Il Valdarno da Firenze al mare/Cap. I
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CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI — QUADRO IN TAVOLA DI FRANCESCO DI GIOVANNI BOTTICINI.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
I.
DA FIRENZE A SIGNA.
Un’ampia pianura, in epoca remota squallida e palustre, oggi fertilissima, popolata d’innumerevoli paesi, sparsa di leggiadre case di villeggiatura, intersecata in ogni senso da una fitta rete di comode strade, si distende a ponente di Firenze, e in mezzo ad essa mollemente serpeggia l’Arno, mentre tutt’all’intorno le colline ubertose formano una gentile corona che ha per gemme i suntuosi palazzi campestri e le chiese dalle linee pure e gentili.
Sulla destra riva del fiume, lungo i due grandi stradali che in senso differente percorrono i piani per ricollegarsi poi a Pistoja, corrono come due borghi interminabili di caseggiati che assumono i nomi diversi dalle antiche località e dalle vecchie chiese attorno alle quali si costituirono i primi centri.
Lungo la via Pistojese, dopo Rifredi, divenuto ormai un sobborgo di Firenze e si potrebbe dir quasi il quartiere industriale fiorentino, vengono Castello, presso al quale primeggiano, fra una miriade di ville, le due splendide dimore Medicee ora patrimonio della Corona: Castello e Petraja, poi Sesto, ampio ed industrioso paese, reso celebre dalla vicina manifattura di porcellane di Doccia, fondata nel AFFRESCHI NELLA CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche). 1740 dai Ginori, continuatori delle operose tradizioni della vecchia nobiltà fiorentina, e finalmente Calenzano, il pittoresco castello che guarda Prato e la fresca valle del torrente Marina.
Dietro ai colli verdeggianti, a pie’ dei quali passa questa grande arteria, inalza la sua massa imponente Morello, il più elevato fra i poggi che attorniano Firenze. CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI — PESELLO: CRISTO IN CROCE.
(Fot. Alinari).Monte Morello, coperto un giorno di fitte selve, in mezzo alle quali si nascondevano romite chiesette, oggi distrutte o abbandonate, presenta la sua vetta arida e brulla come quella d’un vulcano, verso la quale i vecchi fiorentini rivolgono quotidianamente lo sguardo, quasi a trarne l’oroscopo del tempo. D’estate i riflessi rossastri delle balze riarse sono un indizio di gran caldo; d’inverno, invece, le nevi biancheggianti sull’alta cima denotano stagione rigida e ventosa, e quando le nubi si addensano avvolgendo e nascondendo il cocuzzolo della montagna, il buon SAN MORO PRESSO SIGNA.
BASSORILIEVO ROBBIANO NELLA CHIESA DI S. MAURO. fiorentino aspetta rassegnato la pioggia, mormorando fra sè i versi strampalati d’un vecchio dettato:
Quando Monte Morello mette il cappello |
S. MORO PRESSO SIGNA – CHIESA DI S. MAURO – CIBORIO ROBBIANO.Fra la via Pistojese e l’altra via comunemente chiamata Lucchese, che segue più da vicino il corso dell’Arno, è un’immensa estensione di campi e di prati che han preso il posto di quei tristi e paludosi terreni, per sanare i quali, prima la Repubblica poi il governo Granducale profusero denari a piene mani.
Sulla via Lucchese non è men fitto il caseggiato ed i borghi si succedono senza interruzione l’uno all’altro.
Peretola, posto sulla sponda del Canale Macinante, scavato fin da tempo remoto per dar moto ad opifici e a mulini, è il primo di questi borghi nei quali l’industria dei lavori di paglia ha costantemente occupato la maggior parte della popolazione.
