolofo a ferro di cavallo (Rinolophus ferrum equinum, Blasius). urtar mai, schivando qualunque ostacolo meno visibile. Eppure i loro occhi, organizzati per la luce crepuscolare, non debbono esserei più aguzzi. Ad ogni modo è un fatto che non sono gli occhi che li guidano così sicuri nelle loro mosse turbinose. Il celebre Spallanzani2 si provò ad accecare alcuni pipistrelli, e li vide ugualmente volare per la stanza, senza urtare nei mobili o nelle pareti. Non si vedrebbe come spiegare la cosa se non coll’am mettere che in questi animali la squisitezza del tatto supplisca alla debolezza della vista».

4. «Ma ad ogni modo», riflettè la Camilla, «per accorgersi di un ostacolo, debbono toccarlo. Com’è che non lo toccano, e tuttavia lo schivano?».

«Eppure coll’esercizio potresti tu stessa abituati a sentire [p. 341 modifica]un ostacolo prima di toccarlo. Supponi, per esempio, di metterti a correre di furia, ad occhi bendati, contro una parete. Correndo, tu imprimi un movimento all’aria che hai davanti; questa, così sospinta, urta prima di te, nel muro, da cui è tosto respinta contro di te, come una palla di gomma elastica, che tu avessi lanciata orizzontalmente contro il muro stesso. Se fossi dotata di sufficiente finezza di tatto non dovrebbe quell’urto farti accorta della parete prima che ti trovassi a darci di cozzo? Mi ricordo di un povero cieco di Barlassina3, che camminava dritto per le strade, senza ajutarsi nè colla mano nè col bastone, capace di portare una lettera a Milano senza inciampare nè in un paracarro, nè in un mucchio di ghiaja, nè in un ostacolo qualunque, per quanto impreveduto. Veniva ogni giorno a prendere la sua scodella di minestra al Seminario che si trova nelle vicinanze, e lo vidi io stesso entrare ed uscire, salire gli scalini, passare attraverso ai crocchî di seminaristi, senza mettere avanti le mani, senza urtare nessuno, precisamente come se ci vedesse. Poteva dirsi veramente che il poverino aveva un tatto da pipistrello.

5. » Come variano di forma, così i pipistrelli variano di costumi. Tutti però hanno abitudini crepuscolari o notturne, vivendo di giorno penzoloni a capo in giù, agganciati colle ugne de’ piedi alla travatura de’ solai, alle volte delle caverne, ai rami degli alberi.

» Quando sono in molti, si agganciano gli uni agli altri, formando quei grappoli enormi da noi veduti nella buca del Corno. In genere si nutrono di insetti; ma si distinguono dagli altri pipistrelli le rossette, abitatrici dell’Africa, dell’Asia, e specialmente delle isole dell’Oceania, che menano guasti incalcolabili ai giardini ed alle piantagioni, divorando ogni sorta di frutti. I pipistrelli poi alla loro volta sono il nutrimento d’un numero straordinario di parassiti....».

«Non mancava che questa», interruppe una delle mamme, facendo un viso d’invincibile ribrezzo, «per render odiosi quei brutti animali». Credetti affare di galateo il non insistere, e tirai innanzi come se non avessi nè visto nè udito.

6. «I pipistrelli s’incontrano numerosissimi e svariatissimi in tutte le regioni del globo. L’Italia, per esempio, ne vanta 25 [p. 342 modifica]specie all’incirca. Una fra le più distinte è il nostro povero rinolofo4 a ferro di cavallo».

«Perchè lo dicono così?» domandò la Chiarina.

«Osserva bene questo ceffo», risposi, mostrandole il povero Testa di rinolofo a ferro di cavallo. Testa del pipistrello-topo. confitto. «Vedrai come porti sul naso certe escrescenze, e potrai distinguere benissimo questa che è la più rilevante, e sta precisamente fra il labbro superiore e le narici. Non ha essa la forma di una mezzaluna, o meglio appunto di un ferro da cavallo?

» Molto comune da noi è il pipistrello-topo (Vespertilio murinus Schreib) la cui testa si assomiglia appunto a quella di un topo. È il più grande dei nostri pipistrelli, misurando coll’ali aperte da 40 a 50 centimetri. Testa dell’orecchione.

» Tra le specie nostrali la più curiosa è il Plecotus auritus Blasius5, cioè l’orecchione, il quale, se adoperasse la frase iperbolica sto qui tutt’orecchi, non direbbe che il vero, tanto le sue orecchie sono monumentali. Abita l’Italia settentrionale, ed è sparso in quasi tutta l’Europa.

7. » Negli altri paesi, specialmente nelle regioni tropicali ve [p. 343 modifica]ne ha poi di più madornali, di quelli che in paragone delle nostre nottole, possono dirsi giganti. Per esempio, i vampiri....».

«I vampiri?» sclamò Giovannino trasalendo. «Sono dunque pipistrelli quegli orrendi mostri, che uccidono gli uomini succiandone il sangue!».