Peretola, donde venne a Firenze la famiglia del gran navigatore Amerigo Vespucci, è artisticamente importante per la sua chiesa di S. Maria, doviziosamente ricca di opere d’arte e restituita non sono molti anni alla elegante severità del suo antico aspetto. Sotto il portico esterno, l’affresco che rappresenta S. Antonio abate seduto in cattedra fra S. Jacopo apostolo e S. Egidio, è di Giusto d’Andrea di Giusto, seguace di Benozzo Gozzoli, che lo dipinse nel 1466. Altri affreschi sono in chiesa: lo sfondo di un altare a destra entrando, nel quale sono una storia di S. Leonardo e le Sante Caterina d’Alessandria e Lucia, venne fatto dipingere da Lionardo Buonafè a’ primi del XVI secolo, quando era spedalingo a S. Maria Nuova: la lunetta colla figura di S. Zanobi è della fine del XIV secolo. Più interessanti sono le opere di scultura e prima d’ogni altra va ricordato lo stupendo ciborio o tabernacolo nel quale PONTE A GREVE LUNGO LA VIA PISANA.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
CASTELLO DI CALCHERELLI O DELL’ACCIAJUOLO PRESSO IL PONTE A GREVE.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche). sono magistralmente accozzati lavori di scultura in marmo, in terracotta invetriata e in bronzo. Esso fu fatto fare per la corsìa delle donne nello spedale di Santa Maria Nuova di Firenze tra il 1441 e il 1443 e l’artefice al quale venne commesso dallo spedalingo fu Luca Della Robbia. Basta questo nome soltanto per far rilevare l’importanza artistica di questo ciborio che dalla sua sede originaria venne trasferito nella chiesa di Peretola, allora di patronato di quello spedale. Altre sculture pregevolissime sono il fonte battesimale di Mino da Fiesole ed una pila, a S. MARTINO ALLA PALMA.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).proposito della quale si ha il ricordo del pagamento fattone nel 1446 a Francesco di Simone Ferrucci, cui si può molto ragionevolmente attribuire anche l’elegante ciborio marmoreo che serve ora di custodia per l’olio santo.
Annesso alla chiesa di Peretola è un chiostro del XV secolo con colonne joniche, sulle quali poggia una tettoja di legname elegantemente scolpita e adorna di policromie originalissime, ciò che costituisce un esempio de’ più rari e de’ più pittoreschi dei cortili fiorentini de’ primi di quel secolo.
A Petriolo, il borgo che succede a quello di Peretola, la chiesa di S. Biagio ha sulla facciata caratteristici affreschi del XIV secolo, recentemente scoperti e riparati, e nell’interno una tavola della maniera di Fra Bartolommeo, deturpata dai restauri, ed un ciborio di marmo che ricorda il fare di Desiderio da Settignano.
Tutte in generale, le chiese di questa parte della pianura fiorentina sono di origine antichissima e conservano, oltre che parte della loro struttura primitiva, opere d’arte di notevole pregio e ricordi di insigni famiglie che vi ebbero diritti patronali, cappelle e sepolture. S. MARTINO ALLA PALMA — CIBORIO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
S. Martino a Brozzi, l’antica pieve della quale tutte queste chiese sono suffraganee, serba tracce della sua antica e severa costruzione del XI secolo e possiede diverse opere di scultura degne di ricordo, come il fonte battesimale di marmo, costituito di frammenti del primitivo fonte del XII secolo, riuniti e completati nel XVI, e due graziosi tabernacoli o cibori ricchi d’ornati del XVI secolo.
Più interessante è il corredo artistico della chiesa di S. Andrea a Brozzi che fu un giorno di patronato dei Mazzinghi. Più specialmente sono degni di ricordo: un affresco raffigurante la Vergine in trono col bambino Gesù ritto sulle ginocchia ed i Santi Sebastiano e Giuliano ai lati, opera di squisita fattura che può attribuirsi a Domenico Ghirlandajo, ed una grandiosa croce dipinta da Giuliano d’Arrego, detto il Pesello. A questi due dipinti meritevoli di figurare in una chiesa di maggiore importanza e degni di un museo, sono da aggiungersi: un’ancona d’altare coll’Annunciazione ed i Santi Eustachio e Antonio abate della maniera di Lorenzo Monaco; una tavola che si attribuisce a Francesco di Giovanni Botticini, colla Vergine, il putto, S. Sebastiano, S. Bartolomeo, S. Jacopo e S. Antonio abate fatta nel 148....; una lunetta coll’Eterno Padre che ricorda la vigoria di Alessio Baldovinetti; un affresco del XVI secolo colla figura di S. Alberto monaco e S. Sigismondo, indicati da una singolare iscrizione, il primo come devoto della febre quotidiana e terzana ed il secondo devoto la febre quartana, allusioni queste alle febbri palustri che in que’ tempi infestavano questa bassa pianura.
Altre chiese vicine sono S. Lucia alla Sala che possiede due tabernacoletti della maniera di Giuliano da Majano, S. Donnino a Brozzi nella quale si conserva un’interessante ancona giottesca, S. Piero a Ponti che ha sulla porta una lunetta di Giovanni Della Robbia colle figure della Vergine, del bambino e degli apostoli Pietro e Paolo.
Ultima fra le chiese di questo vasto piano ricorderemo quella di S. Mauro, volgarmente detta di S. Moro, nella quale sono da ammirarsi altre due di quelle opere robbiane che sono sparse con tanta profusione nelle chiese della Toscana: un bel dossale d’altare della maniera di Giovanni Della Robbia colla Vergine in trono, il bambino Gesù, due santi e due angeli volanti che sostengono una corona; LA VILLA DI CASTEL PULCI (DA UNA STAMPA DELLO ZOCCHI).
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).un ciborio di squisita fattura con esuberante ricchezza d’adornamenti che può attribuirsi all’ultima maniera di Andrea Della Robbia.
San Moro è posto all’estrema base dei Colli di Signa, poco lungi dal fiume Bisenzio che va a deporre in Arno il tributo delle sue acque limacciose; nobilmente limacciose, sia lecito dire, perchè giungono alla foce dopo aver dato moto e vita ai numerosi opifici dell’industre città di Prato dove lavorano migliaja d’artefici.
Sulla riva destra del Bisenzio è Signa, il popoloso paese del quale parleremo dopo aver con eguale rapidità percorso il territorio situato sull’opposta riva dell’Arno.
Sulla sponda sinistra dell’Arno, corre attraverso agli ampi piani e lambisce di tanto in tanto la base delle dolci colline che seguono parallelamente la linea del fiume, la via Pisana, ampia e comoda strada che fin da tempo remoto servì di comunicazione diretta fra Firenze e il mare.
Per questa via passarono, per giungere a Firenze, Imperatori, Papi, Principi, Ambasciatori, accolti sul limitare della Porta di S. Frediano dai magistrati della Repubblica, circondati dal loro seguito sontuoso e lungo questa via si svolsero molti di quegli avvenimenti che sono scritti con caratteri di sangue nelle pagine della storia.
PIEVE DI S. GIULIANO A SETTIMO — LA PARTE TERGALE.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
I piani che si stendono da questo lato fino alla confluenza del fiume Greve nell’Arno, sono celebri per la dovizia di ortaggi prosperosi che per tanti secoli servirono di gradito alimento alla popolazione fiorentina e che oggi forniscono i più lontani paesi de’ loro lussureggianti prodotti. Difatti fin da’ lontani tempi sono celebrati nelle tradizioni gastronomiche i deliziosi poponi di S. Frediano ed i maestosi cavoli di Legnaja che oggi fan bella mostra sui mercati di Pietroburgo, di Berlino e di Londra.
La via Pisana può considerarsi per il tratto di parecchi chilometri come un borgo, interrotto soltanto a piccoli tratti, tante sono le abitazioni che la fiancheggiano. Nei piani adiacenti sorgono fra la verzura dei campi vecchie e graziose chiesette che, se lo comportasse l’indole della nostra pubblicazione, meriterebbero tutte di essere illustrate per le loro storiche ricordanze, come per le opere d’arte che conservano. Colle chiese dovremmo pure ricordare le ville di remota costruzione nelle quali si svolse tanta parte della vita fastosa della società fiorentina.
Ma procediamo oltre e soffermiamoci appena al Ponte a Greve, una singolare costruzione del XIV secolo a tre grandi archi di pietra che nel serraglio portano gli stemmi della Repubblica, mentre un vaghissimo tabernacolo di stile ogivale s’inalza da una delle sue pile e racchiude un bel fresco de’ primi del XV secolo.
Poco lungi di qui, sulla riva stessa del MADONNA DEI FIORI — BASSORILIEVO QUATTROCENTESCO NELLA PIEVE DI S. GIULIANO A SETTIMO.fiume, che scende dalle alte poggiate del Chianti ricoperte di vigneti che producono in abbondanza i vini universalmente celebrati, è un fiorente villaggio di moderna origine, Scandicci, capoluogo di un vasto comune costituitosi coi territori di due delle 72 Leghe nelle quali era ripartito il contado fiorentino: Casellina e Torri. Oltrepassato il ponte, la via Pisana lascia alla sua sinistra un elegante e caratteristico castelletto, tuttora munito di due massicce torri, ornate di merli ghibellini: il castello di Calcherelli, chiamato più modernamente l’Acciajuolo, che fu dei Davizzi, la potente famiglia che ebbe in Firenze il severo palagio in Via Porta Rossa, passato dipoi nei Davanzati. Calcherelli, ch’è oggi una casa di fattoria, evoca il ricordo di un truce dramma che vi si svolse negli ultimi anni della libertà fiorentina. Neri di Piero Davizzi per odio contro la moglie che teneva quasi prigioniera in questo cupo maniero avito, le propinò il veleno, e siccome questo non agiva colla desiderata celerità, egli si rivolse a medici e poi ad un ciurmatore perchè gli dassero modo di raggiungere l’intento. Scoperto il delitto, il Davizzi fu condannato il 25 giugno del 1521 alla reclusione perpetua nei sotterranei del Maschio di Volterra; ma egli era nobile e potente, aveva altissime aderenze e poco tempo dopo potè ottenere che la pena gli fosse commutata nell’esilio da tutto il dominio fiorentino, al di là di cento miglia dai confini.