«Dunque», risposi, «hai udito anche tu le spaventose storie di quei demonî, in forma di pipistrello, terrore dei deserti del l’America meridionale? Guai a quell’uomo che, sedotto dal rezzo di una pianta in quelle plaghe cocenti, si sdrajasse per ripigliare un po ’ di lena. Il vampiro è là che lo adocchia, con uno sguardo ove spira, in orribile accordo, la ferocia e la voluttà. Eccolo.... Appena l’infelice viandante abbandona il capo alla terra, il vampiro distende le mostruose ale, e lemme lemme gli si appressa, alitandogli sul viso un dolce zefiretto. L’infelice si addormenta in placida estasi, o se già dorme più e più si profonda nel sonno. Il vampiro non ha torto un istante lo sguardo dalla sua vittima, finchè l’abbandono di tutte le membra, il caldo alito che soffia a intervalli misurati dalle labbra semiaperte, non lo hanno assicurato che il sonno è profondo. Allora ecco il vampiro posarsi leggero come una piuma sul petto al dormente.... Gli accosta alla gola l’orribile bocca.... lo addenta, ma con tal arte che non sia punto turbato il sonno all’infelice, a cui succhia lentamente il sangue fino all’ultima goccia coll’ebbrezza di Satana».

Qui feci punto, soffiando, e passandomi la pezzola sulla fronte. Il mio piccolo uditorio era tutto inorridito, e al tempo stesso come incantato davanti all’orribile quadro. Stavano tutti a occhi fissi, a bocca spalancata, senza trarre il fiato, e rimasero scandolezzati veramente quand’io ruppi l’incanto con una cordiale risata. E mentr’essi chiedevano invano a sè medesimi la spiegazione di quest’insolito contegno:

«Miei cari», dissi loro, «le son favole, vedete. È vero che vi hanno pipistrelli che succhiano il sangue, e che perciò furon detti vampiri, dal nome di certi mostri favolosi, di cui, se ben mi ricordo, parlano le leggende tedesche. La specie più nota è il vampiro spettro (Vampyrus spectrum, L.) dell’America meridionale, grosso come una gazza, con una membrana a ferro di lancia sul labbro superiore. Misura coll’ale distese 65 centimetri all’incirca. Se volessi chiamarlo un grazioso animaletto avrei torto davvero. Ma, per quanto brutto e cattivello, lo si vuol sempre difendere dalla calunnia, non foss’altro perchè la calunnia è bugia. Il naturalista Azara pare che abbia descritto i [p. 344 modifica]costumi dei vampiri più fedelmente, senza far parte soverchia alla fantasia, e poteva ben parlarne di proposito giacchè fu più volte alle prese con quei poco simpatici avventori. Narra infatti che ne fu morsicato quattro volte alle dita de’ piedi; se ne accorgeva la mattina, vedendo le ferite e il sangue che ne era colato; poichè del resto il suo sonno non era stato turbato nè punto, nè poco. Calcolò d’aver perduto ogni volta 15 grammi di sangue. Domandatene ai medici, e vi diranno che a un dipresso è la quantità che si calcola per una mignatta. L’Azara non si prese nessuna cura di quelle ferite, benchè lo incomodassero per qualche giorno. Le tarantole, gli scorpioni, le api, sono fin quì, confessiamolo, assai più formidabili dei vampiri; giacchè questi non fanno che lievi incisioni nella pelle, per mezzo di certe papille cornee, di cui hanno armata la lingua.

» Con queste notizie, e coll’accordo dei naturalisti serî nell’ammettere come assolutamente esagerato quanto si disse dell’atrocità e del pericolo dei vampiri, cercate di acconciare nel miglior modo possibile ciò che narra il signor Pouchet, il quale nella sua Storia della natura narrata popolarmente6 vi dice bellamente, parlando dei vampiri, che quando qualche viaggiatore sorpreso dalla notte s’addormenta all’aria aperta, si sveglia debole al mattino, può appena stare in piedi, e trova intorno a sè un lago di sangue. A me piacerebbe che i libri di scienza, scritti pel popolo, fossero anch’essi rigorosamente scientifici, cioè rigorosamente veri. Ha ella bisogno la natura di colori mentiti per farsi bella? E la natura non è tutta un mondo di meraviglie, senza bisogno di cercare il meraviglioso nelle favole della leggenda o nel barocco della dipintura? Ma torniamo ai nostri vampiri. Sapete che un vampiro l’abbiamo anche noi?».

«In Italia?» domandò Carlino. «Per fortuna, non nell’Italia settentrionale».

8. «Il vampiro d’Italia esiste pur troppo, e non è lontano da voi. Eccovelo qui sotto gli occhi. Precisamente il rinolofo a ferro di cavallo, è il cattivaccio che si mette talvolta a rincorrere i caprioli per succhiarne il sangue.

» Del resto questi poveri pipistrelli sono gente pacifica; non disturbano nessuno; vivono patriarcalmente in grandi famiglie; escono di notte quando gli uomini e gli animali vanno al riposo, dormono placidamente dei mesi interi....». [p. 345 modifica]

«Dormono dei mesi interi.... Possibile?» chiese l’Annetta.

«Possibile.... è un fatto. Ma ora più che a parlare del sonno de’ pipistrelli, c’invita noi a dormire l’ora già tarda».

«Allora», ripigliò l’Annetta «ti riserbi a parlarcene un’altra volta?».

«Te lo prometto».


Note

  1. Cheir = mano; pteron = ala.
  2. Celebre naturalista, dotato d’uno spirito d’osservazione veramente straordinario. La sua opera principale è il Viaggio nelle due Sicilie. Fiori verso la fine del secolo scorso.
  3. Borgata fra Milano e Como, quasi a metà della retta che congiungesse il lembo più orientale di Como col più occidentale di Milano.
  4. Rinolofo = che ha il capo crestato. — È voce derivata dal greco.
  5. Dal greco pleo = piego, e ota = orecchie. Auritus è poi una voce latina che vuol dire orecchiuto. Cosicchè il nome scientifico riesce a dire: = orecchiuto ad orecchie piegate.
  6. Vedi la traduzione di quest’opera, edita da Treves e Comp., in Milano, ne 1869, a pagina 318.