Una piccola catena di deliziose colline che divide le valli della Greve, del Vingone e della Pesa si spinge colle sue pendici verso i piani ubertosi e vi s’interseca come le volute e i meandri di una trina e su quei colli, parte ridotti a coltura, parte coperti tuttora da verdi boscaglie, sorgono leggiadri villaggi, quiete chiesette, deliziosi palazzi di villeggiatura.
Sopra ad una prominenza che domina il piano di Settimo, è la chiesa di S. Martino alla Palma dipendente un giorno de’ Cistercensi di Badia a Settimo. Adornamento maggiore di questa chiesa è un grandioso ciborio marmoreo che serve oggi per conservar l’olio santo. È un delizioso e gentile lavoro di scultura ornamentale del più bel quattrocento fiorentino e porta inciso nella gocciola il nome di Donatello. BADIA A SETTIMO — ANTICO INGRESSO.Che quella firma sia autentica non si potrebbe garantire; ma si può invece affermare senza esitanza che l’opera è degna della fama del sommo maestro fiorentino.
Attorno a S. Martino alla Palma sorgono numerose e belle ville signorili, fra le quali vanno specialmente ricordate quella detta La Loggia dei marchesi Torrigiani che conserva quasi intatta una sala nella quale Bernardino Poccetti con tutta la brillante leggiadria del suo colorito ritrasse il trionfo di Psiche, e la villa Antinori BADIA A SETTIMO — TINAJA.di Monte Aguglione che ricorda forse il luogo d’onde provenne quel Baldo, il Villan d’Aguglione, uno dei giudici che decretarono l’esilio dell’Alighieri.
Sulla vetta di un alto poggetto, un’altra villa, più modesta d’apparenza e dominata da una vecchia torre, ricorda il nome ed il luogo di un’antica rocca dei conti Cadolingi, Monte Cascioli. Quel castello, i cui signori davano molestia a’ passanti ed al ristretto territorio della Repubblica Fiorentina, dette ragione ad una delle primitive imprese guerresche delle milizie fiorentine, le quali nel 1113, preso d’assalto il molesto fortilizio, ne uccisero i difensori e ne smantellarono le mura.
Poco oltre, un grandioso edifizio che nel suo ampio prospetto rappresenta il tipo delle suntuose ville toscane del XVII secolo, apparisce a metà della pendice, in fondo ad un lungo ed ampio viale. È Castel Pulci, fortilizio un giorno di quella famiglia Pulci che dette alle lettere poeti gentili e che, dopo avere avuto in patria potenza grandissima, subì nelle lotte delle fazioni la sorte dei vinti. Il castello fu più tardi trasformato in palazzo, ricco di ogni comodità, dai marchesi Riccardi; oggi è una succursale del manicomio di Firenze.
Giù nella pianura, spicca colla sua massa grandiosa e severa la chiesa di S. Giuliano a Settimo, una delle pievi più antiche del territorio fiorentino. Di lei si hanno memorie fin dal secolo VIII, mentre nel campanile si legge tuttora la data 1143. Della primitiva struttura conserva soltanto i fianchi ed il tergo; ogni altra parte fu raffazzonata ne’ tempi moderni. Delle opere d’arte che, scampate alla dispersione, adornano ancora questa chiesa, la più interessante è un bassorilievo donatellesco in terracotta colorita che il popolo chiama per antica consuetudine la Madonna dei fiori. La Vergine, animata da un soave sentimento di dolcezza, vedisi di mezza figura seduta in atto di ammirare con materna compiacenza il putto leggiadro che le sta in grembo. Attorno al bassorilievo, che ricorda il fare del Rossellino, è un ricco festone scolpito in pietra.
Di maggiore importanza per la sua antichità, per la sua storia, per le manifestazioni differenti all’arte che vi son riunite, è la
La storia di quest’antica abbazia ha il suo inizio dal 900 e le molte e singolari vicende del suo svolgimento si connettono di continuo colla storia generale della Repubblica Fiorentina. La sua costruzione gigantesca, che associa in un insieme meraviglioso i caratteri di un forte castello medievale toscano, colle tracce dell’architettura francese di tempi remoti e colle forme classiche e gentili del rinascimento fiorentino, la pone in prima linea fra gli edifizi monastici più preziosi della Toscana. BADIA A SETTIMO — FACCIATA E CAMPANILE. In fatto di opere d’arte poi, le spogliazioni continue, alle quali la Badia andò soggetta, sono state insufficienti a toglierle le tracce abbondanti del prezioso corredo di meravigliosi capolavori ond’era adorna.
Della Badia a Settimo le notizie più antiche sono del X secolo, giacchè fu nel 908 che i Cadolingi conti di Borgonuovo e signori del vicino castello di Monte BADIA A SETTIMO — TRIBUNA E ALTARE MAGGIORE.Cascioli la edificarono e la dotarono di cospicui beni. Il conte Guglielmo Bulgaro vi chiamò S. Giovanni Gualberto per la riforma dei monaci Benedettini e fu qui che nel 1068, secondo narra la tradizione, S. Pietro Igneo fece la famosa prova di attraversare il fuoco. Ai Benedettini successero nel 1236 i monaci Cistercensi che venuti di Francia riformarono il monastero e ne costrussero alcune parti nuove. Comincia da quest’epoca la grande importanza della Badia a Settimo, perchè i Cistercensi, non solo si occuparono delle pratiche ascetiche, ma dedicarono l’attività loro all’agricoltura e alle industrie e istituirono opifici e mulini sull’Arno e dettero grande impulso alla bonifica delle terre adiacenti.
La Repubblica Fiorentina tenne in tale estimazione codesti monaci, che affidò loro l’amministrazione del pubblico erario e quella del domestico andamento dellaBADIA A SETTIMO — CIBORIO — SCUOLA DI DONATELLO. Signoria, la soprintendenza della costruzione delle mura e dei castelli del contado, esentando il monastero dalle gabelle e dalle decime ecclesiastiche. Tenendo poi conto della grande importanza militare del luogo dove la Badia era posta, vi fece costruire attorno solide mura e torri, mandandovi di presidio le sue milizie. Dal canto loro i Cistercensi ebbero cura di abbellire e di adornare la loro splendida sede ricostruendo la chiesa, riordinando il convento e decorandolo con mirabile sfarzo d’infinite opere d’arte.
Tanto splendore venne improvvisamente a cessare, allorquando questa, come le più ricche abbazie d’Italia, venne costituita in commenda e data a sfruttare a cardinali ed a prelati benaffetti della corte Romana. Eugenio IV concesse la Badia a Settimo al cardinale Domenico Capranica e dopo di lui ne furon commendatari tre altri celebri cardinali, fra i quali Ascanio Sforza. Così decadde affatto il monastero e quando nel 1782 vennero soppressi i Cistercensi, tutto il suo patrimonio era già stato disperso.
La Badia a Settimo ha la forma di un castello rettangolare cinto da solide mura, munite di ballatojo merlato e di torri. Una di queste torri difendeva l’accesso principale ed ha al disopra della porta una grande figura sedente del Salvatore, modellata a stucco da un artefice del XIV secolo. Nell’interno, attorno ad un gran chiostro jonico che si attribuisce a Filippo di Brunellesco, si distendono gli ampi e grandiosi edifici monastici, uno de’ quali conserva tuttora il suo caratteristico aspetto. È un ampio locale a tre navate coperte da vôlte che si svolgono sopra esili colonne adorne di capitelli nei quali si direbbero affratellati i tipi dell’arte francese e italiana. In origine se fu refettorio, o biblioteca, è difficile precisare; oggi è una modesta tinaja, dove il suolo rialzato di oltre un metro e mezzo nasconde parte delle svelte colonne.
La chiesa monastica è da un lato. Grandiosa, a tre navate, decorata all’esterno di ornamenti di laterizio di carattere ogivale, ha nella sua parte interna subito infinite alterazioni, delle quali una sola può essere accettata come un benefizio per l’arte.
È la tribuna maggiore di elegantissimo stile del rinascimento, conBADIA A SETTIMO — RELIQUIARIO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).BADIA A SETTIMO — RELIQUIARIO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche). squisite decorazioni architettoniche e con un vaghissimo fregio di terracotta invetriata dei Della Robbia. Il nome di Filippo di Brunellesco si presenta immediatamente alla mente dell’osservatore di questa cappella che ha una strettissima analogia colla bellissima sagrestia di S. Felicita di Firenze. Sotto la chiesa è l’ampia cripta del XI secolo a grandi vôlte, sostenuta da colonne; ma ridotta sciaguratamente ad un serbatojo di acque che vi s’infiltrano continuamente, essendo l’attuale piano della Badia inferiore al livello ordinario delle magre del vicino Arno.
Degne della bellezza generale del fabbricato sono alcune sue parti originarie, come il piccolo refettorio, il quartiere dell’abate, l’esterna chiesa già parrocchiale LASTRA A SIGNA — MURA DEL CASTELLO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche). di S. Lorenzo, oggi ridotta a stanza mortuaria, il campanile. Questo campanile di forma originalissima, che muove da un basamento circolare per diventar poi esagono, ricordando la struttura di alcuni campanili pisani, è stato attribuito a Nicola, a Giovanni Pisano, a frate Guglielmo; e le congetture più strane si sono per qualche tempo LASTRA A SIGNA — PORTA FIORENTINA.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).basate sulla interpretazione di una iscrizione latina abbreviata, nella quale le fantasie degli eruditi credevano di trovare il nome dell’architetto o del presunto fondatore, il conte Guglielmo Bulgaro. Invece, sciolte le abbreviazioni, l’iscrizione dice semplicemente: Gloria sia a te o Signore.
Delle opere d’arte quivi raccolte, trasportate poi altrove in gran numero, del prezioso archivio, fonte di preziosi documenti, che ebbe sorti anche più disgraziate, sarebbe lungo il parlare. Basterà accennare invece a quegli oggetti che, avanzi di un patrimonio artistico di un pregio incalcolabile, costituiscono sempre un ricco corredo della chiesa, ridotta oggi a semplice parrocchia.
In fatto di pitture poche ne rimangono, dopo che due belle tavole ghirlandajesche vennero trasferite per sottrarle ai danni dell’umidità nel cenacolo di S. Apollonia. In chiesa sono degne di nota: una tavola colla Vergine, il bambino e due angeli, che sorreggono una cortina, attribuita a Fra Bartolommeo, ed un’altra che LASTRA A SIGNA — ANTICO SPEDALE DI S. ANTONIO.raffigura il martirio di S. Lorenzo, opera firmata di Domenico Buti, colla data 1574. Di antichi e pregevoli affreschi sussistono alcuni avanzi nell’antico refettorio piccolo, mentre nella cappella di S. Quintino veggonsi le pareti e la vôlta adorne di freschi dipinti da Giovanni da S. Giovanni nel 1629.
Preziosa opera di scultura del più bel risorgimento fiorentino è il ciborio di marmo di fattura squisita, attribuito da taluno a Donatello, ma che ricorda piuttosto il fare di Antonio Rossellino.
Fra i molti reliquiarî che fin dal tempo dei Cistercensi vennero raccolti in un grande armadio, diversi, per eleganza di forme e per squisitezza di fattura, ricordano l’epoca più felice dell’oreficeria fiorentina. Il più importante è quello a forma di tabernacolo con figure e ornati lavorati a bulino ed a rapporto, che reca la S. STEFANO A CALCINAJA — AFFRESCO NELL’ATRIO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).data 1479; di notevolissimo pregio è pure un altro tabernacolo di stile ogivale con pilastri laterali, statuette e delicati ornamenti colla identica data ed il nome del monaco Niccolò di Bernardo Broli che lo fece eseguire. Un altro è a forma di candelabro sormontato da un vago tempietto; a forma pure di tempietto cuspidato con ricco piede è un quarto, e l’ultimo finalmente è costituito da un ciottolo, sul quale è assicurata la figuretta di S. Stefano. Anche questi reliquiari appartengono all’arte fiorentina del XV secolo.
Sono questi i resti ed i ricordi di un patrimonio che dovette essere di una ricchezza degna dello splendore di questo storico e singolare monumento, che certo deve annoverarsi fra i più interessanti edifici monastici d’Italia.
Lasciando la Badia e proseguendo a percorrere la pianura verso Signa, altri luoghi si incontrano che per ricordi storici e per pregi d’arte meriterebbero un più diffuso ricordo. A S. Colombano a Settimo è la casa che fu culla della famiglia di Benozzo Gozzoli; al Ponte a Stagno è un tabernacolo dipinto da Neri di Bicci; a S. Maria a Castagnolo una delicata Vergine col bambino modellata da Andrea Della Robbia ed un’ancona dei primi del XV secolo.
A mezzogiorno s’inalza poi l’alto poggio di S. Romolo, che ha nome dall’antica chiesa di S. Romolo a Settimo, attorno alla quale ebbero fin da tempi remoti ampi possessi e turrite dimore molte celebri famiglie fiorentine, come i Della Bella, i Barbadori, i Rinucci, gli Albizzi ecc. CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI — CAPPELLA DEL BATTISTERO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
Giù nel piano, dove si biforcano la vecchia e la nuova via Pisana, è il castello della
Lastra a Signa o a Gangalandi. — Il più antico nome di questo castello è quello di Lastra a Gangalandi, perchè di Gangalandi s’intitolava il comune che aveva per centro e sede la chiesa di S. Martino a Gangalandi. Modesto borgo posto nel luogo deve la via Pisana staccandosi dal piano del fiume si dirigeva verso il poggio di Malmantile, la Lastra venne dalla Repubblica Fiorentina cinta di mura CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI — TRIBUNA E ALTARE MAGGIORE.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).e difesa da torri, quando le milizie pisane, guidate dall’ardito condottiero inglese Giovanni Aguto, cominciarono a scorrazzare nel 1377 per il contado fiorentino. Un più solido e regolare sistema di fortificazioni ebbe la Lastra nella prima metà del secolo successivo sotto la direzione di Filippo di Brunellesco, l’architetto di S. Maria del Fiore, il quale sapeva egualmente dedicare l’ingegno suo alle manifestazioni più geniali dell’arte, come alle opere di architettura militare destinate a proteggere le terre della Repubblica.
Le fortificazioni del Brunellesco sono quelle stesse che tuttora recingono il quieto e silenzioso castello e che per la struttura loro ricordano quelle di Vico Pisano, una delle migliori opere di architettura militare compiute sotto la direzione di quel sommo artista.
Le mura, munite di ballatoi sostenuti da triple mensole e da archetti, mancano ora in gran parte del coronamento merlato, come pure sono scapitozzate le torri delle tre porte che dànno accesso al castello.
La Lastra, ben costruita, come tutti i paesi del contado fiorentino, conserva alcuni edifici che presentano un certo interesse artistico. La chiesa di S. Maria serba tracce della sua originaria struttura, possiede un’antica tavola della Madonna ed ha MALMANTILE — IL CASTELLO E IL BORGO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).all’esterno un ricordo della famiglia Seganti che la riedificò nel 1404; il vecchio Palazzo Pretorio ha la facciata incrostata di stemmi dei vari Podestà che vi risiedettero ed una originale finestra del XVI secolo fatta fare nel 1565 dal Podestà Marsilio Ficini. Dinanzi al Pretorio è un tabernacolo o maestà adorno di un affresco della maniera di Fra Bartolommeo. Più interessante è l’edifizio che fu un giorno lo Spedale di S. Antonio, eretto nel 1411 dai Consoli dell’Arte della Seta di Firenze per testamento di Francesco di Leccio di S. Miniato. La facciata, che conserva intatto il suo aspetto primitivo, è oltremodo caratteristica. Le mura sono adorne di decorazioni policrome alla pari delle vôlte del portico a pilastri di pietra che ne costituisce la parte terrena. Sotto il portico corrispondono il dormitorio dello spedale e l’antico oratorio, sulla porta del quale è un affresco della maniera di Bicci di Lorenzo rappresentante la Madonna col bambino Gesù e due angeli adoranti, mentre l’interno della chiesetta, ridotta oggi a magazzino, conserva le tracce della sua primitiva ed elegante struttura.
Fuori del castello è un popoloso sobborgo che fiancheggia la vecchia via Pisana, dalla quale muovono le strade che guidano a diverse vicine località. Una delle più prossime è il leggiadro villaggio di Calcinaja, dove sorge la chiesa di S. Stefano di antichissima origine, ma rifatta nel XVII secolo. All’esterno della chiesa, corrispondente MALMANTILE — CHIESA DI S. PIETRO IN SELVA — AFFRESCO SOPRA LA PORTA.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).in un andito è l’avanzo di un importante affresco attribuito a Buffalmacco, rappresentante la Madonna col bambino Gesù e S. Giovanni Battista.
A cavaliere del castello della Lastra è il Poggio di Monte Orlando, dove fu già una potente rocca dei Cadolingi che i Fiorentini distrussero nel 1107. L’antica chiesa del castello, S. Michele, oggi annessa ad un convento di Francescani, conserva alcuni resti della sua primitiva costruzione.
Ma nei dintorni della Lastra, l’edifizio più importante è la Chiesa di S. Martino a Gangalandi, presso la quale ebbero la loro sede la Lega e la Comunità di Gangalandi. L’edifizio assai vasto, trasformato più volte dai restauri e dalle aggiunte, è ricco di memorie storiche e di opere d’arte. All’esterno è dipinto a fresco un S. Cristofano del XIV secolo; nell’interno la parte più importante è la cappella del battesimo tutta decorata di caratteristici affreschi eseguiti attorno al 1430 da Bicci di Lorenzo, come risulta dai documenti posseduti dalla chiesa: cotesti affreschi, che erano stati imbiancati, vennero rimessi in luce nel 1891. Il fonte battesimale di marmo, adorno negli specchi di graziosi bassorilievi, fu scolpito nel 1423. Di opere di pittura esistono nella chiesa due tavolette cuspidate di scuola gaddiana, un tabernacoletto fiorentino del 400 e due tavole d’altare, una della maniera di INTERNO DELLA CHIESA DI LECCETO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).Ridolfo del Ghirlandajo, l’altra della maniera del Bronzino. Il lastrone nel quale è scolpita la figura giacente di un gentiluomo è quello che copriva la tomba di Messer Agnolo Pandolfini, letterato celebre ed autore del Governo della famiglia, morto di 86 anni nel 1446.
La tribuna dell’altar maggiore ha un bel prospetto di pietra con eleganti decorazioni ed è adorna degli stemmi della famiglia Alberti, circostanza importantissima questa, perchè forse lascia supporre che il disegno possa essere opera di Leon Battista Alberti, letterato, umanista, architetto, che dal 1466 in poi fu per varî anni rettore di questa chiesa. Nella callotta dell’abside è un affresco della maniera di Matteo Rosselli.
La strada Pisana, nel suo antico percorso, serpeggia pei colli a mezzogiorno della Lastra e giunge al Castello di Malmantile, luogo che ebbe una singolare PONTE A SIGNA — INTERNO DEL PALAZZO DELLA TORRE.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).importanza nelle storie fiorentine per le molte opere di difesa fattevi erigere in più tempi e con gran dispendio dalla Repubblica. Oggi il castello è quasi deserto e le sue pittoresche mura turrite vanno lentamente cadendo in rovina. In compenso è popolatissimo il vecchio borgo che conduce alla Chiesa di San Pierro in Selva, la parrocchiale antichissima di questo luogo. All’esterno della chiesa sono degli interessanti affreschi, parte della scuola de’ Gaddi, parte della maniera di Andrea del Sarto. Nell’interno è una delle solite grandi croci dipinte della scuola di Giotto e sopra ad un altare vedesi una tavola colla Madonna, il putto e molti cherubini, opera che ricorda il fare di Cosimo Rosselli (XV secolo).
Presso Malmantile è la chiesa di S. Jacopo e Filippo a Lecceto, dov’è oggi la villeggiatura del Seminario fiorentino, che occupa il luogo di un piccolo convento eretto nel 1480 per i Domenicani di S. Marco dalla famiglia Strozzi. La bella architettura dell’interno ricorda la maniera di Michelozzo e sull’altare è una interessante ancona costituita da una tavola originariamente giottesca e da due laterali de scuola del Lippi.
Lasciando la strada vecchia Pisana che da Malmantile va a Montelupo, per PONTE A SIGNA — VILLA DELLE SELVE.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).collegarsi colla strada più moderna, torniamo a questa e seguitiamone il percorso.
Al Ponte a Signa, oggi popolosa borgata posta alla testa dell’antico ponte medievale che traversa l’Arno collegandosi colla parte bassa del paese di Signa, merita d’essere osservato il Palazzo della Torre, oggi casa modesta di pigionali, un giorno signorile dimora dei Pandolfini che vi ospitarono per qualche ora Carlo VIII Imperatore quando, recandosi a Firenze, dovette piegare l’orgogliosa tracotanza dinanzi alle fiere parole del Gonfaloniere Pier Capponi. Il Palazzo della Torre, in alcune sue parti interne soprattutto, conserva il caratteristico tipo originale.
Al disopra del borgo del Ponte, in mezzo alla rigogliosa vegetazione di una collina deliziosa, sorgono la chiesa e la villa delle Selve. La prima, eretta dai Carmelitani nel XIV secolo, si presenta ora sotto la veste sfarzosa del secolo XVII, mentre della sua antichità non serba che il bel lastrone sepolcrale del Beato Paganini scolpito nel 1383. La prossima villa delle Selve ha il tipo elegante delle signorili dimore campestri della nobiltà fiorentina e fu così ridotta dai Salviati negli ultimi del XVI secolo. CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI — TAVOLA DEL XV SECOLO.
(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).